lunedì 21 dicembre 2009

I socialisti e SEL

Periscopio socialista 

IL PROGETTO DI SINISTRA E LIBERTA' NON DEVE FINIRE: PER UNA SINISTRA, IN ITALIA COME IN EUROPA, SOCIALISTA, AUTONOMA, DEMOCRATICA, ECOLOGISTA, LIBERTARIA, EUROPEISTA E LAICA

di Felice Besostri 

A Roma è stata convocata un'assemblea nazionale sul futuro di SeL. L'assemblea è stata indetta dalla Sinistra Democratica di Fava e dal MPS di Vendola, cioè da parte di alcuni dei soggetti che avevano dato vita a Sinistra e Libertà per le elezioni del Parlamento Europeo: non ci sarà la Federazione dei Verdi e non ci sarà il PSI.

    La Federazione dei Verdi, con il suo congresso, si è chiamata definitivamente fuori, adeguandosi al trend europeo dei Verdi, mentre i socialisti hanno posto pali e paletti alla trasformazione di un alleanza elettorale in un partito politico.

    Per evitare equivoci dico subito che ogni partito, che non definisca un proprio programma e le proprie basi ideologiche, nonché, nell'attuale fase di internazionalizzazione dell'economia e della politica, la propria affiliazione internazionale, poggia su basi fragili.

    Dopo il fallimento della Sinistra Arcobaleno la sinistra italiana non può più permettersi di fare ammucchiate al solo fine di superare clausole di sbarramento (Detto incidentalmente, di dubbia costituzionalità, come ha ritenuto il TAR Lazio con ordinanza depositata il 15 dicembre, proprio nel ricorso promosso unitariamente da tutte le componenti di Sinistra e Libertà).

    Sinistra e Libertà ha rappresentato un inizio o una speranza di progetto politico, al di là delle intenzioni e riserve mentali di chi vi ha dato vita. La risposta sul significato di Sinistra e Libertà è stata data soprattutto dai suoi elettori, che in grande maggioranza non provenivano dall'elettorato di riferimento dei soggetti costitutivi. Questo aspetto positivo era ed è controbilanciato da quello negativo di non essere stati capaci di trascinare tutto il proprio elettorato potenziale in Sinistra e Libertà.

    Come nel resto d'Europa la sinistra è punita dall'astensione del suo elettorato tradizionale deluso o insoddisfatto dalle politiche perseguite o dalla scarsità dei risultati raggiunti o ancora dalla sfiducia verso le proposte concrete per uscire dalla crisi. Il mio partito, quello socialista, l'unico al quale sono e intendo rimanere iscritto, ha deciso di non partecipare all'assemblea di Roma e ha invitato tutti i suoi iscritti, e a maggior ragione i suoi dirigenti a non partecipare a coordinamenti e assemblee sotto l'egida di una Sinistra e Libertà a geometria parziale. E, tuttavia sono qua, da socialista, ma senza rappresentare il Psi.

    I socialisti sono rappresentati collettivamente dai loro organi nazionali ed è con essi che si devono fare gli accordi o registrare i dissensi. Ho già scritto e confermo che sarebbe una iattura che il PSI si dividesse in filoSEL ed antiSEL, così come chi partecipasse all'assemblea si dividesse tra antisocialisti viscerali e filosocialisti ecumenici: sia in un caso che nell'altro sarebbe tradito lo spirito originario di Sinistra e Libertà, quello di ricostituire una nuova sinistra in Italia.

    Non ci sarà una sinistra nuova, possibile e futura, se non ci si libera dagli stereotipi e dal settarismo. La mia presenza qui vuole essere anche una testimonianza individuale di una sinistra ampia e plurale. Non c'è bisogno di essere un personaggio carismatico, come Martin Luther King, per dire I have a dream, un sogno può coltivarlo ciascuno di noi ed il mio è quello di avere anche in Italia una sinistra, come in Europa, socialista, autonoma, democratica, ecologista, libertaria, europeista e laica.

    Vorrei una sinistra, come non c'è mai stata in Italia, con vocazione maggioritaria.
    Vocazione maggioritaria non significa aspirazione a stare in maggioranza, comunque e con chiunque, ma proposta di governare il proprio paese con propri programmi e con propri uomini e donne alla guida del governo. Una vocazione, che dal consenso democratico e soltanto da esso, tragga la sua legittimazione e forza. L'accettazione senza riserve del nesso indissolubile tra socialismo, libertà e democrazia è l'unica scriminante possibile. Per questo si devono superare le ragioni della divisione del XX secolo tra socialisti e comunisti. Questo superamento è necessario, ma non sufficiente per costituire una nuova sinistra:senza l'apporto dell'ecologismo, del femminismo e dei diritti civili non ci sarà una nuova sinistra. Piuttosto dai nostri padri del secolo passato e del XIX secolo dovremmo imparare che non c'è sinistra senza un'idea altra di società. In altre parole senza una critica della società esistente e dei suoi valori fondanti non abbiamo una ragione di esistere e di aspirare a governare questo nostro paese sulla base di una riconquistata egemonia, che sostituisca quella della destra.

    Il fallimento delle ricette neo liberiste è sotto gli occhi di tutti sia a livello globale che europeo e nazionale, eppure il consenso per i partiti conservatori non diminuisce, salvo poche eccezioni nel nostro continente. Mi convinco sempre più che la parola SINISTRA, costituisca un recinto chiuso e non un terreno di espansione, al più definisce dove ci si colloca e non dove si intenda andare. Socialismo e comunismo avevano un ben più forte capacità simbolica, che deve essere ritrovata, sia pure senza fare sconti ad errori o tragedie, che hanno generato.

    Quelli che partecipano all'assemblea e quelli, che non vi partecipano hanno l'obbligo di fare chiarezza ed il modo più semplice è quello di rispondere almeno a due domande:

   1)      E' possibile costruire una nuova sinistra senza una forte e accettata presenza socialista?
    2)      E' possibile una significativa presenza socialista al di fuori di una chiara opzione di sinistra?
La mia risposta è no ad entrambe le domande, ma non sono rilevanti le mie risposte, esse, come le mie azioni impegnano soltanto me stesso. Devono rispondere le nomenklature poiché decidono anche per gli altri. Non vorrei che nel deterioramento dei rapporti giochino riflessi di conservazione autoreferenziali e che si voglia conservare un proprio tesoretto da portare, ciascuno per proprio conto al PD. Non voglio nemmeno pensare che una specie di sindrome leghista si sia impadronita di compagni, che devono dimostrare chi ce l'ha più duro. La posta in gioco non è l'abilità nello scrivere documenti di polisemica interpretazione, ma il nostro futuro di persone che credono che un'altra società sia possibile e che dipenda anche da noi.

    Come altri ho creduto e credo nel progetto annunciato ed enunciato da Sinistra e Libertà e non posso assistere da spettatore al suo fallimento. Quando con altri compagni socialisti ho accettato di fare campagna elettorale per il Parlamento europeo ed addirittura di candidarmi per la Provincia di Milano, senza i Verdi e con un candidato presidente non convincente, ci ho messo la mia faccia e la mia storia di una militanza socialista e di sinistra iniziata nel 1961.

    Se fosse stata un'alleanza elettorale destinata a finire dopo le elezioni, avrei detto NO, GRAZIE! Neppure mi sento di interpretare con mezzo secolo di ritardo quei personaggi da rivista Candido, cui era dedicata la rubrica “Contrordine compagni!” Quindi mi assumo la responsabilità ed il rischio di partecipare a questa assemblea e voi quella di porre la parola fine ad un progetto, come sarebbe inevitabile se una parte, ancorché maggioritaria, ma questo oggi nessuno lo può dire, decidesse di trasformarsi in un partito, che pretenda la rappresentanza esclusiva di Sinistra e Libertà: questa è la sostanza, che non cambia se si aggiunge nel nome e nel logo una verde scritta ecologia.

    So che questa preoccupazione è condivisa da altri soggetti costitutivi di SeL, come l'Alleanza Lib-Lab, un esempio della capacità di attrazione del progetto, anche al di fuori dagli ambiti tradizionali delle sinistre.

    Sono qui, perché, come partecipante al Gruppo di Volpedo, sono impegnato nella trasformazione del PSE, il cui ultimo congresso di Praga rappresenta una decisa svolta a sinistra e con quella forza Sinistra e Libertà nel suo complesso si dovrà confrontare. Sono qui soprattutto per la ragione che i compagni della zona 8 di Milano, quelli con cui ho lavorato politicamente prima, durante e dopo le elezioni mi hanno eletto delegato in piena conoscenza delle mie opinioni sempre liberamente espresse in riunioni pubbliche. Un patrimonio prezioso di pratica unitaria, che non può essere disperso e che deve continuare in un costante confronto di idee e proposte.

    Questo spirito farà sì che alle prossime elezioni regionali lombarde si ricostituirà Sinistra e Libertà, una scelta avallata dalle Tesi approvate dalla maggioranza del Congresso provinciale straordinario del PSI di Milano e provincia e dal documento finale, in perfetta sintonia con le decisioni del livello regionale. Sono qui non per fare il socialista sciolto o in liquidazione, ma riconfermare un'adesione al progetto, che deve uscire rafforzato da questa assemblea.     
Economia 

USCITA DALLA CRISI CON PARECCHI LIVIDI
E LE GRANDI BANCHE SONO OGGI PIU’ FORTI
Gli Stati hanno cacciato miliardi di dollari per salvare i colossi della finanza. "I sopravvissuti – ha detto Martin Wolf dalle pagine del Financial Times -- costituiscono un oligopolio di colossi finanziari troppo grandi ed interconnessi per fallire. Sono vincenti non in quanto aziende migliori, ma perche’ piu’ aiutate".  di M. Sironi 

La finanziaria presentata qualche giorno fa dal governo britannico merita di essere ricordata almeno per un fatto: prevede un’imposta una tantum del 40% sui bonus dei manager bancari superiori alle 25.000 sterline. Non  e’ molto, ma per ora si tratta del solo segno concreto da parte dei governi di voler tradurre in pratica quanto deciso nel G20 di Pittsburgh. 

    A Pittsburgh della crisi finanziaria si e’ parlato solo per affermare che: il peggio e’ passato ma il pericolo resta, e’ bene che le banche rafforzino i loro capitali, bisogna mettere un tetto alle retribuzioni dei manager bancari. E poiche’ gli esperti di mezzo mondo hanno passato  tutto il 2008 ed il 2009 a fare convegni per discutere quali regole, quali controlli, quali interventi attuare per scongiurare un'altra catastrofe del credito, la delusione specie in Europa e’ stata grande.  Si poteva fare di piu’. E le critiche, di qua e di la’ dall’Atlantico,  non hanno risparmiato neppure il presidente Obama, accusato di voler rendere ancor piu’ pletorico l’apparato delle autorita’ di vigilanza statunitensi.

    Alle 115 authority presenti sul territorio americano (Fed, Ministero del Tesoro, Sec le piu’ importanti piu’ altre cento agenzie di controllo locale, tutte comunque incapaci di prevedere la crisi dei subprime) Obama vorrebbe aggiungerne altre due: un’agenzia federale di Supervisione Bancaria, e un’agenzia federale di Tutela del Consumatore.  ‘’Piu’ agenzie ci sono, piu’ rendite politiche ci sono’’- commentano i critici.  E intanto gli hedge fund, il mercato dei credit default swaps, le agenzie di rating, come fa notare  l’apprezzato economista Donato Masciandaro, continuano ad agire quasi senza regole.

    Ma il peggio e’ passato. Anzi, le banche hanno ricominciato a macinare utili come ai bei tempi , e soprattutto con gli stessi sistemi usati ai  bei tempi, ovvero  la finanza speculativa. ‘’Lo scarto tra il mondo finanziario che vorremmo e quello che si riesce ad ottenere sta ampliandosi – ha fatto notare il bocconiano Marco Onado intervenendo al convegno di Courmayeur – ed ora prevale la soddisfazione perche’ i profitti delle banche sono in ripresa’’. 

    Ma il mondo sembra essersi dimenticato che nel 2009 il PIL mondiale segnera’ una flessione del 5%, mentre i salvataggi delle grandi banche hanno assorbito 8 trilioni di dollari, cifra equivalente al 9% dello stesso PIL. E i banchieri hanno dalla loro una scusa inattaccabile:  non e’ certo finanziando aziende in crisi ai modestissimi tassi attuali che si possono fare utili. Per fare profitti non resta altro che la finanza speculativa. Insomma, osserva Onado, la ‘’sbornia della finanza internazionale e’ stata curata con la grappa’’.

    Ma non e’ il caso di stupirsi piu’ di tanto: ‘’Come puo’ un governo sorvegliare una banca come la UBS – osserva Marco Vitale, altro apprezzato economista – se la UBS ha un bilancio sei volte piu’ grande di quello dello Stato stesso? ‘’

    Quindi, avendo gli Stati cacciato miliardi di dollari per salvare i colossi della finanza,  il sistema finanziario che emerge dalla crisi e’ ancor peggiore di quello precedente. ‘’I sopravvissuti – ha detto Martin Wolf dalle pagine del Financial Times -  costituiscono un oligopolio di colossi finanziari troppo grandi ed interconnessi per fallire. Sono vincenti non in quanto aziende migliori, ma perche’ piu’ aiutate’’. 

    Alla fine si e’ imposto il principio del ‘’too big to fail’’, e pazienza se si tratta di un principio inconciliabile con i presupposti dell’economia di mercato. Le grandi banche, ancorche’ ridotte di numero, proprio per questo sono piu’ potenti e piu’ protette dalla concorrenza, commenta Marco Vitale. E le regole  (o meglio l’assenza di regole ) che hanno portato al disastro restano ben salde perche’ nessuno spinge piu’ in modo serio per correggerle.     

domenica 6 dicembre 2009

PROCESSO BREVE

 
 
 
di Felice Besostri 
Il disegno di legge sul processo breve trae la sua ispirazione da un articolo della Costituzione (111) varato nella XIII legislatura (1996-2001) e già allora era stato, in una certa misura, un prezzo pagato a Forza Italia. Per farlo approvare in tempi brevi il Senatore Marcello Pera si incardinò temporaneamente presso la Commissione Affari Costituzionali.
    Sempre ai fini di accelerazione dell'iter parlamentare una materia che avrebbe dovuto essere affidata alla trattazione congiunta delle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali fu appunto affidata alla sola I Commissione.
    Niente scandalo per favore, la norma costituzionale non ha fatto altro che recepire la
    Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, sì proprio la stessa della decisione sul crocifisso!
    Si era fatto intendere che un accordo sul giusto processo avrebbe avuto come corrispettivo una diminuzione del filibustering, che al Senato, a causa del ristretto margine della maggioranza, teneva bloccati una serie di disegni di legge, tra cui quello sul conflitto di interessi.
Ovviamente la destra, ottenuto quel che voleva, non concesse nulla.
    I processi devono avere una ragionevole durata ed in Italia non ce l'hanno. Una tale situazione è intollerabile, perché di essa profittano soprattutto i colpevoli di reati.
    Per un colpevole più si allontana la condanna meglio è, c'è sempre una prescrizione, un indebito o un'amnistia dietro l'angolo.
    La durata dei processi è, invece, un incubo per gli innocenti e per le vittime.
    Una riforma va fatta, ma il disegno di legge del Governo è una "porcheria", come l'ha liquidato Casini.
    Non si possono fare leggi, ispirate da principi generali ed astratti, per risolvere un caso concreto, cioè i problemi personali di Berlusconi.
    Se questa è la filosofia, dobbiamo aspettarci un prossimo intervento in materia di diritto di famiglia su separazioni e divorzi: una specie di salva Berlusconi da Veronica.
    Già la fissazione di un eguale periodo biennale per ogni grado di giudizio mostra il carattere strumentale della riforma.
    Chiunque abbia una minima pratica delle aule di giustizia sa che il processo necessariamente più lungo è quello di primo grado, quello caratterizzato dall'acquisizione delle prove testimoniali e dalle perizie. In appello il rinnovo del dibattimento costituisce un'eccezione.
In Cassazione il processo è esclusivamente cartaceo.
    Si può rimanere nei sei anni (sempre che ci siano il personale ed i mezzi tecnici necessari) ma modulati in tre anni per il primo grado, due per l'appello ed uno per la Cassazione.
    Per quest'ultimo grado si potrebbero introdurre dei filtri di ammissibilità: un gran numero di ricorsi sono fatti per fini dilatori.
    Infine in caso di condanna in secondo grado basterebbe introdurre un semplice meccanismo come quello francese.
    Se l'imputato che ricorre è a piede libero, il ricorso in Cassazione diventa improcedibile se non ci si consegna in custodia alla vigilia della decisione.
    Chi ha fatto un ricorso infondato e a puri fini dilatori, cercherà di organizzare la sua latitanza piuttosto che attendere in custodia giudiziale l'esito del processo.
    Altra questione è quella di evitare automatismo, cioè non prevedere tempi di sospensione legale della durata del processo.
    Se un tribunale accogliesse un'eccezione di una costituzionalità di una norma e la rimettesse alla Corte Costituzionale, il processo sarebbe ancora sospeso, come ora?
    Un processo dove siano rilevanti perizie tecniche complesse o rogatorie internazionali deve durare due anni come quello per una rapina registrata dalla videosorveglianza?
    La stessa durata per un processo con un solo imputato e per uno con decine o centinaia?
    Tutte queste obiezioni tecniche non interessano al Premier e all'on. Ghedini: il processo Mills deve durare due anni, tutto il resto non importa.
    Le ragioni politiche del disegno di legge sono poi rese evidenti dall'elenco dei reati esclusi, tra i quali spiccano quelli collegati all'immigrazione clandestina. Le pene massime per questo reato sono inferiori ai dieci anni di pene massime edittale, il criterio usato per l'inclusione.
Per salvare sé stesso il Premier doveva dare qualcosa alla demagogia della Lega Nord.
Già emergono profili di incostituzionalità sull'applicazione della norma sulla ragionevole durata ai soli incensurati.
    Se sono coimputati un incensurato e un recidivo, che si fa? Due processi?
    Il disegno di legge non avrà vita facile, se persino avvocati, come Gaetano Pecorella, e giuristi, come il presidente emerito della Consulta Baldassarre, da anni vicini a Berlusconi ed alla sua maggioranza, sparano a zero sul testo.
    La ragione vera è un'altra: pare che serva solo per due processi su tre. A lui serve un'immunità totale e essere posto al riparo dalle sentenze civili sul risarcimento all'ing. De Benedetti e sulle richieste patrimoniali di Veronica Lario.
    Cercherà una via di uscita politica con le elezioni anticipate per liquidare in un colpo i nemici interni prima ancora degli oppositori esterni.
    Inoltre si precostituisce il Parlamento che deve eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.. Allo stato l'opposizione non costituisce un problema, con il PD non ancora consolidato, un centro oscillante tra le leadership di Rutelli e Casini e una IdV, giustizialista e demagogica. La sinistra, in tutte le sue anime, è fuori dal Parlamento e sta facendo di tutto per non rientrarci, anzi rischia persino di stare fuori dalle assemblee regionali.
    Il terrorismo islamico, che si appresterebbe a dinamitare Berlusconi è probabilmente una bufala o il frutto dei deliri di persecuzione di Berlusconi e di insignificanti terroristi paranoici.
Un consiglio di lettura a Berlusconi: "Yo, il Supremo" di Augusto Roa Bastos, più ancora del "El otoño del patriarca" di Gabriel García Márquez.
    Il tramonto di un caudillo avrà molto da insegnare al nostro Silvio.
    Se leggere, come lavorare, stanca e si sente perseguitato, può sempre rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo o trovare conforto nella contemplazione del crocifisso.


P.S. su Ciampi e Napolitano - Non par corrispondere alla verità storica contrapporre, come fa Balmelli (v. ADL del 25.11.09), Ciampi a Napolitano, quasi  che il primo fosse un intransigente ed il secondo un accomodante.

    Durante il settennato di Ciampi ci sono state ben sedici leggi ad personam,  alcune rispondenti direttamente ai problemi processuali di Berlusconi (per es. falso in bilancio), altre ai suoi interessi imprenditoriali, come la Gasparri. L'allora Presidente Ciampi ne ha contrastate solo due, tra cui la Gasparri sul riordino del sistema radio-televisivo.

    Grazie a un intenso lavorio preparatorio Ciampi era stato eletto alla quasi unanimità, mentre il mandato di Napolitano si fonda sul consenso del solo centro-sinistra. 

    Ora, io non sostengo che le quattordici leggi berlusconiane approvate da Ciampi senza colpo ferire, siano state il prezzo pagato a Berlusconi. Allo stesso modo auspico che non si pensi che lo stile inglese di Napolitano sia un prezzo pagato a una sua legittimazione ex-post.

    L'opposizione a Berlusconi si fa con programmi alternativi, mettendo così in crisi il suo blocco sociale di sostegno e non facendo la gara a chi faccia la faccia più feroce. . .

venerdì 20 novembre 2009

LA SINISTRA DEI LEMMING E LA DESTRA DEL PATRIARCA

Periscopio socialista 

di Felice Besostri 

LA SINISTRA DEI LEMMING

Nella sinistra italiana la spinta irrazionale in direzione mortale è fortissima, come testimoniano le attuali difficoltà di Sinistra e Libertà , stretta tra l'incudine dei frenatori e il martello degli acceleratori.

    Tra l'altro, Sinistra e Libertà si riferisce a un nome e a un simbolo che, dopo l'uscita della Federazione dei Verdi, è incerto si possano utilizzare alle prossime regionali. Non sarà la furbata di aggiungere in grande ed in verde la parola ECOLOGIA, al posto dei tre simbolini dei partitini a evitare i prevedibili problemi giuridici di domani. Ma tant'è, l'ottimismo della volontà batte il pessimismo della ragione e gli argomenti giuridici non interessano.

    Qui sorge una domanda: perché non si è abbandonato il termine SINISTRA per un più evocativo SOCIALISMO? Se si deve cambiare nome e simbolo, perché non farlo? Il termine “sinistra” indica una collocazione nello spazio politico e non una direzione di marcia o un obiettivo: non si può "andare" sempre più a sinistra, senza girare in tondo.

    Nel momento della più grave crisi del capitalismo si dovrebbe indicare, se non un modello alternativo di società, quantomeno una speranza di società diversa nei suoi valori fondanti. “Un altro mondo è possibile” - era lo slogan del Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre. Un mondo socialista? Pare che in Italia la parola "Socialismo" non sia più utilizzabile, per responsabilità dei ricordi e dei sentimenti che suscitano i socialisti, solo a sentirli nominare. In questo modo ci si taglia fuori dalla più grande forza di sinistra in Europa, quella del PSE.

    È comprensibile il dramma (duplice) di coloro che, nati comunisti, sono per un verso diventati prima "democratici di sinistra" (poi soltanto "democratici") e per l'altro verso di quelli che, avendo rifiutato il cambiamento, sono rimasti "comunisti". Se gli uni per e gli altri hanno poi dovuto rinunciare a chiamarsi "comunisti", si capisce che non possono sopportare il richiamo al "socialismo", come fosse una vittoria postuma di quelli che Tangentopoli avrebbe dovuto cancellare für ewig.

    La sinistra italiana è ridotta ai minimi termini (e i socialisti con essa). Sinistra e Libertà rappresentava un tentativo, già meglio riuscito di Sinistra Arcobaleno, ma per consolidarsi aveva bisogno di tempo. Invece, la defezione dei Verdi e le elezioni regionali alle porte hanno spinto la Sinistra Democratica di Fava e l'MPS di Vendola ad accelerare i tempi della costruzione del solito partito. Una casa rifugio di antiche certezze. Come se l'esistenza di un Segretario Generale, di un Comitato Centrale e di un Ufficio Politico potessero rappresentare il farmaco universale.

    Sono stati preparati regolamenti e procedure costitutive -- in assenza di programmi, basi ideologiche e affiliazioni internazionali certe... Certo, Vendola deve continuare a guidare la Regione Puglia. Ma se Sinistra e Libertà, per uno strano caso o per la bravura dei suoi avvocati, dovesse vincere i ricorsi sulle elezioni europee e Vendola fosse costretto ad accettare un posto nell'Europarlamento, a quale gruppo si iscriverebbe? Non è un problema politico?

    Non si deve nascondere che tra i socialisti ci siano riserve mentali, cresciute con la fuoriuscita dei Verdi e, anche, calcoli personali di suoi dirigenti. Ma queste resistenze sarebbero state vinte dalla bontà della proposta di rinnovamento. Le accelerazioni, in difformità dei patti sottoscritti, hanno, invece, rafforzato gli oppositori.

    I casi sono due. O Fava e Vendola non sono stati capaci di prevedere le reazioni ovvero erano previste. Nel primo caso c'è da dubitare che costoro siano idonei a far rinascere una sinistra in Italia. Nel secondo caso non hanno capito il contesto europeo della lotta politica e quindi sono inidonei come partner di un progetto di rinnovamento e di ricostruzione della sinistra italiana in quel contesto.

    In Europa, laddove a sinistra della socialdemocrazia ci siano dei competitori, nei casi di maggior successo questi si autodefiniscono "socialisti", come in Olanda o in Norvegia, ovvero, come la Linke in Germania, hanno una forte e chiara componente socialdemocratica.

    Quindi, o Sinistra e Libertà fa una scelta chiaramente socialista, con o senza il PSI (ma con il PSI sarebbe meglio), ovvero avrebbe maggior senso entrare a far parte come componente federata a Sinistra Alternativa oppure, secondo le inclinazioni, aderire individualmente al PD.

    Senza una componente socialista Sinistra e Libertà non ha senso, ma la presenza socialista non è risolta da adesioni di socialisti delusi dalla propria dirigenza. La coazione a ripetere o l'assenza di realismo, pensando magari che l'estremismo possa sostituire la radicalità perduta nel pensare una società "altra" rispetto a quella esistente, tutto ciò non "di sinistra", ma una "cosa sinistra" e basta (a meno che non si ritenga con i francesi che “dans la gauche il y a toujours quelque chose de sinistre”).

    Dopodiché, il 5 dicembre la manifestazione contro Berlusconi avrà successo, come quella del 24 ottobre 2008. Il successo della prossima manifestazione non toglierà la sinistra dalla crisi attuale, ma al limite servirà a convincere alcuni che l'Italia dei Valori sia l'unica opposizione o che il PD non è poi così tanto male. Chi non ha testa ha gambe. In fin dei conti quando un democrat come Nicola Latorre dice che il PD non conoscerà una deriva socialdemocratica, forse lo fa per rassicurare i nostalgici, ma non spiega la candidatura di Massimo D'Alema da parte del PSE. Sarebbe possibile senza un approdo socialdemocratico?

    Insomma, non tutto non è perduto, ma soltanto se ci si libera dai giochi dei vertici romani e del loro modo di far politica. Parliamo di elezioni regionali? Nei territori è ancora possibile proporre liste unitarie, con base nelle formazioni politiche già integrate in Sinistra e Libertà . Questo richiede doti di autonomia di pensiero e di azione cui da lungo tempo i militanti sono stati disabituati. Ma sarebbe il primo passo in una direzione diversa da quella dei lemming.


LA DESTRA DEL PATRIARCA

Il disegno di legge sul processo breve trae la sua ispirazione da un articolo della Costituzione (111) varato nella XIII legislatura (1996-2001) e già allora era stato, in una certa misura, un prezzo pagato a Forza Italia. Per farlo approvare in tempi brevi il Senatore Marcello Pera si incardinò temporaneamente presso la Commissione Affari Costituzionali.

    Sempre ai fini di accelerazione dell’iter parlamentare una materia che avrebbe dovuto essere affidata alla trattazione congiunta delle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali fu appunto affidata alla sola I Commissione.

    Niente scandalo per favore, la norma costituzionale non ha fatto altro che recepire la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, sì proprio la stessa della decisione sul crocifisso!

    Si era fatto intendere che un accordo sul giusto processo avrebbe avuto come corrispettivo una diminuzione del filibustering, che al Senato, a causa del ristretto margine della maggioranza, teneva bloccati una serie di disegni di legge, tra cui quello sul conflitto di interessi.

    Ovviamente la destra, ottenuto quel che voleva, non concesse nulla.
    I processi devono avere una ragionevole durata ed in Italia non ce l’hanno. Una tale situazione è intollerabile, perché di essa profittano soprattutto i colpevoli di reati.

    Per un colpevole più si allontana la condanna meglio è, c’è sempre una prescrizione, un indebito o un’amnistia dietro l’angolo.

    La durata dei processi è, invece, un incubo per gli innocenti e per le vittime.
    Una riforma va fatta, ma il disegno di legge del Governo è una “porcheria”, come l’ha liquidato Casini.
    Non si possono fare leggi, ispirate da principi generali ed astratti, per risolvere un caso concreto, cioè i problemi personali di Berlusconi.

    Se questa è la filosofia, dobbiamo aspettarci un prossimo intervento in materia di diritto di famiglia su separazioni e divorzi: una specie di salva Berlusconi da Veronica.
Già la fissazione di un eguale periodo biennale per ogni grado di giudizio mostra il carattere strumentale della riforma.

    Chiunque abbia una minima pratica delle aule di giustizia sa che il processo necessariamente più lungo è quello di primo grado, quello caratterizzato dall’acquisizione delle prove testimoniali e dalle perizie. In appello il rinnovo del dibattimento costituisce un’eccezione.
In Cassazione il processo è esclusivamente cartaceo.

    Si può rimanere nei sei anni (sempre che ci siano il personale ed i mezzi tecnici necessari) ma modulati in tre anni per il primo grado, due per l’appello ed uno per la Cassazione.
Per quest’ultimo grado si potrebbero introdurre dei filtri di ammissibilità: un gran numero di ricorsi sono fatti per fini dilatori.

    Infine in caso di condanna in secondo grado basterebbe introdurre un semplice meccanismo come quello francese.
    Se l’imputato che ricorre è a piede libero, il ricorso in Cassazione diventa improcedibile se non ci si consegna in custodia alla vigilia della decisione.

    Chi ha fatto un ricorso infondato e a puri fini dilatori, cercherà di organizzare la sua latitanza piuttosto che attendere in custodia giudiziale l’esito del processo.

    Altra questione è quella di evitare automatismo, cioè non prevedere tempi di sospensione legale della durata del processo.

    Se un tribunale accogliesse un’eccezione di una costituzionalità di una norma e la rimettesse alla Corte Costituzionale, il processo sarebbe ancora sospeso, come ora?

    Un processo dove siano rilevanti perizie tecniche complesse o rogatorie internazionali deve durare due anni come quello per una rapina registrata dalla videosorveglianza?

    La stessa durata per un processo con un solo imputato e per uno con decine o centinaia?
Tutte queste obiezioni tecniche non interessano al Premier e all’on. Ghedini: il processo Mills deve durare due anni, tutto il resto non importa.

    Le ragioni politiche del disegno di legge sono poi rese evidenti dall’elenco dei reati esclusi, tra i quali spiccano quelli collegati all’immigrazione clandestina. Le pene massime per questo reato sono inferiori ai dieci anni di pene massime edittale, il criterio usato per l'inclusione.

    Per salvare sé stesso il Premier doveva dare qualcosa alla demagogia della Lega Nord.
Già emergono profili di incostituzionalità sull’applicazione della norma sulla ragionevole durata ai soli incensurati.

    Se sono coimputati un incensurato e un recidivo, che si fa? Due processi?
    Il disegno di legge non avrà vita facile, se persino avvocati, come Gaetano Pecorella, e giuristi, come il presidente emerito della Consulta Baldassarre, da anni vicini a Berlusconi ed alla sua maggioranza, sparano a zero sul testo.

    La ragione vera è un’altra: pare che serva solo per due processi su tre. A lui serve un'immunità totale e essere posto al riparo dalle sentenze civili sul risarcimento all’ing. De Benedetti e sulle richieste patrimoniali di Veronica Lario.

    Cercherà una via di uscita politica con le elezioni anticipate per liquidare in un colpo i nemici interni prima ancora degli oppositori esterni.

    Inoltre si precostituisce il Parlamento che deve eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.. Allo stato l’opposizione non costituisce un problema, con il PD non ancora consolidato, un centro oscillante tra le leadership di Rutelli e Casini e una IdV, giustizialista e demagogica. La sinistra, in tutte le sue anime, è fuori dal Parlamento e sta facendo di tutto per non rientrarci, anzi rischia persino di stare fuori dalle assemblee regionali.

    Il terrorismo islamico, che si appresterebbe a dinamitare Berlusconi è probabilmente una bufala o il frutto dei deliri di persecuzione di Berlusconi e di insignificanti terroristi paranoici.
Un consiglio di lettura a Berlusconi: “Io, il Supremo” di Augusto Roa Bastos, più ancora del “L'autunno del patriarca” di Gabriel García Márquez. Il tramonto di un caudillo avrà molto da insegnare al nostro Silvio. 

giovedì 12 novembre 2009

CROCIFISSIONE DEL BUONSENSO

Periscopio socialista 

Sulla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo se ne sono sentite di cotte e di crude, purtroppo anche da settori dell'opposizione.

di Felice Besostri 

Sulla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo se ne sono sentite - e lette- di cotte e di crude: purtroppo anche da settori dell'opposizione. Si capisce che i partiti di governo si appiattiscano sule gerarchie cattoliche, ma il PD non dovrebbe.

    Le sentenze si commentano e, se del caso, si criticano, per le argomentazioni poste a suffragio della decisione: da alcuni commenti si può dubitare che la decisione sia stata letta nella sua integrità.

    Persino il Corriere della Sera ha pubblicato un fondo del prof. Lepri, che attacca la decisione emessa da 47 giudici, cioè dal Plenum della Corte, quando è stata emessa da una Camera della Corte, cioè da un collegio ristretto. Per questa ragione la decisione non è definitiva, perché si può ricorrere alla Gran Camera, come il Governo italiano ha deciso di fare.

    I giudici di Strasburgo non dovevano dare un giudizio sulle tradizioni del popolo italiano e del loro nesso, pur essendo in popolo di peccatori, a cominciare dai vertici istituzionali nazionali e regionali, con il cristianesimo e, quindi con il crocifisso. I giudici avevano un compito più limitato, cioè stabilire se l'esposizione del crocifisso in un'aula di una scuola pubblica fosse o meno rispettosa della Convenzione europea dei Diritti e Libertà fondamentali. La Convenzione è stata adottata dal Consiglio d'Europa e ratificata con legge della Repubblica Italiana e quindi è vincolante per tutti, Pubbliche Autorità e cittadini. Già si tratta di intendersi tra i critici della sentenza, perché per alcuni (Gelmini in testa) è un simbolo dei valori e delle tradizioni del popolo italiano, mentre per la Chiesa Cattolica il crocifisso è un simbolo universale dell'umanità sofferente: simbolo nazionale o universale? Non è la stessa cosa.

    Tra le corbellerie si è letto che per coerenza un cattolico dovrebbe far rimuovere la statua della dea pagana Athena, che sorge davanti ad un'Università romana ovvero che si dovrebbe far togliere la croce dalle bandiere nazionali di molti stati, tra cui la Finlandia (croce azzurra in campo bianco), patria di origine della, ora italianissima, ricorrente, madre di due studenti. Prima di giungere a Strasburgo aveva chiesto, invano, che fosse tolto il crocifisso dalle aule frequentate dai propri figli.

    Questo era l'oggetto del giudizio, non quello di rimuovere i crocifissi da tutte le scuole ovvero la rimozione dei crocefissi agli incroci o le Vie Crucis dai nostri Sacri Monti.

    Si può accedere alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, soltanto dopo aver esaurito i rimedi giurisdizionali nazionali. Questo, semmai, è lo scandalo, aver costretto una cittadina ad andare a Strasburgo, perché nessun giudice italiano ha avuto il coraggio di applicare in Italia la Costituzione italiana. Il crocifisso od il solo Cristo esposto in pubblico non viola il principio di laicità, ma la sua esposizione nelle aule di giustizia e scolastiche pubbliche sì.

    Il buon senso doveva essere esercitato dalle autorità scolastiche di fronte ad una richiesta motivata ed individuale. Si è preferito reagire con arroganza e in nome del principio della maggioranza, che no si applica al godimento dei diritti individuali. La libertà, come ci ricordava Rosa Luxemburg, è sempre quella di chi la pensa diversamente, ma Lei era ebrea e rivoluzionaria e non una cristiana conservatrice.     

venerdì 6 novembre 2009

Donde va Vicente?

Periscopio socialista 

Lettera aperta ai compagni Fava, Nencini e Vendola

di Felice Besostri 

La sinistra italiana è stata capace di perdere le grandi occasioni storiche per superare antiche divisioni, ultima in ordine di tempo la caduta del Muro di Berlino, ormai 20 anni fa.

    Ora, segno della sua debolezza e marginalità, corre il rischio di perdere le occasioni dell’agenda politica contingente.

    Sinistra e Libertà è stata un’alleanza elettorale, ma anche l’inizio di un progetto politico di rinnovamento o di ricostituzione della sinistra in Italia.

    Un percorso difficile ed irto di ostacoli per ragioni oggettive, una sinistra fuori dal Parlamento nazionale ed europeo, cui si aggiungono quelle soggettive di gruppi dirigenti privi di grandi disegni e "giustamente" preoccupati dei loro personali destini.

    In questo quadro occorre avere nozione dei limiti di ogni innovazione e non credere che basti portare i cuori oltre l’ostacolo, procedere di slancio, per avere successo. Se, però, insieme al cuore gettiamo anche il cervello oltre l’ostacolo, la delusione sarà cocente.

    Nei momenti difficili si vede se esiste un gruppo dirigente, non personaggi che per mantenere il consenso vanno nella direzione dove spira il vento o spingono gli umori della base.

    Una nuova sinistra non può prescindere dalla presenza di una forte, accettata e riconosciuta presenza socialista, è così persino in Germania con la LINKE, senza i socialdemocratici di Lafontaine, la Linke, come il PDS, sarebbe rimasta un partito regionale della Germania Orientale: una specie di Lega Est.

    Dunque Sinistra e Libertà ha un futuro soltanto se si ricostituisce una solidarietà tra i soggetti che l’hanno fondata.

    Le energie e gli entusiasmi dei militanti e degli elettori devono avere uno sbocco, ma non possono sostituire il progetto politico di costruire anche in Italia una sinistra pienamente inserita nel contesto europeo.

    Non si può costituire un nuovo soggetto politico di cui siano sconosciuti i programmi, le basi ideologiche e le affiliazioni internazionali.

    Si può, invece, costituire un movimento, che entri a far parte da subito dei soggetti fondatori del nuovo soggetto politico, che non può nascere prima delle prossime elezioni regionali.

    Già sul nome non c’è chiarezza perché Sinistra e Libertà è di proprietà dei soggetti che l’hanno costituita, tra cui la Federazione dei Verdi: non c’è nessuna garanzia che possa essere utilizzata alle prossime elezioni.

    Di partitini ne abbiamo avuti troppi, uno in più potrebbe essere, nel migliore dei casi, irrilevante o più probabilmente dannoso.

    I leader dei principali partiti e movimenti che hanno dato vita a Sinistra e Libertà devono dare un chiaro messaggio di coesione, di reciproca fiducia, trasparenza e determinazione nel sviluppare le potenzialità di un progetto di ricostituzione e rinnovamento di una sinistra italiana.

    C’è un detto spagnolo che non dovrebbe caratterizzare i dirigenti politici: "Donde va Vicente? Donde va la gente". Se proprio dobbiamo prendere un’espressione dalla consorella latina è meglio "Adelante Pedro, con juicio".      

venerdì 30 ottobre 2009

Quale sintesi è possibile?

Conclusioni (interlocutorie) all'assemblea del Gruppo di Volpedo 

di Felice Besostri 

Non è possibile trarre delle conclusioni in un tempo più ridotto di molti degli intervenuti: ma non è un problema quantitativo.

    Sono state espresse indicazioni diverse: autonomia socialista, integrazione nel PD, costruzione di una nuova sinistra a partire da Sinistra e Libertà, quale sintesi è possibile?

    Soprattutto si sono espressi anche stati d'animo che proprio per essere il frutto di pulsioni individuali non consentono una reductio ad unum.

    Prima però di esprimere le mie opinioni, vorrei fare una precisazione rispetto ad una critica all'Appello di Volpedo, perché si rivolge ai socialisti ovunque essi siano.

    Non è un appello indiscriminato.
    Se qualcuno una volta socialista è andato da certe parti, cioè nel Popolo della Libertà, in ruoli dirigenti o di spicco e si trova bene, a proprio agio, semplicemente non è più socialista! A costoro non si rivolge l'Appello di Volpedo.

    Tutti conoscono un passo famoso della Bibbia, un libro che tutti dovrebbero conoscere anche gli atei, come sono io. Mi riferisco all'Ecclesiaste (3.1-13): c'è un tempo per ogni cosa. Un tempo per seminare ed un tempo per raccogliere. Un tempo per gioire ed un tempo per piangere. Che tempo è questo per la sinistra italiana, ma anche europea? Non certo per gioire, ma nemmeno per piangere e soprattutto non per compiangersi.

    Questo è un tempo per riflettere, ma riflessione non è contemplazione del proprio ombelico e neppure rimasticazione del passato, che pure dovrebbe essere rielaborato perché le occasioni perdute sono state molte.

    Non dico il 1953, quando a Berlino una protesta operaia è stata soffocata con i carri armati e neppure il 1956 ungherese (dire rivoluzione è ancora troppo conflittuale).

    Il 1968 della Primavera di Praga sarebbe stato un terreno di incontro perché il tentativo di riforma partiva dall'interno dello stesso partito comunista.

    E il 1981 polacco di Solidarnosč? Quando un sindacato di lavoratori ha raccolto in brevissimo tempo una decina di milioni di aderenti e perciò era evidente una frattura tra il potere ed il popolo.

    Sempre troppo presto, ma l'occasione perduta più recente ed importante è stata il crollo del Muro di Berlino nel 1989, cioè venti anni fa.

    L'implosione del sistema sovietico avrebbe dovuto essere la consacrazione dell'altra sinistra, quella socialista democratica, ma così non è stato.

    Invece di superare la frattura storica fra socialisti e comunisti è passata la vulgata della fine del la storia, non come vittoria della democrazia, ma del capitalismo.

    Questo messaggio non è stato soltanto amplificato dalla destra conservatrice, ma è stato condiviso anche da chi sarebbe diventato il leader dell'Ulivo. Romano Prodi sulla rivista Il Regno, dalla Curia di Bologna, cui è sempre stato contiguo, ha sostenuto che con il crollo del muro non sarebbe finito soltanto il comunismo, ma anche il socialismo in Occidente, nella versione socialdemocratica.

    La sinistra italiana non è più rappresentata nel Parlamento nazionale ed in quello europeo.
    Non c'è altro caso in Europa, ma la debolezza della sinistra italiana rispetto a quella prevalente in Europa è stata soltanto resa evidente dai risultati del 2008 e del 2009.

    La debolezza della sinistra italiana nel suo complesso viene da lontano: non ha mai avuto una vocazione maggioritaria o, quando l'aveva (Fronte Popolare del 1948) non era possibile a causa della divisione del mondo in blocchi contrapposti (ed è stato un bene, che non avesse trionfato una sinistra subordinata all'URSS).

    Vocazione maggioritaria non significa avere vocazione governativa, ma proporsi alla guida del Paese con propri programmi e propri esponenti alla guida del governo per attuarli.

    La sinistra italiana, anche quando PCI e PSI superavano il 40% dei voti, non si è mai proposta alla guida del Paese ed alla lunga gli elettori se ne accorgono: perché votare per chi non si sente di assumere la responsabilità di governare in prima persona?

    La vicenda dell'Ulivo è esemplare, nel 1996 si è proposto con l'appoggio determinante del PDS come Capo del Governo proprio Romano Prodi, quello che aveva teorizzato (ed auspicato) la fine della sinistra in Europa, sepolta dalle macerie del Muro di Berlino.

    Il giudizio sul presente dipende dall'orizzonte prospettico con il quale analizziamo la situazione.
    Per il tipo di problemi dal cambio climatico alla dimensione della crisi economica e finanziaria, dallo sviluppo ineguale alle migrazioni di popolazioni l'orizzonte della sinistra non può che essere europeo se non planetario.

    Tutti sono d'accordo, ma voglio fare un esperimento.
    Quanti nella sala sanno la data del prossimo Congresso del PSE a Praga?
    Si sono alzate sei mani e ho chiesto soltanto la data, quante se ne sarebbero alzate se avessi chiesto i temi che saranno trattati?

    Si tratta di analizzare i risultati delle elezioni europee, nella quale la sinistra nel suo complesso ha perso ed i partiti del PSE, salvo le eccezioni svedesi, slovacche, maltese e greche, hanno subito una grossa sconfitta.

    Tuttavia la lettura, imposta dalla destra, dei risultati come sconfitta definitiva della socialdemocrazia è pura ideologia.

    Si sa o no che in queste elezioni ha votato meno del 50% degli aventi diritto al voto, cioè la percentuale di votanti è la più bassa degli ultimi quarant'anni, da quando c'è l'elezione diretta del Parlamento europeo?

    Ha votato soltanto il 43,1% degli aventi diritto e tra gli astenuti sono prevalenti i ceti popolari, cioè il bacino elettorale tradizionale dei partiti socialisti democratici.

    In sei paesi le astensioni sono state superiori al 70%, ed in 12 tra cui Gran Bretagna, Francia, Germania, Svezia le astensioni sono state tra il 50 e il 70%.

    In solo due paesi, Belgio e Lussemburgo, le astensioni sono state meno del 20%.
    In sette paesi soltanto, tra cui l'Italia, ha votato la maggioranza degli aventi diritto.
    In questo panorama la sconfitta dei partiti socialisti assume una dimensione meno rilevante. Tutti i partiti pro-Europa hanno perso ed hanno guadagnato partiti populisti, nazionalisti e persino razzisti e soltanto in un numero limitato di paesi hanno compiuto significativi guadagni partiti ambientalisti (Verdi), come in Francia, o partiti di sinistra più radicale, come la Linke in Germania.

    Da questo a inverare che la strada è quella della Linke è sbagliato per due ragioni, una di carattere generale e l'altra specifica.

    In una prospettiva di sinistra la considerazione più rilevante non è il successo della Linke, di cui peraltro si gioisce, ma il fatto che tra il 2005 e il 2009 ci sono stati 4.360.000 elettori in meno, una forza quasi equivalente al partito dei Verdi. Altro dato, la SPD sempre tra il 2005 e il 2009 ha perso più di sei milioni di voti: Verdi e Linke ne hanno recuperato poco più di 1.800.000, cioè meno di un terzo.

    Il risultato: SPD, Verdi e Linke nel 2005 avevano il 51,1% dei voti e la maggioranza assoluta nel Bundestag, nel 2009 hanno poco più del 45% dei voti e la maggioranza è liberal-democristiana. La sinistra è stata sconfitta.

    La Linke ha avuto successo grazie ad un robusto ed accettato innesto della componente socialdemocratica di Lafontaine, che ha consentito l'espansione nei Länder dell'Ovest tedesco, altrimenti sarebbe stata una Lega Est della Germania Orientale.

    In Italia i sostenitori della Linke escludono a priori un decisivo apporto socialista, mai ricercato.
    Noi come sinistra e come socialisti, che ne facciamo parte, dobbiamo essere consci che le nostre preoccupazioni non sarebbero minori, se alle ultime elezioni europee Sinistra e Libertà avesse superato di un soffio il 4%,  ma in un quadro di ulteriore rafforzamento della maggioranza di governo.

    Certamente superare la soglia di accesso dà un maggior peso nella ristrutturazione della sinistra, ma non cambia il segno della sua sconfitta in Italia come in Germania.

    Sia chiaro che sono favorevole ad una soglia di accesso, purché non stabilita a ridosso delle elezioni e soprattutto con il rispetto dell'art. 51 della Costituzione, per cui tutti hanno diritto di concorrere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza.

    L'Italia è l'unico paese europeo nel quale soglia di accesso e soglia per avere diritto al rimborso delle spese elettorali coincidono per il Parlamento Europeo e per le Regioni. L'effetto paradossale è che candidati ed elettori di liste, che non raggiungono il 4% finanziano con 5 Euro a testa le liste avversarie. Questo è intollerabile, non che vi sia una soglia di accesso.

    L'argomento della soglia di accesso non può essere usato per imporre bongré, malgré l'entrata (dalla porta di servizio) nel PD.

    Il partito socialdemocratico cecoslovacco alle prime elezioni libere non passò la soglia del 4%, ma nel volgere di pochi anni è cresciuto fino a diventare il primo partito della Repubblica Ceca e di esprimere il primo ministro: nelle prossime elezioni, di data certa dopo l'annullamento della data di Ottobre si gioca la preminenza tra i socialdemocratici ed il partito del Presidente della Repubblica Ceca.

    Dobbiamo, altresì, convincerci che la crisi economica non porta automaticamente consensi a sinistra. Le responsabilità dei gruppi dirigenti rimane intatta, ma non si può fare di loro i capri espiatori

    Non è vero che il peggioramento delle condizioni favorisca la sinistra, l'abbiamo visto in Italia con il fascismo ed in Germania con il nazismo.

    Due grandi crisi economiche nel XX° secolo sono sfociate in due guerre mondiali. Il timore del futuro può rendere le persone più rassegnate ed egoiste, come anche far aumentare la coscienza dell'importanza della solidarietà.

    La sinistra deve affrontare un compito finora inedito né quello socialdemocratico di distribuire più equamente le risorse, né quello comunista di dar avvio ad una industrializzazione forzata, sacrificando la libertà ed alla fine anche l'eguaglianza.

    La sinistra troverà consenso popolare ed elettorale se sarà capace di proporre un'uscita dalla crisi possibile, praticabile e credibile.

    Per illustrare il concetto mi scuso di ricorrere ad un'immagine un può forte.
    Chi è caduto in una buca di guano è interessato a sapere come uscirne e non di sapere di chi sia la colpa.
    Un anticapitalismo generico non conquista nessun consenso. Voglio riportare una delle Tesi congressuali per il Congresso di Milano del PSI:

    "III. La crisi economica e finanziaria mondiale, le cui ricadute sulla nostra Provincia  sono consistenti e visibili, richiede analisi e risposte nuove: un anticapitalismo generico e pregiudiziale, puro retaggio di nostalgie sovietiche, non è di nessun aiuto a convincere la popolazione, che la sinistra sia in grado di indicare le strade ed i tempi per l'uscita dalla crisi.

    Il fallimento di pianificazioni autoritarie e burocratiche impone la ricerca di modelli di sistema in grado di assicurare sviluppo, libertà, partecipazione, efficienza, efficacia e raggiungimento di obiettivi di crescente eguaglianza di condizioni di vita e lavoro e non solo di pari opportunità.

    In una economia di mercato spetta alle istituzioni democratiche di stabilire gli obiettivi prioritari e di programmare gli interventi sul lungo periodo per assicurare l'accesso di tutti ai servizi pubblici universali, quali la salute, l'istruzione e la formazione ed ai beni essenziali come l'acqua potabile e l'alloggio. Non è incompatibile con un'economia di mercato l'esistenza di regole di trasparenza, lo smantellamento di concentrazioni di potere nemiche della concorrenza e dell'interesse dei consumatori e di un sistema sanzionatorio severo, per chi viola le regole. Un mercato socialmente orientato differisce da un mercato orientato unicamente alla massimizzazione del profitto, senza riguardo  alle ricadute etiche, sociali e ambientali."

    La situazione apre uno spazio obiettivo per le idee socialiste, cioè una scelta di solidarietà e cooperazione, come molti interventi hanno ricordato: l'alternativa è il prevalere degli egoismi nazionali e dei gruppi economicamente o militarmente più forti.

    L'esistenza di uno spazio non è una garanzia, che possa essere occupato, da chi lo individua. Basta ricordare quando si teorizzava, che la scelta dei DS di fondersi nel PD,avrebbe aperto uno spazio per una formazione a sinistra di quel partito: così non è stato ne per i socialisti, né per Sinistra Arcobaleno, e non solo a causa della legge elettorale e il richiamo forte al voto utile. Le proposte non erano credibili non sono state credute da milioni di elettori di sinistra, che si sono astenuti. Lo spazio da coprire si è rivelato un vuoto,che come un buco nero nello spazio ha inghiottito le speranze della sinistra. La natura ha paura del vuoto (natura abhorret a vacuo), ma la politica li registra.

    Sinistra e Libertà è stato un tentativo - e su altro versante la lista di unità comunista- di riempire il vuoto per occupare lo spazio. Il risultato è stato migliore di Sinistra Arcobaleno,perché si sono raccolti voti superiori al 6%,con un incremento del 50% ( è questo il fascino delle percentuali) rispetto alla somma dei voti socialisti e della Sinistra Arcobaleno, ma la soglia non è stata passata da nessuna delle due liste di sinistra.

      L'uscita dei Verdi da Sinistra e Libertà indebolisce il progetto, ma ogni crisi è una sfida ed un'opportunità. SeL può essere più coesa con l'uscita di una forza che a livello europeo si vuole porre al centro e che ha un suo riferimento a un gruppo parlamentare distinto da quello del PSE.

    In Finlandia i Verdi sostengono un governo di destra, in Germania se FDP e CDU/CSU non fossero stati autosufficienti non era a priori esclusa una partecipazione dei Verdi, come già avviene in alcuni Länder.

    Finora i Verdi, dove hanno avuto guadagni, lo hanno fatto a spese della sinistra. È una strategia che non sempre premia, per esempio in Grecia non hanno superato la soglia del 3%, mentre il PASOK (Partito Socialista Panellenico) ha raggiunto da solo la maggioranza assoluta.

    Il PSI fa parte del PSE, il nome ufficiale di Sinistra Democratica è Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo, lo MPS di Vendola non potrà mai confluire nella Sinistra Unita Europea per il veto di Rifondazione.

    A sinistra non vi è altro orizzonte diverso dal socialismo europeo, anche se il PSE va profondamente riformato: così, come è, non è uno strumento per il rinnovamento del socialismo europeo e della sinistra nel suo complesso.

    Il PSE deve diventare un partito vero e proprio, non una confederazione di gruppi dirigenti socialisti nazionali: un partito sovranazionale e transnazionale che tracci le linee programmatiche e ideali della presenza socialista nelle istituzioni europee (UE e Consiglio d'Europa) ed in quelle internazionali dove l'Europa sia presente.

    Senza i Verdi possiamo pensare ad un'altra SeL, cioè SOCIALISMO ECOLOGIA LIBERTA' primo passo per la costruzione in Italia, come in Europa, di una sinistra che sia socialista, autonoma, europeista, democratica, libertaria e laica.     

lunedì 12 ottobre 2009

RICOMINCIAMO DA TRE

Dopo la vittoria socialista in Grecia in una stagione altrimenti avara di successi
di Felice Besostri 

Le elezioni , a partire dal 2008, sono state deludenti per la sinistra a cominciare dai partiti socialisti.
    In una visione non partigiana, questa è l’ottica con la quale analizzare i risultati elettorali, poiché i successi di formazioni a sinistra dei socialisti o di liste ecologiste non cambiano il giudizio di fondo di una sconfitta della sinistra nel suo complesso.

    Quando singole formazioni di sinistra hanno conosciuto lusinghieri risultati, si pensi alla Linke tedesca, era altrettanto evidente che non recuperavano che una parte dei voti perduti dai partiti del PSE.

    Già alle elezioni europee, accanto al generale trend negativo si registravano delle inversioni di tendenza rispetto alle precedenti elezioni nazionali: era il caso di Svezia , Grecia e Malta.

    Il PASOK ha consolidato la tendenza e ha vinto in maniera netta le elezioni del 4 ottobre con il 43,92% dei voti e soprattutto conquistando la maggioranza assoluta dei seggi, 160 su 300 (102 nel 2007)

    Le elezioni greche erano state precedute dalle elezioni islandesi e da quelle norvegesi.
    Un caso a parte sono state le elezioni portoghesi, che per i socialisti sono andate molto meglio delle previsioni, che prevedevano un testa a testa con il PSD, membro del Partito Popolare Europeo, benché socialdemocratico di nome, invece nettamente distanziato.

    Quando la sinistra vince occorre evitare che la vittoria si trasformi in una vittoria di Pirro, per l’incapacità di trovare un accordo di coalizione per i gravi dissensi interni.

    Il Portogallo corre questo rischio ed in Grecia si sarebbe prodotta una situazione analoga perché il KKE (21 seggi, 22 nel 2007) il Partito Comunista Greco (7,54% , nel 2007 8,15%), arrivato in terza posizione è rimasto un classico partito comunista filosovietico, pur senza l’URSS e lo stesso discorso vale per il Partito Comunista Portoghese, peraltro minoritario rispetto al Blocco di sinistra.

    Il PASOK ha conquistato voti sia a Nuova Democrazia, sia alla propria sinistra , dove anche l’altra formazione Sy.Riz.A perde voti (4,60%)

    La maggioranza assoluta dei seggi e con Nuova Democrazia distanziata di 10 punti percentuali consente al PASOK di poter formare un governo e quindi di attuare il suo programma.

    Il programma del PASOK presenta delle interessanti novità, caratterizzato oltre che da una decisa lotta alla corruzione, dalla scelta di politica economica.

    Per affrontare la crisi i socialisti greci puntano decisamente su un incremento del potere d’acquisto dei lavoratori e quindi sul rilancio dei consumi, quando Karamanlis aveva da 24 miliardi di euro in aiuti alle banche.

    "Facciamo come Obama " e " voglio ridare il sorriso alla gente" sono state parole d’ordine del PASOK e del suo leader George Papandreu. I primi atti del governo con la nomina di donne ministro in numero mai visto ( 9 su 36), sono un segnale, come il rinnovamento dei 2/3 dei ministri.

    Unica ombra nella vittoria socialista è il successo di una nuova formazione di destra estrema, la La.O.S (5,63%, 15 seggi, 10 nel 2007), un segnale di tendenza abbastanza generalizzato nelle ultime elezioni europee con il successo di liste populiste, nazionaliste, razziste e antieuropeiste.

    Il successo dei sì al referendum irlandese sul trattato di Lisbona consentirà il rilancio del progetto europeo una volta superate le resistenze dei Presidenti della Polonia e della Repubblica Ceca, sempre che i conservatori britannici, profondamente divisi sull’Europa, non riescano ad imporre un referendum, dagli esiti incerti, anche in quel paese.

    La politica estera del governo socialista greco andrà nella direzione di una più vasta intesa europea. Come ministro degli esteri del governo Simitis, George Papandreu ha perseguito una politica di riduzione dei conflitti con la Turchia sia nel processo di adesione alla UE, che sulla spinosa questione di Cipro.

    I problemi della sinistra in Europa, ma anche in altre parati del mondo come in America Latina (a proposito l’11 di Dicembre si vota in Cile per l’elezione del Presidente), richiedono riflessioni di fondo che vanno ben oltre di singoli risultati elettorali..

    La sinistra, in tutte le sue versioni, non è stata capace di capitalizzare una delle maggiori crisi del capitalismo, sia che fossero al governo o all’opposizione.

    Credo si debba concordare con Josep Ramoneda ("la izquierda atrapada" - El Pais del 4/10/09) quando scrive che "l’anemia generalizzata che attacca la sinistra ha molto a che vedere con la incapacità di mantenere in primo piano la questione dell’uguaglianza (o della sua riformulazione), ragione d’essere della sinistra, di mettersi in contatto con i nuovi soggetti del cambiamento che sono molto diversi e molto più dispersi che nel passato e di generare alternative realmente possibili, approfittando delle diverse possibilità di declinazione del capitalismo".

    La sinistra deve dare sempre un’idea di alternativa, aggiungo, possibile, praticabile e credibile.
    In Grecia gli studenti sono stati i detonatori della massa sociale. Le Università , una volta uno degli strumenti più importanti per la mobilità sociale, hanno cessato di esserlo.

    L’insegnamento pubblico, da quando ha cessato di essere una delle priorità anche della sinistra, è in continuo degrado, Si è favorita la crescita di università private di eccellenza, che hanno accentuato la discriminazione di classe dovuta all’ origine sociale degli studenti.

    L’importanza è talmente evidente che se neè persino accorta la Fondazione "Italia Futura" di Montezemolo. Per i nati prima degli anni ’50 la condizione dei figli era migliore di quella dei genitori nel 41% dei casi, già ridotta al 21% per i nati negli anni ’70. Le previsioni per i nati tra gli anni 1985-1990 riduce la percentuale al miserrimo 6%.

    Quando il 90% degli studenti universitari in Grecia, come in Italia, sono estratti dal 20% della popolazione si possono prevedere già a medio termine un peggioramento complessivo non solo delle condizioni di eguaglianza ma addirittura di più equa condizione di partenza.

    La lezione greca dimostra che per la sinistra e per i partiti socialisti il destino non è segnato a priori ma dipende dalla loro capacità di convinzione come è stato in Islanda e in Norvegia e persino in Germania nei Länder della Saar e della Turingia e da ultimo nel Brandeburgo, pur in presenza di una sconfitta a livello federale.

    Le ultime elezioni greche hanno anche dimostrato che non è destino che i partiti ecologisti abbiano successo, come nelle Europee in Francia o nelle federali in Germania, in Grecia, infatti, i Verdi non hanno raggiunto il 3% e sono rimasti fuori dal Parlamento.       

martedì 6 ottobre 2009

Trappole d'autunno

Tra l'Afghanistan (lontano, ma vicino) e l'Assurdistan di casa nostra  quel che si profila è senza dubbio un autunno insidioso.

di Felice Besostri 

Nella trappola afghana non c’è soltanto il nostro Paese e le sue truppe, che pagano un tributo di sangue. Ci siamo tutti noi, individualmente considerati.

    Ritirarsi o non ritirarsi è un falso dilemma o, meglio detto, presuppone la possibilità di una risposta netta ad una questione complessa.

    Il regime dei talebani era orribile, come tutti i regimi fanatici.
    Sui diritti umani non si può essere relativisti del tipo "eius regio cuius religio". Il diritto alla vita e all’istruzione e libertà di manifestazione del pensiero sono diritti universali.

    La shaaria, oltre che prevedere trattamenti inumani e degradanti, non garantisce diriti giuridici fondamentali, come per esempio quello a un processo equo nel rispetto del principio del contraddittorio.

    Per avere un’idea delle efferatezze talebane, basta leggere i rapporti di ONG impegnate nella tutela dei diritti umani. Anche i libri di Khaled Hosseini, per quanto si tratti di romanzi, ci offrono uno spaccato istruttivo di quella realtà lontana, ma vicina.

    Il solo pensare che i talebani possano riconquistare il potere politico a Kabul dovrebbe farci rabbrividire.
    La discriminazione delle minoranze etniche e religiose (sciiti, cristiani) verrebbe ulteriormente accentuata.
     La forza ed il potere dei talebani attualmente derivano dai finanziamenti e dalle armi, che sono loro pervenuti in precedenza dall’Occidente via Pakistan.  Come insegnava Elias Canetti "il nemico del mio nemico non è mio amico". Non si può continuare a fare quello che si era fatto in funzione antisovietica, cioè armare e promuovere formazioni soltanto perché nemiche dei nostri nemici.

    Occorre che ci interroghiamo a fondo. La situazione dei diritti civili è migliorata da quando la missione militare è in Afghanistan? Nelle azioni e nelle rappresaglie sono più i civili o i talebani ad essere uccisi o feriti? L’Afghanistan continua ad essere il maggior produttore mondiale della materia prima per la produzione di eroina? Il Governo afghano in carica rispetta i principi elementari dello stato di diritto? La situazione delle donne e delle minoranze etniche o religiose è sostanzialmente migliorata? (Tra parentesi: tra i motivi dell’intervento vi era quello di liberare la donna dal burka, che sarebbe stato imposto dai talebani: ogni cronaca televisiva da quel paese mostra un numero impressionante di donne in burka).

    Le vigenti regole di ingaggio, proprio per l’ipocrisia della natura della nostra missione volte a rispettare l’art. 11 della nostra Costituzione, non tutelano le vite dei nostri militari. Occorre, quindi, ridiscuterle e, se del caso, cambiarle.

    Io dubito che la lotta al terrorismo si configuri, nel caso specifico, come un atto di guerra, ma ritengo che le truppe presenti in Afghanistan siano un argomento di peso per ottenere serie contropartite in termini di diritti civili e sociali. In assenza di ciò la nostra presenza andrebbe rimessa in questione tanto nei modi quanto nei tempi.

Tre ministri, Brunetta, Sacconi e Tremonti, sono in prima linea nella denuncia dei poteri forti. È un fatto che tutti e tre sono approdati al berlusconismo dopo aver transitato nell’area socialista sotto le insegne craxiane.

    Rigurgito anticapitalista? Non credo: nella lotta per la supremazia nel capitalismo italiano si sono schierati con il tycoon per eccellenza, Berlusconi. Qui è il punto, semmai. Perché i poteri forti si sono indeboliti. E si preparano a difendersi dalla minaccia più grave, quella rappresentata appunto dal blocco politico, sociale e di potere guidato da Berlusconi.

    Le grandi famiglie simbolo per eccellenza del capitalismo tradizionale (pensiamo agli Agnelli), hanno perso peso economico e soprattutto prestigio sociale. Le cause di questa deminutio vanno dall’evasione fiscale alle lotte ereditarie, dagli sbandamenti personali di singoli componenti alla scomparsa di alcune figure di spicco.

    Per giunta, nel "salotto buono" di Mediobanca si sono ormai insediati i "nuovi", da Berlusconi a Ligresti.  A loro manca soltanto la conquista dei mezzi di informazione, in primis il Corriere  della Sera e il Sole 24ore.

    Oggi, in tutto questo la Sinistra, compresa l’appendice tendenzialmente centrista del PD, non gioca alcun ruolo di rilievo. Qualche tempo fa il centro-sinistra, a cominciare dall’Ulivo, aveva la benedizione dei "poteri forti", ricambiati con scelte "amichevoli" in politica economica e fiscale.

    Giunti sin qui, a poco servono la giaculatorie antisistema della sinistra antagonista: la pregiudiziale anticapitalista denuncia solo il fondamento del male senza indicare tuttavia delle terapie o proposte credibili per uscire dalla crisi. Ma bisognerebbe almeno evitare le trappole più pericolose.

   Manca al vecchio establishment italiano la saldatura tra due "poteri forti" (emblematicamente rappresentati oggi dal gruppo di De Benedetti e da certi settori vaticani). Il familismo capitalista e la Chiesa cattolica restano capaci di condizionamento extraparlamentare della politica post-democristiana.

    Mentre la sinistra in tutte le sue espressioni -- antagoniste e riformiste -- pur essendo anch'essa un'entità extraparlamentare, è incapace di condizionamento (la politica è il potere di chi non ha potere).

    L’UDC di Casini, Buttiglione ecc. rappresenta perciò un pezzo importante della strategia di ricomposizione clerico-capitalista (e scusate il termine ottocentesco).

    Ogni politica di alleanza con Casini dovrà assegnargli la leadership, si presume. Ecco un'insidia da non sotovalutare. Perché la sinistra, se non si rinnova affrontando una seria ricostruzione di se stessa, va incontro a ruoli subordinati o di complemento.   

giovedì 1 ottobre 2009

LE ELEZIONI IN GERMANIA

Grande successo dei liberali, della sinistra socialista (Linke) e dei Verdi, soprattutto a spese della SPD, ma anche della CDU-CSU.

di Felice Besostri 

La Germania è la maggiore potenza economica d'Europa, il suo prodotto interno lordo nel  2008 è stato superato soltanto da tre paesi, gli USA, il Giappone e la Cina, ma quest'ultima rappresenta il 19,64% della popolazione mondiale e la RFT soltanto lo 1,21%.

    Con più di 82 milioni di abitanti è di gran lunga il più popoloso paese della UE, nell'intera Europa è superata soltanto dalla Russia, ma compresi i territori asiatici al di là dei monti Urali. Nessuno si meraviglia, pertanto, che le contemporanee elezioni portoghesi, con i suoi 10 milioni e mezzo di lusitani, non concentri la stessa attenzione: eppure se ci saranno sorprese politiche, queste verranno dal Portogallo, piuttosto che dalla Germania. Così è stato con una vittoria in rimonta, rispetto ai sondaggi dei socialisti di Socrates con il 36,8% dei voti.

    La campagna elettorale è stata noiosa e d'altra parte difficilmente potevano scannarsi in pubblico la Cancelliera e leader della CDU, Angela Merkel, con il suo Ministro degli Esteri e leader della SPD, Frank-Walter Steinmeier, cioè due personaggi dello stesso governo, la Grosse  Koalition, imposta dai risultati del settembre 2005.

    Il programma di governo è stato rispettato e, quindi, nessuno se ne può prendere i meriti esclusivi, mentre tutti e due i partiti sono responsabili per le cose negative: la Germania ha un tasso di disoccupazione superiore a quello italiano.

    I disoccupati e chi ha subito tagli del welfare non voteranno né CDU/CSU, né SPD, che, infatti perdono rispetto al 2005. La CDU,/CSU passa dal 35,2% al 33,8% (-1,4%), il peggior risultato dopo il 31% del 1949: un risultato non esaltante per una Cancelliera che aveva quasi il 70% di opinioni favorevoli. La SPD crolla dal 34,3% al 23% (-11,3%), il peggior risultato del dopoguerra, da rendere persino radioso il 28,8% del 1953.

    In questa situazione è stato agevole pronosticare un successo dei liberali della FDP, (14,5%, +4,7%) un partito comunque più a sinistra del PdL di Berlusconi e meno intollerante della Lega Nord, e della LINKE (12,2% +4%) sia pure per opposte ragioni. I Grünen (10,5%, +1,8%), cioè i Verdi nella versione italiana, sono consolidati da anni e quindi, paradossalmente non sono percepiti come una novità. In effetti i Liberali sono fuori dal governo federale da lunghissimo tempo e la LINKE è veramente una formazione nuova, talmente nuova, che è riuscita a far dimenticare gli oltre 40 anni di SED e DDR di molti suoi esponenti.

    Alcuni dati: alle elezioni hanno partecipato 29 partiti, gli aventi diritto al voto sono 62,2 milioni, di cui 32,2 milioni donne. Sono anche le elezioni alle quali partecipano per la prima  volta quelli nati dopo il crollo del Muro. I nuovi elettori, quelli nati tra il 19 settembre 1987 e il 27 settembre 1991, sono ben 3,5 milioni, con i maschi in maggioranza. Tuttavia non ci sono, ancora, dati disponibili, che abbiano influito sui risultati complessivi, a meno che le analisi sui comportamenti elettorali dimostrassero, in futuro, che abbiano massicciamente votato per un solo partito, o al massimo per due. Le classi di età che più pesano elettoralmente in Germania sono quella dei 40-49 anni (20,6% dell'elettorato) seguiti a ruota dai 70 anni e più (18,3%) e dai 50-59 anni (17%): insieme sono più del 50% dell'elettorato. Nella RFT,oltre che dalle classi di età, il voto è condizionato territorialmente: Nord-Rhein Westphalen, Baviera, Baden-Würtemberg e Berlino, cioè 4 Länder su 19 hanno più del 50% degli elettori. In questi 4 Länder la SPD non è più il partito dominante, tranne che a Berlino, se a ciò si aggiunge il peso delle maggiori classi di età degli elettori il risultato della SPD, un pietoso 23,4% delle prime proiezioni, ulteriormente ridotto al 23%, è facilmente spiegato con la reazione di pensionati e lavoratori maturi ed alla soglia della pensione. In questa campagna elettorale, per la prima volta la SPD non ha avuto un visibile appoggio sindacale, né dalla DGB, che dai due maggiori sindacati, IG Metall e Ver.di e con buone ragioni.

    In termini assoluti e percentuali i veri vincitori sono i Liberali con il loro 14,5%, con chiarezza il terzo partito. I Liberali, come già accennato sono un partito fortemente impegnato, dalla elezione, alla sua presidenza, di Guido Westerwelle per la difesa delle libertà civili: hanno combattuto con Verdi e LINKE contro le leggi sulla sicurezza della Grande Coalizione e di crescente controllo della rete e dei server in Internet.

    Il loro successo, anche a spese della CDU, rende, peraltro precario un governo democristian-liberale.. Soltanto la lotteria degli Überhangsmandaten, i seggi aggiuntivi per riproporzionare la composizione del Bundestag, nel caso che un partito abbia ottenuto un numero di mandati diretti eccessivi, renderà possibile una coalizione giallo-nera, di FDP/CDU-CSU, ma con una ristrettissima maggioranza. Nella distribuzione dei seggi aggiuntivi la Corte Costituzionale Federale ha già lanciato un severo ammonimento per i vantaggi che procura al partito più grande e per la violazione del principio del voto diretto e, perciò dovremo attenderci un ricorso alla Corte Costituzionale, in ogni caso e, a maggior ragione, in caso di sostanziale parità.

    La Bundesverfassungsgericht, a differenza della Corte Costituzionale italiana ha mostrato poca riverenza nei confronti delle esigenze della classe politica, come ha dimostrato nel recente Lissabon Urteil, con l'ampliamento dei poteri del Parlamento tedesco (Bundestag e Bundesrat) nelle future ratifiche dei Trattati UE. Resta il fatto che CDU-CSU (33,8%) e FDP (14,5%) non superano il 50% del voto popolare, anche se hanno raccolto più voti della somma di SPD (23%), LINKE (12,1%) e Verdi (10,5%). Le differenze programmatiche tra CDU e FDP non sono poca cosa in materia di riduzione delle tasse e del welfare. Allo stato non ci sono aspettative, che, a conclusione della vicenda elettorale, come in tragico gioco dell'oca, si torni alla casella di partenza: una Grosse Koalition come stato di necessità e non come libera scelta. Tuttavia nella riedizione di una Grande Coalizione la CDU guadagna e la SPD perde. Rispetto al 2005 la SPD ha più di 11 punti percentuali in meno e soprattutto non ha un'alternativa, nemmeno da brandire come minaccia, come era la maggioranza numerica teorica rosso-rosso-verde del precedente Bundestag.

    Il problema centrale è quello della socialdemocrazia tedesca, che ha raggiunto il peggior risultato dal dopoguerra, talmente pessimo, come detto sopra,da essere sotto di oltre 5 punti percentuali rispetto al precedente record negativo di ben 56 anni fa..

    La socialdemocrazia tedesca, “die deutsche Sozialdemokratie” è sempre stata la socialdemocrazia per eccellenza, benché i suoi risultati non siano paragonabili a quelli conseguiti dalle socialdemocrazie scandinave.

    Soltanto da pochi anni in quei paesi nordici la socialdemocrazia ha perso la sua indiscussa egemonia conquistata negli anni 30 del secolo passato e durata ininterrottamente per un cinquantennio.

    L’esperienza scandinava, tuttavia, è stata caratterizzata da un modello concreto di gestione, da una prassi, piuttosto che da una teoria. In Germania, invece, si sono affrontati i temi più controversi del movimento operaio e socialista europeo: basta un accenno ai programmi di Eisenach, Gotha, o di Erfurt od al Bernstein Debatte.

    Con Karl Kautsky si sono dovuti confrontare esponenti di altri filoni della sinistra dal socialismo rivoluzionario di Rosa Luxemburg al comunismo di Vladimir Lenin.

    Senza risalire così lontano, basta pensare al programma di Bad Godesberg del 1959 con il quale la SPD si è trasformata da “Klassenpartei” (Partito di classe) a “Volkspartei” (Partito del popolo).

    Punti fermi nell’accettazione dell’economia di mercato rimanevano la “Mitbestimmung” (Codecisione) nelle grandi imprese e l’orientamento sociale del mercato, la cosiddetta Soziale Marktwirtschaft in un quadro che non escludeva un intervento pubblico nell’economia attraverso la Pianificazione, quando e in quanto necessaria.

    La SPD prima del declino, che si è accentuato con la riunificazione tedesca sotto l’egida del democristiano Helmut Kohl, era un partito con iscritti, che superavano il milione, con una capillare organizzazione territoriale ed un rapporto fortissimo con il Sindacato compresi la IG Metall ed il pubblico impiego, che è organizzato nel più numeroso sindacato unitario europeo il Ver.di (Verwaltungsdienst: pubblico impiego all'italiana).

    Intorno alla SPD ed al Sindacato gravitavano una catena di cooperative di consumo e di costruzione (Neue Heimat) ed una banca (Bank für Gemeinwirtschaft), nonché case editrici e la Fondazione Ebert.

    Tutti strumenti che consentivano una proiezione internazionale della SPD, sia diretta, che indiretta, attraverso l’Internazionale Socialista ed il PSE.

    La SPD ed i suoi leader, in particolare Willy Brandt, sono stati i protagonisti della politica di distensione Est Ovest e di nuovi rapporti Nord Sud.

    In quel periodo aureo, se vi è stato un errore di impostazione, era la coincidenza di interessi tra Partito e Governo, in altre parole tra Partito e Stato.

    La politica di distensione doveva legittimare la DDR e la SED, ma proprio per questo la SPD sarebbe stata particolarmente debole nei nuovi Länder, ad eccezione del Brandeburgo, dove  nel 1994 aveva la maggioranza assoluta..

    Il rifiuto del comunismo poliziesco tedesco orientale ha in qualche misura coinvolto la forza organizzata della SPD, tanto più che gli ex-comunisti della SED confluiti nella PDS (Partei des demokratischen Sozialismus), a differenza di quanto avvenuto nella maggioranza dei paesi dell’ex Patto di Varsavia, non si erano trasformati in socialdemocratici, anzi con la costituzione, insieme con la dissidenza socialdemocratica, della LINKE, in loro pericolosi concorrenti.

    Negli anni d’oro la Socialdemocrazia poteva contare sui bastione rossi dalla Nord-Rhein Westphalen all’Assia, con le città stato di Brema ed Amburgo, tutti Länder nei quali la SPD aveva la maggioranza assoluta o vi si avvicinava, così come nelle città di Francoforte, Berlino o Monaco di Baviera.

    Non solo la SPD nei suoi periodi migliori si era espansa in Länder tradizionalmente conservatori, come la Rheinland Pfalz, la Saar ed addirittura nel Land Schleswig-Holstein, con una forte minoranza danese.

    La socialdemocrazia tedesca è stata investita direttamente dalla Guerra Fredda e dalla divisione dell'Europa in due campi contrapposti: anche simbolicamente la linea di divisione passava in Germania e divideva persino la sua capitale imperiale, Berlino. In quest'ultima città,  di cui è stato sindaco dal 1957 al 1966 il suo più grande esponente del dopoguerra, Willy Brandt, si sono verificati tre degli episodi caratterizzanti lo scontro Est Ovest: il Blocco di Berlino del 1948, la costruzione del Muro nel 1961 ed il suo crollo nel 1989. L'eredità di quella divisione, che rappresentava anche quella tra il Comunismo e il Socialismo Democratico, non è stata ancora liquidata, come i conflittuali rapporti tra SPD e la LINKE, stanno a dimostrare.

    Nel dopoguerra due sono stati i periodi nei quali la SPD ha diretto il Paese: il primo dal 1969 al 1982 (prima Willy Brandt e poi Helmut Schmidt) ed il secondo dal 1998 al 2005 (Schrõder).

    Nel primo periodo in alleanza con i liberali della FDP e nel secondo con i Verdi, die  Grünen.
    Mentre a livello di Länder le alleanze tra partiti sono sempre state le più varie, nel Governo nazionale CDU/CSU e SPD si sono sempre presentate come alternative, con le due sole eccezioni delle Grandi Coalizioni del 1966-1969 e di quella in carica del 2005-2009.

    La prima Grosse Koalition, sempre a guida democristiana segnò l'inizio della predominanza socialdemocratica, mentre la seconda, con la Cancelliera Merkel sta segnando il punto più basso del consenso elettorale della SPD, che in queste elezioni 2009 rischia di essere sostituita dai Liberali, od anche da un'inedita coalizione CDU/CSU e FDP, allargata ai Verdi, chiamata Giamaica, dai colori di quella bandiera nazionale, che corrispondono a quelli dei partiti tedeschi, il nero democristiano, il giallo liberale ed il verde degli ecologisti. Questa possibilità teorica e numericamente più solida di quella giallo-nera, è stata, però, esclusa dal leader dei Verdi tedeschi, il cittadino tedesco di origine turca Cem, per le differenze sul nucleare fortemente sostenuto dalla FDP e dalla maggioranza della CDU. Tuttavia i Verdi non sono più legati alla SPD, come ai tempi del binomio Schröder Fischer, i Castore e Polluce teutonici, e perciò  hanno le mani libere, come è la tendenza, anche europea sotto l'impulso di Daniel Cohn-Bendit (Finlandia docet) e sperimentata a livello di singoli Land.

    Mi immagino già i gridolini di gioia di settori della sinistra italiana: assolutamente giustificati, chi non supera il 4% non può che mettersi in adorazione di una formazione che in pochi anni ha riportato risultati a due cifre. La PDS fino al 2004 ha superato la soglia di sbarramento soltanto nel 1998, ma era presente fin dal 1990 per deroga alla Sperrklausel nelle prime elezioni della Germania riunificata e successivamente grazie alla elezioni di tre mandati diretti la Germania tutela le minoranze politiche meglio delle leggi elettorali italiane. Ho qualche perplessità, per antiche reminiscenze, nel valutare i risultati elettorali, come l'unico criterio di giudizio, e come logico di usare il criterio soltanto quando il vincitore ci è simpatico. Se il successo elettorale è la misura dei valori tutta la sinistra italiana avrebbe dovuto diventare socialdemocratica nel 1999, quando 12 Primi Ministri su 15della UE erano di partiti affiliati al PSE. La SPD è in un cul de sac: non ha una alternativa alla Grande Coalizione e la Grande Coalizione, carta canta!, la indebolisce. Alla Grande Coalizione si può applicare quanto il fine Ciu-enlai diceva degli  accorsi tra le superpotenze USA e U.R.S.S: “dormono nello stesso letto, ma fanno sogni diversi”. Il sogno della Merkel è chiaro, fare un governo con la FDP con una chiara e forte maggioranza parlamentare. Il problema della SPD è che è diventata incapace di sognare.

    Se Sparta piange, Atene non ride o, almeno non dovrebbe. Ogni partito ha il diritto di festeggiare le sue vittorie e, come ci insegna la saggezza popolare chi si accontenta gode, tuttavia se la politica fosse qualcosa di appena più serio della tifoseria da “Curva Sud” mi chiederei per quale ragione la LINKE raccolga soltanto una frazione (4%) delle perdite (-11,3%) della SPD e non mi accontenterei del fatto, che la sinistra nel suo complesso sia al 35,2%, cioè appena sotto il livello della sola SPD al tempo del vituperatissimo Schröder, per non parlare dei risultati della SPD di Brandt e di Schmidt e dello Schrõder del 1998, sempre sopra al 40%. La LINKE dal 2005 e dalle successive elezioni regionali ha vinto la scommessa dell'esistenza., non è più una forza di pura testimonianza, quindi deve essere la prima a preoccuparsi della perdita di peso della sinistra e della stessa possibilità di costituire un'alternativa ai governi liberal democristiani. Le percentuali sono spietate e lo saranno ancora  di più cifre dei voti in assoluto. Buona parte dei guadagni in percentuale di Verdi e LINKE  sono conseguenza della forte diminuzione dei votanti, appena il 70,8% (-7%) (la più bassa percentuale di votanti da quando esiste la RFT): è un fatto che la sinistra rosso-verde che aveva il 51,1% nel 2005, ora raggiunge il 45,7%, una perdita del 5,4%, quindi superiore al guadagno della LINKE.

    Il 7% in meno di votanti corrisponde a circa 4.340.000 voti: praticamente la consistenza dei Grünen (4.641.197). In percentuale i Verdi aumentano del 27% e la LINKE del 50% rispetto ai propri voti del 2005, in voti assoluti i Verdi passano da 3.838.326 a 4.641.197 e la LINKE da 4.118.194 a 5.143.884, cioè complessivamente guadagnano 1.828.561 voti a fronte di una perdita SPD di 6.205.822 voti, tre volte tanto!

    Un giudizio complessivo e definitivo sulle elezioni tedesche sarà possibile soltanto con la distribuzione dei seggi dopo la riproporzionalizzazione e conosciuti i risultati di due Lãnder, che votavano contemporaneamente alle elezioni federali, il Brandeburgo e lo Schleswig-Holstein. Ci si dimentica spesso che la Germania è una repubblica federale e che per governare è necessario aver una maggioranza anche nella seconda Camera, quella rappresentativa dei governi dei Lãnder. La CDU è stata già sconfitta in Turingia e nella Saar e lo sarà nel Brandeburgo. La Merkel potrà, però, dormire sonni tranquilli, perché in Turingia, malgrado il passo indietro del vincitore delle elezioni, il capolista della LINKE, Bodo Ramelow, non si è trovata la quadra, come nella Saar del resto dove ai problemi politici dei rapporti tra SPD e LINKE si aggiungono quelli personali con Oskar Lafontaine. La SPD è un partito dove formalmente sono vietate le correnti organizzate, tanto che per diventare membri della Presidenza Federale, i candidati si devono conquistare uno ad uno i voti della maggioranza assoluta dei delegati. Chi lascia il partito è un traditore, un riflesso piuttosto leninista, che turatiano.

    Con tutta probabilità dovrà crescere una nuova dirigenza politica nei due partiti, che, anche per ragioni anagrafiche, non sia più condizionata dalla divisione tedesca.

    Gli elettori di sinistra appaiono più avanzati dei loro dirigenti: nei collegi uninominali la SPD prende, come nel 2005, ben due milioni in più, di cui un milione e duecentomila da elettori di Verdi e LINKE.

    Il muro fisico è crollato nel 1989, ma un muro spirituale c'è ancora, se un giornale conservatore come la FAZ fa la previsione che nel prossimo Parlamento per la prima volta ci saranno più ex collaboratori della Stasi, la polizia segreta della DDR, che dissidenti tedesco orientali.