PERISCOPIO SOCIALISTA
La vittoria di Pisapia a Milano, che è stata una vittoria della politica contro l'antipolitica, contro quella di destra ma anche contro quella di sinistra, ha rimescolato gli elettorati e le stesse militanze: iscritti al PD e al PSI non hanno seguito, in tutta evidenza, gli orientamenti dei loro segretari. Ma queste sono le primarie, baby.
di Felice Besostri
Come si è doviziosamente appreso dai giornali, Milano democratica e progressista ha scelto Giuliano Pisapia quale sfidante della Moratti, lui nominato alle primarie, lei unta dal Capo in tele-collegamento a una manifestazione nel chiuso di un teatro. Già il metodo di scelta costituisce una bella differenza: da un lato decine di migliaia di cittadini che hanno sfidato il maltempo, dall’altro un’investitura di tipo feudale. Nel campo progressista c’erano quattro candidature misuratesi con i cittadini elettori, nell’altro i dissensi e i malumori risolti in via autoritaria dal padre-padrone.
Se Milano avesse ritrovato l’orgoglio delle sue radici riformiste dovrebbe bastare il metodo di investitura, oltre che una decina d’anni di malgoverno cittadino, per far girare pagina alle prossime elezioni municipali. I numeri ci sono e il successo di Pisapia anche nelle circoscrizioni 1, 3 e 6 (zone di borghesia media e medio-alta), dimostra che si può ancora incidere su un elettorato perduto a sinistra da parecchi anni anni. Si può ricreare quella saldatura tra elettorato popolare e ceti medi, che prima del fascismo e poi ancora nel secondo dopoguerra avevano assicurato buone, solide amministrazioni a guida socialista e basate sull’asse PSI-PCI.
Pisapia si è candidato anticipando le mosse dei partiti. Non è il solito personaggio di una “società civile” che ritiene di stare “fuori” dalla quando non addirittura “al di sopra” della politica. Si era già speso, candidandosi da indipendente in Rifondazione Comunista alla Camera dei deputati. Una storia chiaramente “di sinistra”, dunque, ma con tratti differenti da quelli comuni a una certa sinistra.
Da avvocato e da presidente della Commissione giustizia a Montecitorio Pisapia è sempre stato un convinto garantista, che non vuol dir altro se non fedeltà ai principi della nostra Costituzione.
Da candidato alle primarie ha dichiarato fin da principio che i suoi modelli erano le amministrazioni a guida socialista di Milano, indicando nomi e cognomi: da Antonio Greppi ad Aldo Aniasi fino a Carlo Tognoli. In Europa ha indicato come punti di riferimento le municipalità di Berlino, Parigi e Barcellona, anche queste a guida socialista. Si tratta di chiare indicazioni politico-programmatiche riaffermate, del resto, più volte a partire da un’intervista al quotidiano il manifesto oltre che al convegno del Gruppo di Volpedo.
Una rivoluzione copernicana, per Milano, se pensiamo che vent’anni fa il candidato di centrosinistra alla carica si era distinto per avere guidato dei manifestanti sotto la sede del PSI al tempo di tangentopoli, in un accesso (troppo facile) populismo forcaiolo. E fu così che una fetta importante di elettorato socialista, composto in grandissima parte da persone perbene è stata regalata al centro-destra o confinata nell’astensione.
SEL e la Federazione della Sinistra hanno appoggiato fin da subito la candidatura di Pisapia, ma senza metterci sopra il cappello di un’esclusività. La manifestazione di sostegno con Vendola e Gad Lerner è stata bella e partecipata, ma al successo di Pisapia hanno contribuito le migliaia di contatti di base ed il lavorio dei comitati di sostegno, tra cui quello dei “Socialisti e libertari per Pisapia”, nato da un appello di persone perbene, intellettuali, professionisti e amministratori o dirigenti di partito, distintisi per avere contribuito all’immagine socialista di Milano.
Milano è sempre stato un laboratorio politico, che ha preceduto scelte nazionali, questa regola vale nel bene come nel male, dagli esordi del socialismo riformista di Filippo Turati alla nascita del fascismo fino alla sua sconfitta il 25 aprile del 1945, e nel secondo dopoguerra dal buongoverno cittadino all’estremismo di piazza e alla strategia della tensione, e poi ancora dal politicismo di Craxi all’antipolitica di Berlusconi.
Con la vittoria di Pisapia è nata nei fatti a Milano una nuova sinistra, non confinata nell’antagonismo, ma portatrice di un progetto di governo e di una alternativa cedibile alla destra. Tra i suoi sostenitori ci sono tutte le anime di quella che Edgar Morin ha definito ma gauche (“la mia sinistra”), fatta di socialisti, comunisti, ambientalisti e libertari, e che dovrebbe diventare, speriamolo, la nostra.
Questa vittoria ha rimescolato gli elettorati di sinistra e le stesse militanze, iscritti al PD e al PSI non hanno seguito, in tutta evidenza, gli orientamenti dei loro segretari.
Ora inizia un percorso di consolidamento delle alleanze, di definizione programmatica e di scelte politiche, tra cui la formazione di una lista comune alle forze che hanno sostenuto Pisapia alle primarie. Se non si vuol confinare a Milano il significato del processo innestato dalla candidatura alle primarie, non dovrà esserci una “Lista Pisapia” (sulla falsariga della “Lista Penati” delle regionali). No, se la personalità del candidato è un elemento importante, il personalismo rappresenta tuttavia una delle degenerazioni antipolitiche imposteci dal berlusconismo, da evitare anche se di sinistra.