martedì 24 febbraio 2009

Walter, addio!

Nei suoi discorsi vola sempre alto, molto alto. E cerca di trasmetterci il messaggio dei suoi sogni. A futura memoria. L’uscita di scena di Walter Veltroni è stata all’altezza della sua discesa in campo come leader del PD.

di Felice Besostri
Il Veltroni è uomo di comunicazione: ha ottenuto l’apertura di tutti i telegiornali.
Come effetto secondario ha oscurato l’ultima battuta infelice (e criminale) di Berlusconi sui desaparecidos argentini.
Nel clima di celebrazioni della sua coerenza, non ci sarà spazio su una riflessione critica del suo operato.
Se non fosse per Pansa ed il Riformista, nessuno ci avrebbe ricordato la sequela di sconfitte di cui è responsabile.
L’unica consolazione è che non c’è più una via di fuga, del "Perdente di successo".
Scampò alla prima sconfitta dell’Ulivo candidandosi, lui il segretario del maggior partito del centro-sinistra, DS, a Sindaco di Roma.

Con la sua uscita di scena si compie la parabola di un leader, che non essendo mai stato comunista, non ha nemmeno mai voluto diventare socialista, perpetuando l’anomalia di una sinistra italiana fuori da ogni parametro politico europeo.

I tentativi di costruire anche in Italia un partito del socialismo europeo sono falliti e nel fallimento la segreteria di Veltroni, ereditata da D’Alema, è stato un nodo decisivo.

Il punto non è quello dei proclami e dei deliberati congressuali: gli Stati Generali della Sinistra del 1998 erano stati chiari ed anche le conclusioni del Congresso di Pesaro del 2001, con l’incoronazione di Fassino, personalmente un socialista europeo.

Quello che in altri è stata incapacità di perseguire l’obiettivo, si tratti di Amato, di D’Alema o di Fassino, in Veltroni è stato, invece, un lucido e coerente disegno.

Dapprima, come detto, con la sua segreteria e dopo come leader del PD.
Veltroni è stato determinante nella fine anticipata del Governo Prodi, senza di lui le miopi manovre della sinistra radicale non avrebbero avuto successo.

Veltroni, infine, è il massimo responsabile di un mancato accordo con i socialisti per le elezioni del 2008.
Con l’obiettivo di far scomparire ogni formazione a sinistra del PD, per evitare che fosse coperto lo spazio lasciato libero dai DS, ha preferito un’alleanza con Di Pietro e la sua IDV.

Di Pietro l’ha ripagato bene e l’unica soddisfazione di Veltroni è quella di avere, nel suo discorso di addio, attaccato la sinistra giustizialista: e ciò resterà negli annali della storia.

I dati elettorali sardi parlano chiaro: Berlusconi, e per lui Cappellacci, hanno vinto.
Le percentuali, ancorché non definitive, non lasciano dubbi, Cappellacci ha ottenuto il 51,83% mentre Soru il 42,94%, poco meno del 10% di distacco.

Nel 2004 Soru aveva vinto con il 50,13% rispetto al 40,53% di Pili, l’allora candidato della destra.
Il Centro-Sinistra ha, invece, subito una ben più cocente sconfitta con il voto per i partiti. Ha, infatti, raggiunto il 38.98% dei voti rispetto al 56,13% dei sostenitori di Cappellacci, un distacco di oltre 17 punti percentuali. Nelle precedenti elezioni del 2004 i partiti del Centro-Sinistra avevano raggiunto il 45,86% rispetto al 44,14% del Centro-Destra: un distacco minimo del 1,5%.

Nel 2004 i partiti che avrebbero dato vita al PD (DS 13,15%, Margherita 10,79% e Progetto Sardegna – Lista Soru 7,77%) conseguirono il 31,71%, mentre nel 2009 il Partito Democratico si è fermato al 24,71%.

Di contro nel 2004 i futuri partiti del PdL (Forza Italia 14,99%, AN 7,34% e Nuovo PSI 1,04%) ottenevano il 23,37% e sono balzati nel 2009 al 30,47%.

In Sardegna, quindi, è stato sconfitto Soru ed il PD: le dimissioni di Veltroni sono più che giustificate. Nella coalizione di Soru le forze di sinistra (Rifondazione, PdCI, La Sinistra e Rosso Mori) sono invece andati bene con un complessivo 9,18% rispetto al 2004 (Rifondazione, PdCI, Verdi), quando ottennero un 6,77%, che arrivava al 10,53% conteggiando i socialisti (3,76%), stavolta usciti dalla coalizione con un più modesto 2,34%.

Senza la sinistra il centro-sinistra non può vincere, mentre il PD è nato con l’obiettivo, purtroppo conseguito, di eliminarla: un’ulteriore sconfitta di quel progetto politico.

Se, invece, delle percentuali si ragiona sui voti assoluti, si comprendono meglio i risultati e diventa chiaro che Berlusconi non ha vinto, ma i suoi avversari hanno perso.

Nella specialità, non olimpica, della corsa a ritroso, vince infatti chi corre più piano. Innanzi a tutto c’è stato un calo drammatico dei votanti. I candidati presidenti del 2004 ottenevano complessivamente 972.771 voti, mentre nel 2009 928.376, cioè circa 44.000 elettori in meno.

Cappellacci è stato eletto con 481.220 voti, cioè con 6.000 voti in meno di Soru nel 2004. I partiti del Centro-Sinistra hanno totalizzato nel 2009 300.313, cioè 93.000 voti in meno che nel 2004.

Un’ulteriore conferma che è il Centro-Sinistra ad avere perso.
Se avesse mantenuto i voti del 2004, il candidato Presidente ed i partiti coalizzati a sostegno avrebbero vinto, benché comunque perdenti rispetto alla somma dei voti ottenuti dai partiti della destra nel 2009, che sono stati 432.401, pari al 56,13%, cioè con un incremento di 53.000 voti.

Questa volta era assente la lista di Soru, perché confluito nel PD dimostrando la regola che in politica la matematica è un’opinione, cioè 2+2 fa 3, come al tempo dell’unificazione socialista o più recentemente della Sinistra Arcobaleno.

La UDC l’alleato sognato in settori del Centro-Sinistra era alleato al PdL, cui ha dato con l’8,92% un contributo decisivo per il raggiungimento della maggioranza assoluta.

Ulteriore lezione sarda, lasciano in pace l’UCD, che ottiene di più dalla destra, di quanto possa ottenere dal Centro-Sinistra.

Se si fossero sommate le percentuali del Centro-Sinistra, dei Socialisti e dell’UDC è ben vero che si sarebbe superato il 50%, ma è tutto da dimostrare, che l’UDC si sarebbe portata tutti i suoi voti in una coalizione di centro-sinistra.

L’UDC su questioni essenziali, vedi decreto legge e ddl sul caso Englaro, è dall’altra parte, come pure settori del PD.

Va sottolineato il successo degli indipendentisti sardi, dopo lo sbriciolamento del Partito Sardo d’Azione.: Gavino Sala ha ottenuto più voti di Rifondazione, dei Comunisti Italiani, dei Socialisti e de La Sinistra, individualmente considerati.

Alla luce della lezione sarda si rafforza la linea di un centro-sinistra rinnovato, nel quale una formazione unitaria della Sinistra giochi un ruolo essenziale.


sabato 21 febbraio 2009

Fiom, Sciopero 13 febbraio: adesione media attorno al 70%

E l'associazione padronale (Federmeccanica) parla di adesioni intorno al 14%...

“Nel corso della giornata odierna, l’adesione allo sciopero nelle imprese metalmeccaniche è stata superiore a quella registrata il 12 dicembre 2008, con una media che si attesta, nella produzione, attorno al 70%, e con il conseguente blocco delle attività in numerose aziende”. Lo comunica in una nota la segreteria nazionale della Fiom Cgil.
“Si tratta di un risultato molto significativo - prosegue la nota - dato che il consenso all’iniziativa di lotta assunta dalla Fiom è stato portato dai lavoratori nonostante la crisi economica che taglia i redditi e accresce le preoccupazioni per il futuro. Nel valutare il grado di adesione dei lavoratori alla nostra iniziativa di lotta, occorre naturalmente tenere conto del fatto che non hanno potuto scioperare tutti i lavoratori già espulsi dal processo produttivo, come accaduto a migliaia di precari, o posti in Cassa integrazione nel corso di questa settimana”.
“La Segreteria nazionale della Fiom - si legge a conclusione della nota - ringrazia le lavoratrici e i lavoratori metalmeccanici per questa prova di generosità e di consapevolezza della portata della crisi economica e sociale e dello scontro politico in corso rispetto ai modi e agli strumenti con cui fronteggiarla”.
Del tutto diversa la percentuale di adesione secondo Federmeccanica che parla di adesioni intorno al 14%.

martedì 10 febbraio 2009

Miseria e nobiltà del PSE: Il Partito del Socialismo Europeo tra realtà e immaginario

di Felice Besostri
È un fatto che, nel secondo dopoguerra, la sinistra in Italia non si è mai organizzata intorno ad un partito socialista egemone a differenza degli altri paesi europei.

Nel resto d’Europa, infatti, il partito di gran lunga maggioritario nella sinistra era di tipo socialdemocratico o laburista indipendentemente dal nome. Il partito austriaco SPÖ non ha mai sostituito la parola socialista con socialdemocratico, pur essendo tale per organizzazione, programma politico e fondamenti ideologici.

Nel panorama socialista europeo mantenevano una loro peculiarità il PSI in Italia, la SFIO prima e il PS poi in Francia ed il PSOE in Spagna: il primo non faceva parte nel secondo dopoguerra neppure dell’Internazionale Socialista, che, invece, comprendeva il PSDI di Saragat.

Per un certo tempo si era coltivato il progetto di un socialismo mediterraneo, del Sud Europa, alternativo al socialismo continentale, scandinavo e britannico.

Tuttavia l’unificazione socialista in Francia sotto Mitterrand, l’ascesa dei socialisti portoghesi con Soares e degli spagnoli con Gonzales ed infine dei socialisti greci di Papandreu crearono nei loro paesi una strutturazione politica simile a quella tradizionale socialdemocratica e laburista: un partito chiaramente egemone a sinistra e alternativo ai conservatori.

Partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti con vocazione maggioritaria, cioè in grado di proporsi alla guida del paese con propri programmi e propri leader.

L’Italia rimase l’eccezione, anche dopo l’unificazione socialista e la comparsa di Craxi alla guida del PSI ed avvenimenti epocali come la caduta del Muro di Berlino e la crisi del sistema sovietico: quest’ultimo fatto confermava vieppiù l’inattualità della storica frattura del movimento operaio tra socialisti e comunisti.

Persino nei paesi dell’Europa Orientale si riprodusse lo schema classico in paesi quali le Repubbliche Ceca e Slovacca, la Polonia e l’Ungheria, grazie alla conversione alla socialdemocrazia di una parte dei partiti già comunisti.

Le ragioni dell’anomalia italiana sono molteplici, ma le ragioni principali sono due: una forte presenza di un partito Democratico Cristiano interclassista e collocato al centro, e non a destra, dello schieramento politico e l’esistenza di un Partito Comunista, che nella pratica organizzava i movimenti sindacali e cooperativi e aveva un radicato insediamento nelle autonomie locali, cioè gli strumenti tipici della socialdemocrazia.

Resta il fatto che né il patto di unità d’azione tra i socialisti ed i comunisti, né la loro divisione, consentivano alla sinistra italiana di porsi come alternativa alla DC ed ai suoi alleati di centro.

Un’unità a egemonia comunista non era praticabile per la conquista del potere nell’epoca della guerra fredda e della divisione dell’Europa tra Est ed Ovest e l’autonomia socialista non raggiunse mai quella massa critica necessaria per diventare alternativa alla DC. Socialisti e comunisti incapaci di regolare i conti con la propria storia, vennero, persino, in concorrenza nelle alleanze con la Democrazia Cristiana: centro-sinistra versus compromesso storico.

Persino l’Ulivo, che conquistò la maggioranza parlamentare in due occasioni, era caratterizzato dall’alleanza con settori della ex democrazia cristiana, cui, comunque, spettava la leadership.

I tentativi di formare in Italia un partito socialista di tipo europeo, malgrado il fatto che nel frattempo il PDS, erede parziale del PCI, fosse entrato nell’Internazionale Socialista, non sono mai stati perseguiti con coerenza e determinazione, come le vicende dei DS testimoniano.

Gli Stati Generali della Sinistra di Firenze (1998) e Congresso di Pesaro dei DS (2001) non andarono mai oltre l’enunciazione di una intenzione, anzi si sono conclusi nel suo contrario, cioè nella creazione di un partito, il PD, che rappresenta l’aggiornamento del compromesso storico, con l’aggravante, che, per riuscire, il nuovo partito doveva, anche formalmente, uscire dal campo della sinistra.

L’anomalia italiana è sotto i nostri occhi, unico paese d’Europa senza una sinistra, in tutte le sue espressioni, in Parlamento e con il maggior partito di opposizione fuori dal PSE, cioè dalla forza maggioritaria dello schieramento progressista in Europa.

L’obiettivo di portare la sinistra italiana nell’alveo del socialismo europeo resta ancora l’unica carta da giocare, ma se resta un compito affidato soltanto alla dinamica politica nazionale, non ha grandi prospettive.

Non c’è dubbio che la socialdemocrazia è uscita vincitrice dalla competizione con il comunismo, una rivincita storica, ma senza ricadute in Italia.

Negli anni 90, ad un certo momento, il socialismo europeo governava in 12 dei 15 paesi dell’allora Unione Europea.
Nel punto più alto della sua forza, però, il complesso dei partiti del PSE aveva abbandonato il terreno classico della socialdemocrazia: i partiti socialisti più forti ed importanti al Governo avevano sposato le ricette neo-liberiste ed avevano cominciato a teorizzare Terze Vie e Nuovi Centri.

Ora da soli governano soltanto tre paesi, Spagna, Portogallo e Gran Bretagna ed in coalizione a guida socialista l’Austria, l’Ungheria e la Slovacchia, cioè sei paesi su 27.

La crisi economica e finanziaria mondiale e le prossime elezioni europee hanno ridato slancio a programmi socialdemocratici, ma in un quadro di progressivo indebolimento dei partiti del PSE, di cui la SPD tedesca è l’esempio più lampante.

Mai come in questo momento è più acuta la contraddizione tra le opportunità offerte dal fallimento delle ricette neo-liberiste a livello planetario e le concrete possibilità per il socialismo europeo di presentarsi come alternativa.

Il problema è costituito proprio dal PSE, che non è un partito socialista europeo, ma una confederazione di partiti nazionali, nella loro maggioranza privi di un progetto europeista, come il Manifesto di Madrid dimostra, benché molto pregevole sotto il profilo economico-sociale ed ambientale.

Se il PSE fosse un partito europeo non potrebbe assistere impotente alla tragedia della sinistra in Italia, che della sinistra europea è diventata il ventre molle.

Senza l’Italia il PSE è destinato a soccombere rispetto al PPE, ma non si vedono iniziative per rovesciare la situazione. Già i socialisti italiani hanno sperimentato l’indifferenza dei socialisti europei nelle elezioni politiche del 2008: il PD è stato il loro interlocutore principale. Al PS di Boselli si sono date al massimo un po’ di pacche sulle spalle di incoraggiamento.

Proprio perché il PSE non è un partito socialista europeo, ma una confederazione di partiti nazionali, i suoi partiti maggiori sono più interessati ai propri organigrammi nelle istituzioni europee, Presidenza del Parlamento Europeo e delle Commissioni più importanti, che a concorrere a creare in Italia i presupposti per un rinnovamento e ricostruzione della sinistra sulla base delle tradizioni e dei valori del Socialismo europeo.

La riforma della legge elettorale europea avrà come effetto di far scomparire la sinistra italiana, compresi i socialisti del PS, dal Parlamento Europeo e di ostacolarne addirittura la partecipazione alle elezioni.

Si introdurrà una soglia di sbarramento per potere beneficiare della ripartizione dei seggi, ma lasciando inalterate le norme sulla presentazione delle liste.

Si gioca sulla stessa sopravvivenza di una sinistra italiana, a meno che non si compia una riaggregazione proprio in nome del socialismo europeo, non come sigla, data in franchising al partito membro, ma come riferimento politico ed ideale.

Secondo l’antica saggezza cinese, ogni sfida, per quanto difficile, contiene sempre una grande opportunità.

mercoledì 4 febbraio 2009

Ieri in Brasile - oggi in Italia?

Nella fase preagonica del PD, se non si riesce a dare una risposta credibile ed unitaria della sinistra, c’è il rischio, che il poco, che è rimasto a sinistra, sia ingoiato da un buco nero.

di Felice Besostri
Insegno all’Università Diritto Pubblico Comparato e conosco un solo esempio analogo a quello della ventilata riforma della legge elettorale per le europee. I militari brasiliani, dopo un golpe che diede vita ad una sostanziale dittatura, per darsi una parvenza di democraticità, decretarono per legge l’esistenza di due soli partiti l’ARENA (Alleanza per il Rinnovamento Nazionale) governativo di maggioranza e lo MDB (Movimento Democratico Brasiliano) minoritario di opposizione. Le elezioni si facevano, ma la minoranza non poteva vincerle.

Poiché nell’imminenza delle elezioni vediamo approvare la riforma elettorale trattata, sottobanco da PD e PDL, tutti ma proprio tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità.

Il bipartitismo non può nascere con le stampelle di una legge elettorale fatta su misura per il PDL per vincere e per il PD per mantenersi artificialmente in vita.

La progressiva paralisi involutiva del PD apre obiettivi spazi politici, ma non facciamoci illusioni gli spazi, se non ci sono forze soggettivamente in grado di occuparli, diventano vuoti che ingoiano tutti: la sinistra italiana, così come è strutturata non è in grado di occupare alcuno spazio.

Lo abbiamo già sperimentato alla nascita del PD: lo spazio lasciato libero a sinistra non è stato occupato, anzi c’è stata la grave sconfitta della Sinistra Arcobaleno (e la Costituente Socialista non è decollata).

Ora nella fase preagonica del PD, se non si riesce a dare una risposta credibile ed unitaria della sinistra, c’è il rischio, che il poco, che è rimasto a sinistra, sia ingoiato da un buco nero. Una settimana fa si è votato nel Land dell’Assia e da quanto è successo dobbiamo trarre delle lezioni, pur con le differenze del sistema politico ed elettorale tedesco ed italiano. La SPD ha perso un quarto dei suoi voti, che non sono stati assorbiti dalla Linke, che ha perso voti in assoluto: gli astenuti in più rispetto al 2008 sono in numero superiore agli elettori del partito di Lafontaine. In Germania non c’è alternativa a sinistra della SPD, ma la SPD non è più un’alternativa credibile alla CDU. Lo stesso sta avvenendo in Italia, se non si riesce a ricostituire e rinnovare la sinistra in senso socialista ed europeo: la sinistra esistente non è alternativa al PD ed il PD non è, non può e, neppure, vuole essere alternativa al PDL, il suo interessato rianimatore.

Chi è all’opposizione e non è alternativa oggi, non potrà mai diventare maggioranza domani.