lunedì 30 giugno 2008

E allora prendete anche le nostre impronte

L'A.n.e.d. (Associazione nazionale ex deportati) di Roma esprime la più sentita riprovazione per il disegno di legge,che prevede la schedatura dei Rom e Sinti presenti sul territorio italiano, tramite la rilevazione delle impronte digitali come in uso per i criminali. Il provvedimento è particolarmente odioso e inaccettabile, perché rivolto anche ai bambini e a tutti i minori che, finora, anche se privi di documenti, hanno potuto frequentare la scuola pubblica del nostro paese. Il progetto di schedatura è, oltretutto, in totale contrasto con la Convenzione Internazionale per i Diritti del Fanciullo promulgata nel 1989 dall'O.N.U. e ratificata dallo Stato italiano.
Tale provvedimento richiama procedure di schedatura razzista utilizzate dai regimi nazifascisti durante il secolo scorso, per costruire archivi che miravano alla individuazione, emarginazione, concentrazione e conseguente deportazione di ogni minoranza e diversità.

Nel caso che questo provvedimento venisse approvato, l'intero Consiglio direttivo dell'Aned di Roma, chiede di essere schedato insieme ai Rom.

Aldo Pavia (Presidente)
Vera Michelin- Salomon (Vicepresidente)
Maurizio Ascoli
Stefano Batori
Sara Contardi
Grazia Di Veroli
Pupa Garribba
Eugenio Iafrate
Erminia Licitri
Rosa Melodia Scicchitano
Mirella Stanzione
Piero Terracina
Antonella Tiburzi
Claudia Zaccai

Sottoscrivo ed invio per conoscenza a: liberta.civiliimmigrazione@interno.it
Primarosa Pia - Aned Torino
Sottoscrivo. Andrea Ermano, direttore Edizioni ADL, Zurigo

venerdì 13 giugno 2008

Ma l'anello è come il vitello

Note laiche a margine di un baciamano.

di Andrea Ermano

Nei giorni scorsi un vecchio amico mi ha fatto pervenire il testo di un sacerdote di base, esponente della sinistra cattolica, il quale stigmatizzava il recente incontro del Cavaliere con il papa e soprattutto "l'immagine di Silvio Berlusconi che prende tra le sue mani la destra anulata del papa e, inclinato capite, compunto, ne bacia l'anello, consapevole della dissacrazione che compie".

O bella, mi son detto, la destra italiana e le gerarchie vaticane stringono platealmente un patto di ferro, preparato di lunga lena, ma la sinistra cattolica dipinge l'evento come se il povero Ratzinger fosse stato turlupinato dall'astutissimo Cavaliere, il quale se ne prenderebbe diabolicamente gioco dinanzi al mondo intero: "consapevole della dissacrazione". Dissacrazione?! Andiamo. Per la teologia cristiana gli anelli d'oro sono come i vitelli d'oro. Da quando in qua ci sono anelli/vitelli sacri e anelli/vitelli profani?
La faccio breve. La mia posizione è questa: l'Italia delle repubbliche ordinali ("seconda", "terza", ecc.) esemplificata dalla piaggeria politica nei riguardi del potere papale mostra, di fronte al mondo intero, che cos'è il cattolicesimo reale, al di là di dottrine e catechismi, al di là dei Vangeli e delle belle prediche, che restano, in linea generale, lettera morta.

Il problema della dissacrazione attribuita a Berlusconi è dunque fuorviante perché tende a ribadire una sacralità pontificia il cui risvolto sarebbe la legittimità inattaccabile del patto di ferro tra la destra e il clero. Dopodiché non ci aiuta più molto dire che il Cavaliere, nella sua condizione impura di monopolista televisivo, ha dissacrato l'anello pontificale, d'oro puro e zecchino.
Che cosa diremo domani, quando al posto di Berlusconi la guida della destra italiana fosse assunta dal "gentiluomo di Sua Santità" Gianni Letta, le politiche xenofobe e antisociali immutate, che Letta già per altro condivide in qualità di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio?

Insomma, quell'anello viene baciato perché benedice la destra italiana e lo fa perché così hanno deciso le gerarchie, in base a calcoli di potere, non certo perché ne siano state costrette da qualcuno.

Dobbiamo perciò guardarci dal siparietto secondo cui Papa Ratzinger incarnerebbe una sorta di bene ingenuo soggiogato dal male radicale. Capisco che ciò corrisponda al sincero desiderio di molti cattolici di sinistra, sinceramente anti-berlusconiani, ma nulla di quanto sappiamo avvalora questa rappresentazione (di comodo). Papa Ratzinger e il cav. Berlusconi hanno semplicemente proclamato di fronte a tutti la loro grande amicizia politica, fondata su solidi interessi.

Feltrinelli ha recentemente pubblicato un libro di Curzio Maltese che s'intitola "La questua" nel quale l'autore riassume il seguente stato dell'arte: un miliardo di euro dai versamenti dell'otto per mille, 650 milioni di euro agli insegnanti di religione (assunti dal vescovo, mantenuti da tutti), 700 milioni per convenzioni su scuola e sanità, 250 milioni per "grandi eventi". Lo Stato italiano dà alla Chiesa cattolica una montagna di denari oltre che innumerevoli vantaggi e privilegi. Al centro di un'inchiesta dell'Unione europea: le esenzioni Ici, Irap, Ires e l'elusione fiscale per attività turistiche e commerciali collegate alla religione cattolica. Fanno circa quattro miliardi di euro. Ogni anno. Mezza finanziaria.

E' chiaro che in questi termini anche il confronto delle idee, delle posizioni culturali e delle opzioni valoriali risulta molto, molto squilibrato. Esempio. Trent'anni fa il popolo sovrano bocciò a stragrande maggioranza il referendum abrogativo voluto dalle gerarchie contro la legge 194 sull'interruzione di gravidanza. Invece di accettare quel pronunciamento democratico, la Chiesa cattolica ha condotto una lunghissima campagna contro quella legge. Indifferente al fatto che con la 194 si sia drasticamente ridotta nel nostro Paese la piaga degli aborti clandestini, oggi l'indicazione del Papa al Parlamento italiano è chiara e una sola: la si modifichi!

Domanda. Quali conseguenze ha già avuto, ha ed avrà tutta questa vicenda sul Paese? Quali conseguenze, ad esempio, sul sentimento civile, morale e personale delle donne italiane? Quali conseguenze sul loro ruolo nella società, nell'economia, nella politica e nella cultura? E quali conseguenze sul bene pubblico? Alle gerarchie non interessa. E sufficiente stabilire con giudizio "infallibile" che sono "gran peccato" sia l'interruzione di gravidanza, sia la pillola del giorno dopo, ma anche quella del giorno prima e persino l'uso del profilattico... In quale altro paese europeo si assiste a interferenze del genere, fatta ovviamente eccezione per i movimenti clerico-fascisti in Polonia?

E allora, cari vescovi e cardinali, è chiaro che voi farete quel che vi pare. E non ci sogniamo neppure di dirvi di mantenere un profilo più consono. Parlate pure. Gridate allo scandalo, come avete sempre fatto. Ma non potete far finta di atterrare da Marte ogni mattina per la prima volta, denunciando il grave disordine morale e civile in cui versa il Paese! Evvia, questo siete voi stessi. Questo è il frutto reale del vostro magistero. Questo è per l'appunto il cattolicesimo reale.

In conclusione, anche tanti altri bravi preti che si distinguono per le esternazioni più incandescenti contro l'ingiustizia sociale non possono dirsi estranei alle strategie di legittimazione e delegittimazione insite nel sistema di consenso e di potere su cui questo cattolicesimo reale si fonda ed è in vigore nelle "nostre" (si fa per dire) repubbliche ordinali.

Il Vaticano senz'ombra di dubbio è uno tra i poteri forti nell'Italia di oggi. Considerata la sua presenza ormai pervasiva nelle istituzioni politiche, economiche e culturali, sarebbe decente per la gerarchia assumere almeno una qualche responsabilità storica rispetto a ciò che è accaduto e accade nel Belpaese.

mercoledì 11 giugno 2008

Così liquido...

di Andrea Ermano

"Qui le cose si stanno mettendo molto male", scrive oggi sul Riformista il direttore Polito, secondo il quale che la "terza via" (cioè il PD blairiano di Walter Veltroni) sarebbe giunta al capolinea. "Le nuove idee della sinistra non potranno che nascere a sinistra" e non quindi nell'arco centrista, teso tra i due ex sindaci di Roma a "imitazione tardiva e ingenua delle idee di destra", è il giudizio dell'ex senatore del PD (immemore forse che, tanto per dirne una, Marco Revelli aveva scritto il suo libro sulle "due destre" un bel po' di anni or sono).

Quel che ha fatto saltare la mosca al naso a Polito sono non tanto o soltanto i sondaggi (che indicano un PD in caduta libera), ma l'inciucio tra il gentiluomo di Sua Santità, Gianni Letta, e Veltroni: "Il PD è diventato così liquido che Berlusconi se lo beve a colazione. Giuro che non avrei mai immaginato di vedere il leader dell'opposizione incontrare riservatamente un sottosegretario per parlare di Rai. La gente vede la consociazione... Qui si rinvia persino l'insediamento della Commissione di vigilanza in attesa che i leaders si mettano d'accordo sulla Rai... Il PD è così liquido che in due giorni si sono riunite quattro diverse correnti di cattolici e a un anno dalle europee non sa ancora se sarà socialista o liberale".

Un commentatore ha chiosato oggi la situazione del PD con queste parole: "Sulle divisioni del PD vi ricordo che alle prossime europee, a quanto pare, gli ex della Margherita e gli ex dei DS si presenteranno con delle liste separate. Quindi, almeno fino a questo momento così è, il PD non parteciperebbe con sue liste".

Si tratterebbe di una prospettiva letteralmente in-audita: davvero non si era mai sentito che un'importante formazione politica di un Paese del G8 si presenti per ben due volte al rinnovo del Parlamento di Strasburgo in ordine sparso.

Quattro anni fa DS e Margerita si presentarono alle europee con le liste comuni di "Uniti nell'Ulivo", che doveva prefigurare il PD. Poi, una volta eletti, si divisero entrando a far parte di gruppi parlamentari diversi. E oggi, dopo avere fatto il PD a costo di scassare il Governo Prodi e l'intero centro-sinistra italiano, si ridividono, stavolta addirittura prima delle elezioni...

Ancora non si sono accordati su come collocarsi in Europa. E dite voi se son bazzecole. Franceschini un anno fa diceva pacatamente serenamente che "il nodo della collocazione in Europa potrebbe risolversi da sé". Ricordate? Be', non si è risolto.

giovedì 5 giugno 2008

Governare bene (2)

Due anni dopo
"Anche la crisi della forma partito corre parallela alla crisi dello stato-nazione. E qui in ultima analisi il ragionamento sul governo cosmopolita e la democrazia mondiale approda al suolo della socialdemocrazia europea, che nel nostro tempo - dopo essersi battuta con successo contro l'inumano sfruttamento capitalista, l'imperialismo nazionalista, il clerico-fascismo, il nazi-fascismo e il comunismo sovietico - si vede posta dinanzi al suo compito più alto e generale". Pubblichiamo oggi la seconda parte del discorso tenuto il 21 giugno 2006 al teatro S. Carlo di Milano dal nostro direttore, Andrea Ermano, nell'ambito del convegno "Sinistra come in Europa - Autonoma, socialista, laica" i cui atti sono pubblicati dalle Edizioni ADL.

di Andrea Ermano
Se le grandi questioni ambientali, alimentari, demografiche e strategiche globali pongono all'ordine del giorno della "vecchia Europa" l'impegno per la costruzione di governo politico del mondo, è però chiaro che la grande sfida di un governo cosmopolita riguarda anzitutto la possibilità di una democrazia transnazionale e globale. Disgiungere la prospettiva cosmopolita dal metodo del consenso democratico sarebbe del tutto insensato, per non dir di peggio.

Si capisce infatti che nessuna istituzione, quale che sia la sua potenza militare o finanziaria, tecnologica o diplomatica, potrà mai governare l'umanità senza o contro la maggior parte degli esseri umani.

Ma nessun consenso può venire dalla maggior parte degli esseri umani a una proposta politica generale che, nei contenuti, non vada a confrontarsi con l'enorme "Questione sociale" costituita da bisogni, diffusi ed altamente drammatici, che attanagliano larga parte dei nostri consimili.

E però, nel grande quadro d'insieme, dal quale emerge l'impellenza cosmopolita, non si delinea soltanto la necessità di affrontare la "Questione sociale globale", ma anche la necessità di affrontarla in una dimensione di pluralismo culturale e religioso, una dimensione tanto più irriducibilmente pluralista quanto più la si guardi su scala globale. Perciò, operano di fatto contro la pace coloro i quali rivendicano le radici cristiane dell'Europa all'interno di una logica identitaria, indebolendo se non avversando l'impegno occidentale a favore del pluralismo.
E qui mi pare in ultima analisi che il ragionamento sul governo cosmopolita e la democrazia mondiale approdi al suolo della socialdemocrazia europea, che nel nostro tempo si vede posta dinanzi al suo compito più alto e generale. Centocinquant'anni di tradizione politico-organizzativa della socialdemocrazia europea -- oppostasi con successo all'inumano sfruttamento capitalista, all'imperialismo nazionalista, al clerico-fascismo, al nazi-fascismo e al comunismo sovietico -- nascono dal combinato disposto tra l'idea di Giustizia, sottesa all'impegno nella Questione sociale globale, e l'idea di Libertà, sottesa a una accettazione laicamente ispirata delle diversità culturali.

Chi in questi giorni (giugno 2006, ndr), nel corso di un'insulsa querelle sul "cattocomunismo", va accusando alcuni esponenti del centro-sinistra al governo di essere divenuti troppo "laici" e di aver smarrito la tensione ideale a favore della Giustizia che era un tempo caratteristica del PCI e del dissenso cattolico, dimentica che la laicità non può in alcun modo essere ridotta a mera questione di individualismo o indifferentismo etico, ma investe la condizione di milioni di lavoratori e di giovani immigrati nonché, come si è detto, la questione stessa della pace.

Non è un caso che il dissidio globale ribollente e diffuso cui assistiamo ormai da un decennio e più nelle varie aree calde del mondo denunci costanti motivazioni, o comunque giustificazioni etnico-religiose. Sicché il ruolo politico dell'UE nell'articolazione di una prospettiva democratica globale non potrebbe rivendicare alcunacredibilità presso altri grandi interlocutori -- quali il mondo islamico, la Cina, l'India -- laddove esso non s'improntasse alla nozione di laicità, base possibile per un dialogo interculturale volto ad adeguare in senso democratico e multilaterale le istituzioni politiche del mondo in cui viviamo.

Certo, ci sono forze che operano sullo scenario internazionale mostrando sensibilità ai problemi sociali, e in prima fila troviamo impegnate su questo fronte le grandi istituzioni religiose. E ci sono forze che operano sullo scenario internazionale mostrando sensibilità al problema dei diritti e delle libertà, e in prima fila troviamo impegnate su questo fronte le grandi istituzioni economiche. Ma a memoria d'uomo non è nota alcuna formazione politica strutturata su scala mondiale e in grado di declinare concretamente il binomio di Giustizia e di Libertà: fatta eccezione per l'Internazionale Socialista, pur con tutti i suoi limiti, fragilità e debolezze.

Se insomma non si può negare che il compito generale della politica si misuri oggi anzitutto e soprattutto in rapporto al problema di dare un governo democratico alla globalizzazione dell'economia e al confronto tra le culture, allora si dovrà pur ritenere che gli strumenti teorici, la cultura politica laica, la vastissima rete di organizzazioni ed esperienze storiche sedimentatesi in centocinquant'anni di lotte del movimento operaio europeo rappresentano oggi più che mai un bene politico prezioso per tutta l'umanità. A me questo ragionamento pare lampante, e sinceramente mi deprime leggere che il sindaco-filosofo di Venezia, Massimo Cacciari, pur consapevole di cose geopolitiche, accusi noi socialisti di "ottocentismo".

Il compito, classicamente riformista, "di raggiungere democraticamente il governo del paese per governare bene" va dunque ri-concepito nell'orizzonte di una democrazia globale. Ed è solo a partire da questo criterio generale che si può comprendere, per converso, quale "partito" sia più adatto ad affrontare la sfida del nostro tempo. Con il che spero sia divenuta evidente la ragione per cui, quando usiamo l'espressione "partito", dovremmo in primo luogo ragionare non di DS, DL o SDI, ma di formazioni politiche internazionali. Ed è assai bizzarro che in Italia si faccia esattamente il contrario.

Per quanto detto, anche la crisi della "forma partito" non pare superabile né a partire da una rozza contrapposizione tra "società politica" e "società civile" e nemmeno basterebbe abbracciare una prospettiva radicalmente tesa a sconfiggere le tendenze oligarchiche insite nella "partitocrazia". Ciò che occorre è anzitutto assumere una prospettiva transnazionale. L'azione del partito e il nostro impegno in esso devono possedere sì radicamento territoriale, ma anche un orizzonte generale. La crisi della forma partito corre parallela alla crisi dello stato-nazione.

Dopodiché, il dubbio che ci poniamo è se i dirigenti diessini si rendano veramente conto di che cosa comporti spingere verso lo "spacchettamento" del socialismo europeo per costruire qualcosa che viene presentato come più bello, più nuovo e più transoceanico, ma che in realtà risponde alla ben nota logica dell'anomalia italiana e della sua eterna conservazione gattopardesca.

Se i DS, nati a Firenze nel 1998 con lo scopo di costruire anche in Italia un grande partito del socialismo europeo capace di candidarsi al governo del paese (heri dicebamus), abbandoneranno questo progetto originario e se provocassero così l'ennesima spaccatura all'interno della sinistra italiana e internazionale, gli effetti potrebbero essere più o meno questi tre: a) un notevole spostamento a destra dell'asse politico nel nostro Paese; b) un sensibile spostamento a destra dell'asse politico europeo; c) un lieve spostamento a destra dell'asse terrestre. Per adesso tutto questo però non è ancora avvenuto. Speriamo che se ne possa parlare seriamente. (2. Fine)

Poscritto 4.6.2008 - Il mio intervento del 2006, qui sopra riportato, si concludeva con la speranza che se ne potesse parlare seriamente. Ciò non è accaduto né prima né durante né dopo lo scioglimento del Pci-Pds-Ds nel Pd. E le conseguenze si sanno. Ma neanche di questo si sta parlando seriamente. Intanto il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha manifestato il 2 giugno, giorno solenne, un rischio di "regressione civile" nel nostro Paese. Non sono bazzecole. Chi ne assume la responsabilità? Il gruppo dirigente del Pci-Pds-Ds-Pd tace, e del resto a giudizio di molti (Macaluso, Romano, Besostri, Vander, Bagnoli per citarne solo alcuni a me noti) esso ha mirato principalmente alla conservazione trasformista della propria ubicazione dentro l'establishment italiano. Ma anche coloro i quali ritenevano che almeno l'ancoraggio europeo (e quindi al socialismo europeo) rappresentasse "di fatto" un punto di riferimento molto saldo a sinistra, si trova oggi a porsi alcune scomode domande: noi siamo tra questi. Il PD sta navigando in direzione di un riformismo europeo? Finora non siamo riusciti a capirlo. Saremmo molto grati a chiunque, e soprattutto a Veltroni, se ci fosse data una maggior trasparenza su questo punto decisivo. Altrimenti non importa. Tra pochi mesi, in concomitanza con le elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo, anche il mistero della collocazione internazionale del PD sarà svelato. - AE

martedì 3 giugno 2008

Governare bene

"Se i DS, nati a Firenze nel 1998 con lo scopo di costruire anche in Italia un grande partito del socialismo europeo abbandoneranno questo progetto provocando l’ennesima spaccatura all’interno della sinistra italiana e internazionale, gli effetti potrebbero essere più o meno questi tre: a) un notevole spostamento a destra dell’asse politico nel nostro Paese; b) un sensibile spostamento a destra dell’asse politico europeo; c) un lieve spostamento a destra dell’asse terrestre". Di seguito il testo del discorso tenuto il 21 giugno 2006 al teatro S. Carlo di Milano dal nostro direttore, Andrea Ermano, nell'ambito del convegno "Sinistra come in Europa - Autonoma, socialista, laica" i cui atti sono pubblicati dalle Edizioni ADL.

di Andrea Ermano
Seguo da tempo, con attenzione, il dibattito in posta elettronica nella Newsgroup della Sezione DS “Aldo Aniasi” di Milano Centro, dove nelle scorse settimane mi ha colpito un’osservazione sul Partito democratico: “In assenza della fede in futuri eventi rivoluzionari” – scriveva una compagna – “l’obiettivo di un partito riformista non può che essere quello di raggiungere democraticamente il governo del paese per governare bene: cioè modificare le condizioni materiali e immateriali di vita della gente qui e ora, secondo un definito schema di valori”.
Penso anch’io che l’obiettivo dell’azione politica, rispetto alla quale il partito è sempre solo un mezzo e non mai un fine, “non può che essere quello di raggiungere democraticamente il governo del paese per governare bene”. Governare bene. Se non che, bisogna dirlo, il Paese non appare più governabile a partire da un orizzonte nazionale. Il nostro orizzonte di governabilità è l’Europa: un “giudizio di fatto” valido, mi pare, anche indipendentemente dal nostro schema di valori, che tradizionalmente colloca (o dovrebbe collocare) il concetto di “nazione” nell’umanità intera.

Che l’Europa rappresenti l’orizzonte di governabilità dell’Italia costituisce del resto il caposaldo politico-programmatico comune del centro-sinistra italiano. Si tratta, ancorché tardivamente, di un esito del dibattito politico: desideriamo ricordarlo agl'immemori, anche perché in anni lontani, ma non dimenticati, fu questa editrice a diffondere il Manifesto di Rossi, Spinelli, Colorni e Ursula Hirschmann. Era pervenuto alla “Cooperativa” di Zurigo dall’isola di Ventotene, trafugato nel doppiofondo d’una valigia. Seguì poi da Tolosa il documento di Silvio Trentin, Libérer et Fédérer.
«Più tardi conoscemmo appelli e testi analoghi, che provenivano dai gruppi francesi di “Combat”, di “Franc-Tireur” e di “Liberté”, dal “Movimento del lavoro libero” in Norvegia, dal “Movimento Vrij Nederland” in Olanda e anche da sparsi gruppi di tedeschi antinazisti, alcuni dei quali pagarono con la vita la loro avversione alla tirannia», scriveva Silone rievocando l’epoca in cui egli – a partire dal 1941 e contro l’evidenza massiccia di armate hitleriane ormai stanziali, da Parigi a Stalingrado – diede alle stampe quegli appelli, quei manifesti, quelle ipotesi visionarie di chi allora osò pensare che occorresse liberare e federare l’Europa superando i confini delle nazioni.
Oggi abbiamo di nuovo bisogno di quel coraggio ideale per determinare di che consista il progetto europeo in rapporto alle sue finalità possibili: contribuire alla costruzione di un mondo più giusto ed equamente libero per tutti.

Questo noi abbiamo il dovere di ricordarlo, ma non tanto a legittimo titolo di merito per L’Avvenire dei lavoratori come editrice clandestina del "Manifesto di Ventotene", quanto soprattutto a comprova della forza delle idee.

Orbene, solo su un piano di riflessione europeista dove la posta in gioco è se e come l’UE riuscirà a costituirsi in quanto soggetto globale, mi pare possibile inquadrare un dibattito circa le prospettive e la cultura di governo di un partito riformista in Italia. Il punto dolente consiste tuttavia nel fatto che – come avvertono autorevoli osservatori, tra cui l’ex cancelliere Schmidt – nemmeno la governabilità dell’Europa appare realizzabile di per sé, ma dipende a sua volta dalla costellazione globale. Sicché il problema di fondo consiste nel compito di progettare un contributo europeo alla governabilità del mondo.

In alternativa a questo progetto, che Kant chiamava di federalismo cosmopolita, c’è il rischio di uno sgoverno globalizzato sotto l’egida del "mercato", che quanto a forza regolatrice non appare per nulla in grado di intervenire là dove non sussistano attese di profitto quantificabili sul breve termine.

Sic stantibus rebus che ne sarà allora delle grandi questioni rispetto alle quali i feticci neo-liberisti non mostrano alcuna efficacia? Rimarrebbero fatalmente, ovviamente, delle grandi questioni irrisolte. Pensiamo ai mutamenti climatici, per fare un esempio: le conseguenze che si profilano saranno ben più drammatiche di quanto sinora assunto. Da ultimo lo ha certificato nel gennaio scorso il Meteorological Office britannico in un’autorevole sintesi degli studi di settore (Avoiding Dangerous Climate Change). Nella prefazione al volume Tony Blair scrive: “I risultati qui esposti evidenziano come i rischi connessi al mutamento climatico in atto siano ben maggiori di quanto pensassimo”. Accenti inconsueti per un capo di governo occidentale. L’allarme è evidente.

La questione climatica si costituisce come un ambito, vitale per l'umanità, in cui il capitalismo e il libero mercato hanno finora battuto la fiacca. Si tratta di uno dei molti esempi possibili. Ma basta a affermare che, molto laicamente, sull’umanità incombe un rischio multiplo di catastrofe.

Il ragionamento è semplice, un macro-mutamento climatico acuirebbe verosimilmente la già seria crisi alimentare, con conseguenze non solo umanitarie, causa la mancanza d’acqua e l’aumento delle carestie, ma anche strategiche, causa il probabile insorgere di nuovi conflitti armati per l’accaparramento delle risorse residue.

Nessuna persona di senno può negare questi enormi fattori di rischio. Ne consegue che il problema della governabilità, se posto seriamente, non può fermarsi alla scala comunale, regionale o nazionale, ma deve collocarsi in un orizzonte generale dove il progetto cosmopolita ci sfida tutti in modo sempre più urgente.

Non mi è possibile in questa sede, neppure per brevi cenni, tratteggiare la questione, che pur si addensa all’orizzonte, di uno stato d’eccezione globale. Alcuni pensatori contemporanei hanno da qualche tempo avviato su ciò le loro riflessioni. Basti dire che su questa tematica, di benjaminiana memoria, s’impernia in sostanza il dissidio tra la “nuova destra” americana e la “vecchia Europa”.

Mi limito qui a tener fermo solo a questo caposaldo: se la “vecchia Europa” intende concretamente opporsi alla folle tentazione di stringere i ranghi dell’Occidente puntando a governare il pianeta in forza della supremazia tecnologico-militare, occorrerà allora che qualcuno da Bruxelles vada “là fuori”, tra i miliardi e miliardi di nostri consimili, a costruire consenso e collaborazione sulle emergenze che (in ambito ambientale, demografico, alimentare e strategico) minacciano tutti.

Capisco che il contenuto di queste osservazioni può apparire un po' ansiogeno, soprattutto in tempi di egemonia culturale televisiva. Ma la parola “democrazia”, se ancora possiede un senso proprio, dovrebbe significare assunzione di responsabilità da parte di tutti e di ciascuno. Per noi italiani questo rinvia all'Europa. E non è dato capire quale altra grande visione politica dovrebbe perseguire l’Unione se non quella di promuovere una governance democratica mondiale, multilaterale e pacifica.

Insomma, la "vecchia Europa" ha buone ragioni “oggettive” e altrettanto solide ragioni “soggettive” per tessere una prospettiva di azione generale che punti all’adesione di parte consistente degli esseri umani a un progetto di governo politico del mondo. (1. Continua)