venerdì 20 novembre 2009

LA SINISTRA DEI LEMMING E LA DESTRA DEL PATRIARCA

Periscopio socialista 

di Felice Besostri 

LA SINISTRA DEI LEMMING

Nella sinistra italiana la spinta irrazionale in direzione mortale è fortissima, come testimoniano le attuali difficoltà di Sinistra e Libertà , stretta tra l'incudine dei frenatori e il martello degli acceleratori.

    Tra l'altro, Sinistra e Libertà si riferisce a un nome e a un simbolo che, dopo l'uscita della Federazione dei Verdi, è incerto si possano utilizzare alle prossime regionali. Non sarà la furbata di aggiungere in grande ed in verde la parola ECOLOGIA, al posto dei tre simbolini dei partitini a evitare i prevedibili problemi giuridici di domani. Ma tant'è, l'ottimismo della volontà batte il pessimismo della ragione e gli argomenti giuridici non interessano.

    Qui sorge una domanda: perché non si è abbandonato il termine SINISTRA per un più evocativo SOCIALISMO? Se si deve cambiare nome e simbolo, perché non farlo? Il termine “sinistra” indica una collocazione nello spazio politico e non una direzione di marcia o un obiettivo: non si può "andare" sempre più a sinistra, senza girare in tondo.

    Nel momento della più grave crisi del capitalismo si dovrebbe indicare, se non un modello alternativo di società, quantomeno una speranza di società diversa nei suoi valori fondanti. “Un altro mondo è possibile” - era lo slogan del Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre. Un mondo socialista? Pare che in Italia la parola "Socialismo" non sia più utilizzabile, per responsabilità dei ricordi e dei sentimenti che suscitano i socialisti, solo a sentirli nominare. In questo modo ci si taglia fuori dalla più grande forza di sinistra in Europa, quella del PSE.

    È comprensibile il dramma (duplice) di coloro che, nati comunisti, sono per un verso diventati prima "democratici di sinistra" (poi soltanto "democratici") e per l'altro verso di quelli che, avendo rifiutato il cambiamento, sono rimasti "comunisti". Se gli uni per e gli altri hanno poi dovuto rinunciare a chiamarsi "comunisti", si capisce che non possono sopportare il richiamo al "socialismo", come fosse una vittoria postuma di quelli che Tangentopoli avrebbe dovuto cancellare für ewig.

    La sinistra italiana è ridotta ai minimi termini (e i socialisti con essa). Sinistra e Libertà rappresentava un tentativo, già meglio riuscito di Sinistra Arcobaleno, ma per consolidarsi aveva bisogno di tempo. Invece, la defezione dei Verdi e le elezioni regionali alle porte hanno spinto la Sinistra Democratica di Fava e l'MPS di Vendola ad accelerare i tempi della costruzione del solito partito. Una casa rifugio di antiche certezze. Come se l'esistenza di un Segretario Generale, di un Comitato Centrale e di un Ufficio Politico potessero rappresentare il farmaco universale.

    Sono stati preparati regolamenti e procedure costitutive -- in assenza di programmi, basi ideologiche e affiliazioni internazionali certe... Certo, Vendola deve continuare a guidare la Regione Puglia. Ma se Sinistra e Libertà, per uno strano caso o per la bravura dei suoi avvocati, dovesse vincere i ricorsi sulle elezioni europee e Vendola fosse costretto ad accettare un posto nell'Europarlamento, a quale gruppo si iscriverebbe? Non è un problema politico?

    Non si deve nascondere che tra i socialisti ci siano riserve mentali, cresciute con la fuoriuscita dei Verdi e, anche, calcoli personali di suoi dirigenti. Ma queste resistenze sarebbero state vinte dalla bontà della proposta di rinnovamento. Le accelerazioni, in difformità dei patti sottoscritti, hanno, invece, rafforzato gli oppositori.

    I casi sono due. O Fava e Vendola non sono stati capaci di prevedere le reazioni ovvero erano previste. Nel primo caso c'è da dubitare che costoro siano idonei a far rinascere una sinistra in Italia. Nel secondo caso non hanno capito il contesto europeo della lotta politica e quindi sono inidonei come partner di un progetto di rinnovamento e di ricostruzione della sinistra italiana in quel contesto.

    In Europa, laddove a sinistra della socialdemocrazia ci siano dei competitori, nei casi di maggior successo questi si autodefiniscono "socialisti", come in Olanda o in Norvegia, ovvero, come la Linke in Germania, hanno una forte e chiara componente socialdemocratica.

    Quindi, o Sinistra e Libertà fa una scelta chiaramente socialista, con o senza il PSI (ma con il PSI sarebbe meglio), ovvero avrebbe maggior senso entrare a far parte come componente federata a Sinistra Alternativa oppure, secondo le inclinazioni, aderire individualmente al PD.

    Senza una componente socialista Sinistra e Libertà non ha senso, ma la presenza socialista non è risolta da adesioni di socialisti delusi dalla propria dirigenza. La coazione a ripetere o l'assenza di realismo, pensando magari che l'estremismo possa sostituire la radicalità perduta nel pensare una società "altra" rispetto a quella esistente, tutto ciò non "di sinistra", ma una "cosa sinistra" e basta (a meno che non si ritenga con i francesi che “dans la gauche il y a toujours quelque chose de sinistre”).

    Dopodiché, il 5 dicembre la manifestazione contro Berlusconi avrà successo, come quella del 24 ottobre 2008. Il successo della prossima manifestazione non toglierà la sinistra dalla crisi attuale, ma al limite servirà a convincere alcuni che l'Italia dei Valori sia l'unica opposizione o che il PD non è poi così tanto male. Chi non ha testa ha gambe. In fin dei conti quando un democrat come Nicola Latorre dice che il PD non conoscerà una deriva socialdemocratica, forse lo fa per rassicurare i nostalgici, ma non spiega la candidatura di Massimo D'Alema da parte del PSE. Sarebbe possibile senza un approdo socialdemocratico?

    Insomma, non tutto non è perduto, ma soltanto se ci si libera dai giochi dei vertici romani e del loro modo di far politica. Parliamo di elezioni regionali? Nei territori è ancora possibile proporre liste unitarie, con base nelle formazioni politiche già integrate in Sinistra e Libertà . Questo richiede doti di autonomia di pensiero e di azione cui da lungo tempo i militanti sono stati disabituati. Ma sarebbe il primo passo in una direzione diversa da quella dei lemming.


LA DESTRA DEL PATRIARCA

Il disegno di legge sul processo breve trae la sua ispirazione da un articolo della Costituzione (111) varato nella XIII legislatura (1996-2001) e già allora era stato, in una certa misura, un prezzo pagato a Forza Italia. Per farlo approvare in tempi brevi il Senatore Marcello Pera si incardinò temporaneamente presso la Commissione Affari Costituzionali.

    Sempre ai fini di accelerazione dell’iter parlamentare una materia che avrebbe dovuto essere affidata alla trattazione congiunta delle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali fu appunto affidata alla sola I Commissione.

    Niente scandalo per favore, la norma costituzionale non ha fatto altro che recepire la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, sì proprio la stessa della decisione sul crocifisso!

    Si era fatto intendere che un accordo sul giusto processo avrebbe avuto come corrispettivo una diminuzione del filibustering, che al Senato, a causa del ristretto margine della maggioranza, teneva bloccati una serie di disegni di legge, tra cui quello sul conflitto di interessi.

    Ovviamente la destra, ottenuto quel che voleva, non concesse nulla.
    I processi devono avere una ragionevole durata ed in Italia non ce l’hanno. Una tale situazione è intollerabile, perché di essa profittano soprattutto i colpevoli di reati.

    Per un colpevole più si allontana la condanna meglio è, c’è sempre una prescrizione, un indebito o un’amnistia dietro l’angolo.

    La durata dei processi è, invece, un incubo per gli innocenti e per le vittime.
    Una riforma va fatta, ma il disegno di legge del Governo è una “porcheria”, come l’ha liquidato Casini.
    Non si possono fare leggi, ispirate da principi generali ed astratti, per risolvere un caso concreto, cioè i problemi personali di Berlusconi.

    Se questa è la filosofia, dobbiamo aspettarci un prossimo intervento in materia di diritto di famiglia su separazioni e divorzi: una specie di salva Berlusconi da Veronica.
Già la fissazione di un eguale periodo biennale per ogni grado di giudizio mostra il carattere strumentale della riforma.

    Chiunque abbia una minima pratica delle aule di giustizia sa che il processo necessariamente più lungo è quello di primo grado, quello caratterizzato dall’acquisizione delle prove testimoniali e dalle perizie. In appello il rinnovo del dibattimento costituisce un’eccezione.
In Cassazione il processo è esclusivamente cartaceo.

    Si può rimanere nei sei anni (sempre che ci siano il personale ed i mezzi tecnici necessari) ma modulati in tre anni per il primo grado, due per l’appello ed uno per la Cassazione.
Per quest’ultimo grado si potrebbero introdurre dei filtri di ammissibilità: un gran numero di ricorsi sono fatti per fini dilatori.

    Infine in caso di condanna in secondo grado basterebbe introdurre un semplice meccanismo come quello francese.
    Se l’imputato che ricorre è a piede libero, il ricorso in Cassazione diventa improcedibile se non ci si consegna in custodia alla vigilia della decisione.

    Chi ha fatto un ricorso infondato e a puri fini dilatori, cercherà di organizzare la sua latitanza piuttosto che attendere in custodia giudiziale l’esito del processo.

    Altra questione è quella di evitare automatismo, cioè non prevedere tempi di sospensione legale della durata del processo.

    Se un tribunale accogliesse un’eccezione di una costituzionalità di una norma e la rimettesse alla Corte Costituzionale, il processo sarebbe ancora sospeso, come ora?

    Un processo dove siano rilevanti perizie tecniche complesse o rogatorie internazionali deve durare due anni come quello per una rapina registrata dalla videosorveglianza?

    La stessa durata per un processo con un solo imputato e per uno con decine o centinaia?
Tutte queste obiezioni tecniche non interessano al Premier e all’on. Ghedini: il processo Mills deve durare due anni, tutto il resto non importa.

    Le ragioni politiche del disegno di legge sono poi rese evidenti dall’elenco dei reati esclusi, tra i quali spiccano quelli collegati all’immigrazione clandestina. Le pene massime per questo reato sono inferiori ai dieci anni di pene massime edittale, il criterio usato per l'inclusione.

    Per salvare sé stesso il Premier doveva dare qualcosa alla demagogia della Lega Nord.
Già emergono profili di incostituzionalità sull’applicazione della norma sulla ragionevole durata ai soli incensurati.

    Se sono coimputati un incensurato e un recidivo, che si fa? Due processi?
    Il disegno di legge non avrà vita facile, se persino avvocati, come Gaetano Pecorella, e giuristi, come il presidente emerito della Consulta Baldassarre, da anni vicini a Berlusconi ed alla sua maggioranza, sparano a zero sul testo.

    La ragione vera è un’altra: pare che serva solo per due processi su tre. A lui serve un'immunità totale e essere posto al riparo dalle sentenze civili sul risarcimento all’ing. De Benedetti e sulle richieste patrimoniali di Veronica Lario.

    Cercherà una via di uscita politica con le elezioni anticipate per liquidare in un colpo i nemici interni prima ancora degli oppositori esterni.

    Inoltre si precostituisce il Parlamento che deve eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.. Allo stato l’opposizione non costituisce un problema, con il PD non ancora consolidato, un centro oscillante tra le leadership di Rutelli e Casini e una IdV, giustizialista e demagogica. La sinistra, in tutte le sue anime, è fuori dal Parlamento e sta facendo di tutto per non rientrarci, anzi rischia persino di stare fuori dalle assemblee regionali.

    Il terrorismo islamico, che si appresterebbe a dinamitare Berlusconi è probabilmente una bufala o il frutto dei deliri di persecuzione di Berlusconi e di insignificanti terroristi paranoici.
Un consiglio di lettura a Berlusconi: “Io, il Supremo” di Augusto Roa Bastos, più ancora del “L'autunno del patriarca” di Gabriel García Márquez. Il tramonto di un caudillo avrà molto da insegnare al nostro Silvio. 

giovedì 12 novembre 2009

CROCIFISSIONE DEL BUONSENSO

Periscopio socialista 

Sulla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo se ne sono sentite di cotte e di crude, purtroppo anche da settori dell'opposizione.

di Felice Besostri 

Sulla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo se ne sono sentite - e lette- di cotte e di crude: purtroppo anche da settori dell'opposizione. Si capisce che i partiti di governo si appiattiscano sule gerarchie cattoliche, ma il PD non dovrebbe.

    Le sentenze si commentano e, se del caso, si criticano, per le argomentazioni poste a suffragio della decisione: da alcuni commenti si può dubitare che la decisione sia stata letta nella sua integrità.

    Persino il Corriere della Sera ha pubblicato un fondo del prof. Lepri, che attacca la decisione emessa da 47 giudici, cioè dal Plenum della Corte, quando è stata emessa da una Camera della Corte, cioè da un collegio ristretto. Per questa ragione la decisione non è definitiva, perché si può ricorrere alla Gran Camera, come il Governo italiano ha deciso di fare.

    I giudici di Strasburgo non dovevano dare un giudizio sulle tradizioni del popolo italiano e del loro nesso, pur essendo in popolo di peccatori, a cominciare dai vertici istituzionali nazionali e regionali, con il cristianesimo e, quindi con il crocifisso. I giudici avevano un compito più limitato, cioè stabilire se l'esposizione del crocifisso in un'aula di una scuola pubblica fosse o meno rispettosa della Convenzione europea dei Diritti e Libertà fondamentali. La Convenzione è stata adottata dal Consiglio d'Europa e ratificata con legge della Repubblica Italiana e quindi è vincolante per tutti, Pubbliche Autorità e cittadini. Già si tratta di intendersi tra i critici della sentenza, perché per alcuni (Gelmini in testa) è un simbolo dei valori e delle tradizioni del popolo italiano, mentre per la Chiesa Cattolica il crocifisso è un simbolo universale dell'umanità sofferente: simbolo nazionale o universale? Non è la stessa cosa.

    Tra le corbellerie si è letto che per coerenza un cattolico dovrebbe far rimuovere la statua della dea pagana Athena, che sorge davanti ad un'Università romana ovvero che si dovrebbe far togliere la croce dalle bandiere nazionali di molti stati, tra cui la Finlandia (croce azzurra in campo bianco), patria di origine della, ora italianissima, ricorrente, madre di due studenti. Prima di giungere a Strasburgo aveva chiesto, invano, che fosse tolto il crocifisso dalle aule frequentate dai propri figli.

    Questo era l'oggetto del giudizio, non quello di rimuovere i crocifissi da tutte le scuole ovvero la rimozione dei crocefissi agli incroci o le Vie Crucis dai nostri Sacri Monti.

    Si può accedere alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, soltanto dopo aver esaurito i rimedi giurisdizionali nazionali. Questo, semmai, è lo scandalo, aver costretto una cittadina ad andare a Strasburgo, perché nessun giudice italiano ha avuto il coraggio di applicare in Italia la Costituzione italiana. Il crocifisso od il solo Cristo esposto in pubblico non viola il principio di laicità, ma la sua esposizione nelle aule di giustizia e scolastiche pubbliche sì.

    Il buon senso doveva essere esercitato dalle autorità scolastiche di fronte ad una richiesta motivata ed individuale. Si è preferito reagire con arroganza e in nome del principio della maggioranza, che no si applica al godimento dei diritti individuali. La libertà, come ci ricordava Rosa Luxemburg, è sempre quella di chi la pensa diversamente, ma Lei era ebrea e rivoluzionaria e non una cristiana conservatrice.     

venerdì 6 novembre 2009

Donde va Vicente?

Periscopio socialista 

Lettera aperta ai compagni Fava, Nencini e Vendola

di Felice Besostri 

La sinistra italiana è stata capace di perdere le grandi occasioni storiche per superare antiche divisioni, ultima in ordine di tempo la caduta del Muro di Berlino, ormai 20 anni fa.

    Ora, segno della sua debolezza e marginalità, corre il rischio di perdere le occasioni dell’agenda politica contingente.

    Sinistra e Libertà è stata un’alleanza elettorale, ma anche l’inizio di un progetto politico di rinnovamento o di ricostituzione della sinistra in Italia.

    Un percorso difficile ed irto di ostacoli per ragioni oggettive, una sinistra fuori dal Parlamento nazionale ed europeo, cui si aggiungono quelle soggettive di gruppi dirigenti privi di grandi disegni e "giustamente" preoccupati dei loro personali destini.

    In questo quadro occorre avere nozione dei limiti di ogni innovazione e non credere che basti portare i cuori oltre l’ostacolo, procedere di slancio, per avere successo. Se, però, insieme al cuore gettiamo anche il cervello oltre l’ostacolo, la delusione sarà cocente.

    Nei momenti difficili si vede se esiste un gruppo dirigente, non personaggi che per mantenere il consenso vanno nella direzione dove spira il vento o spingono gli umori della base.

    Una nuova sinistra non può prescindere dalla presenza di una forte, accettata e riconosciuta presenza socialista, è così persino in Germania con la LINKE, senza i socialdemocratici di Lafontaine, la Linke, come il PDS, sarebbe rimasta un partito regionale della Germania Orientale: una specie di Lega Est.

    Dunque Sinistra e Libertà ha un futuro soltanto se si ricostituisce una solidarietà tra i soggetti che l’hanno fondata.

    Le energie e gli entusiasmi dei militanti e degli elettori devono avere uno sbocco, ma non possono sostituire il progetto politico di costruire anche in Italia una sinistra pienamente inserita nel contesto europeo.

    Non si può costituire un nuovo soggetto politico di cui siano sconosciuti i programmi, le basi ideologiche e le affiliazioni internazionali.

    Si può, invece, costituire un movimento, che entri a far parte da subito dei soggetti fondatori del nuovo soggetto politico, che non può nascere prima delle prossime elezioni regionali.

    Già sul nome non c’è chiarezza perché Sinistra e Libertà è di proprietà dei soggetti che l’hanno costituita, tra cui la Federazione dei Verdi: non c’è nessuna garanzia che possa essere utilizzata alle prossime elezioni.

    Di partitini ne abbiamo avuti troppi, uno in più potrebbe essere, nel migliore dei casi, irrilevante o più probabilmente dannoso.

    I leader dei principali partiti e movimenti che hanno dato vita a Sinistra e Libertà devono dare un chiaro messaggio di coesione, di reciproca fiducia, trasparenza e determinazione nel sviluppare le potenzialità di un progetto di ricostituzione e rinnovamento di una sinistra italiana.

    C’è un detto spagnolo che non dovrebbe caratterizzare i dirigenti politici: "Donde va Vicente? Donde va la gente". Se proprio dobbiamo prendere un’espressione dalla consorella latina è meglio "Adelante Pedro, con juicio".