lunedì 13 dicembre 2010

Una proposta per la Sinistra milanese

PERISCOPIO SOCIALISTA 

di Felice Besostri

A Milano, culla del berlusconismo, si gioca una partita politica importante con un significato, che va ben oltre la vecchia cinta daziaria. Da quasi un ventennio e precisamente dal 1993 la destra governa questa città senza nemmeno dover affrontare un ballottaggio per l'elezione del Sindaco, ad eccezione del duello Formentini-Dalla Chiesa. Con quella elezione si è verificata una doppia cesura rispetto alle tradizioni politiche amministrative della metropoli milanese, una vittoria di coalizioni conservatrici e l'espulsione dei socialisti dal governo della città. Viste le vicende, che hanno seguito, ci sarebbe la tentazione di dire, che i due fatti siano strettamente legati, cioè che la destra vince perché i socialisti sono stati emarginati.  Per la prima volta abbiamo un candidato, che alla tradizione amministrativa socialista si richiama , pur non avendone  fatto parte , e che non è stato scelto di fatto dal PDS-DS-PD, primarie o meno occorrendo. La congiuntura appare favorevole, senza facili illusioni e soprattutto senza un lavoro corpo a corpo degli elettori, per diverse concomitanti ragioni: un pessimo bilancio della Giunta Moratti, poiché la qualità della vita a Milano si è degradata, e lo sgretolamento progressivo del sistema di potere berlusconiano, che a Milano, oltre che a Mosca e Tripoli, ha uno dei suoi centri. Il volto del candidato, in una elezione diretta, ha la sua importanza, ma anche la determinazione delle forze che lo sostengono e la qualità della loro proposta politica.

    Con la cittadinanza si sono misurati altri 2 candidati di elevato spessore professionale, che sarebbe bene si spendessero nella campagna elettorale con una loro lista o come testa di lista di un partito: un valore aggiunto cui non rinunciare. La parte inedita di questa campagna elettorale sarebbe, invece , un'espressione unitaria delle forze della sinistra, che trasversalmente hanno sostenuto Pisapia nelle primarie,SEL, Federazione della Sinistra e area socialista. In realtà lo spettro politico è ancor più vasto e comprende ambientalisti, liberal-democratici, laici repubblicani e progressisti di varia origine ed, ancora, last but not least, cittadini, che si sono incorporati per la prima volta o a distanza di molti anni all'attività politica: un fenomeno tipo Ulivo 1996 tanto per intendersi.

    Se mi occupo della Sinistra in particolare è perché a tale area appartengo (variante socialista) e perché, se la sinistra italiana è la più debole d'Europa, la sinistra nel Nord e a Milano ne è il ventre molle. La Sinistra milanese deve rimarginare vecchie ferite e accedere al consiglio comunale con una forza e una dignità pari al consenso, che è stata capace di creare intorno a Pisapia nella fase delle primarie. La riduzione del numero dei consiglieri e la loro attribuzione alle liste apparentate al candidato sindaco con il metodo D'Hondt impongono una lista unitaria di Sinistra, che raccolga socialisti, comunisti, ambientalisti, laici e libertari, cioè tutte le sensibilità di una sinistra plurale.

    Non sarà facile, ma è necessario. Concorrenza elettorale, strascichi di dissapori passati tra le formazioni e dentro le formazioni della sinistra e progetti elettorali di singoli ( per carità niente di scandaloso purché non condizionino le scelte politiche) sono tante forche caudine da passare con i minori danni possibili: difficile, ma necessario per la vittoria di Pisapia e con lui di un'idea di Milano, che rompa con la destra e si riallacci alle sue migliori tradizione di società aperta, civile, accogliente e tollerante. L'unità di intenti della coalizione ampia che lo sostiene è la condizione della sua vittoria, quindi la tentazione di metterci su un cappello più ristretto di un partito va in direzione sbagliata, semmai occorre aggiungere una novità politica come un'unità della Sinistra, non per caratterizzarlo, ma per caratterizzarsi come forza innovativa e di progetto, capace nell'interesse degli strati popolari, che intende rappresentare nel governo della città, di superare divisioni e rancori del passato.       

giovedì 25 novembre 2010

Miracolo a Milano

PERISCOPIO SOCIALISTA 

La vittoria di Pisapia a Milano, che è stata una vittoria della politica contro l'antipolitica, contro quella di destra ma anche contro quella di sinistra, ha rimescolato gli elettorati e le stesse militanze: iscritti al PD e al PSI non hanno seguito, in tutta evidenza, gli orientamenti dei loro segretari. Ma queste sono le primarie, baby.

di Felice Besostri
Come si è doviziosamente appreso dai giornali, Milano democratica e progressista ha scelto Giuliano Pisapia quale sfidante della Moratti, lui nominato alle primarie, lei unta dal Capo in tele-collegamento a una manifestazione nel chiuso di un teatro. Già il metodo di scelta costituisce una bella differenza: da un lato decine di migliaia di cittadini che hanno sfidato il maltempo, dall’altro un’investitura di tipo feudale. Nel campo progressista c’erano quattro candidature misuratesi con i cittadini elettori, nell’altro i dissensi e i malumori risolti in via autoritaria dal padre-padrone.

    Se Milano avesse ritrovato l’orgoglio delle sue radici riformiste dovrebbe bastare il metodo di investitura, oltre che una decina d’anni di malgoverno cittadino, per far girare pagina alle prossime elezioni municipali. I numeri ci sono e il successo di Pisapia anche nelle circoscrizioni 1, 3 e 6 (zone di borghesia media e medio-alta), dimostra che si può ancora incidere su un elettorato perduto a sinistra da parecchi anni anni. Si può ricreare quella saldatura tra elettorato popolare e ceti medi, che prima del fascismo e poi ancora nel secondo dopoguerra avevano assicurato buone, solide amministrazioni a guida socialista e basate sull’asse PSI-PCI.

    Pisapia si è candidato anticipando le mosse dei partiti. Non è il solito personaggio di una “società civile” che ritiene di stare “fuori” dalla quando non addirittura “al di sopra” della politica. Si era già speso, candidandosi da indipendente in Rifondazione Comunista alla Camera dei deputati. Una storia chiaramente “di sinistra”, dunque, ma con tratti differenti da quelli comuni a una certa sinistra.

    Da avvocato e da presidente della Commissione giustizia a Montecitorio Pisapia è sempre stato un convinto garantista, che non vuol dir altro se non fedeltà ai principi della nostra Costituzione.

    Da candidato alle primarie ha dichiarato fin da principio che i suoi modelli erano le amministrazioni a guida socialista di Milano, indicando nomi e cognomi: da Antonio Greppi ad Aldo Aniasi fino a Carlo Tognoli. In Europa ha indicato come punti di riferimento le municipalità di Berlino, Parigi e Barcellona, anche queste a guida socialista. Si tratta di chiare indicazioni politico-programmatiche riaffermate, del resto, più volte a partire da un’intervista al quotidiano il manifesto oltre che al convegno del Gruppo di Volpedo.

    Una rivoluzione copernicana, per Milano, se pensiamo che vent’anni fa il candidato di centrosinistra alla carica si era distinto per avere guidato dei manifestanti sotto la sede del PSI al tempo di tangentopoli, in un accesso (troppo facile) populismo forcaiolo. E fu così che una fetta importante di elettorato socialista, composto in grandissima parte da persone perbene è stata regalata al centro-destra o confinata nell’astensione.

    SEL e la Federazione della Sinistra hanno appoggiato fin da subito la candidatura di Pisapia, ma senza metterci sopra il cappello di un’esclusività. La manifestazione di sostegno con Vendola e Gad Lerner è stata bella e partecipata, ma al successo di Pisapia hanno contribuito le migliaia di contatti di base ed il lavorio dei comitati di sostegno, tra cui quello dei “Socialisti e libertari per Pisapia”, nato da un appello di persone perbene, intellettuali, professionisti e amministratori o dirigenti di partito, distintisi per avere contribuito all’immagine socialista di Milano.

    Milano è sempre stato un laboratorio politico, che ha preceduto scelte nazionali, questa regola vale nel bene come nel male, dagli esordi del socialismo riformista di Filippo Turati alla nascita del fascismo fino alla sua sconfitta il 25 aprile del 1945, e nel secondo dopoguerra dal buongoverno cittadino all’estremismo di piazza e alla strategia della tensione, e poi ancora dal politicismo di Craxi all’antipolitica di Berlusconi.

    Con la vittoria di Pisapia è nata nei fatti a Milano una nuova sinistra, non confinata nell’antagonismo, ma portatrice di un progetto di governo e di una alternativa cedibile alla destra. Tra i suoi sostenitori ci sono tutte le anime di quella che Edgar Morin ha definito ma gauche (“la mia sinistra”), fatta di socialisti, comunisti, ambientalisti e libertari, e che dovrebbe diventare, speriamolo, la nostra.

    Questa vittoria ha rimescolato gli elettorati di sinistra e le stesse militanze, iscritti al PD e al PSI non hanno seguito, in tutta evidenza, gli orientamenti dei loro segretari.

    Ora inizia un percorso di consolidamento delle alleanze, di definizione programmatica e di scelte politiche, tra cui la formazione di una lista comune alle forze che hanno sostenuto Pisapia alle primarie. Se non si vuol confinare a Milano il significato del processo innestato dalla candidatura alle primarie, non dovrà esserci una “Lista Pisapia” (sulla falsariga della “Lista Penati” delle regionali). No, se la personalità del candidato è un elemento importante, il personalismo rappresenta tuttavia una delle degenerazioni antipolitiche imposteci dal berlusconismo, da evitare anche se di sinistra. 

martedì 16 novembre 2010

Ora Alternativa

PERISCOPIO LAICO 

Una vittoria delle associazioni laiche torinesi

Dopo un anno di battaglie volte a ribadire l'obbligatorietà dell'attivazione dell'ora alternativa all'insegnamento della religione cattolica nelle scuole e la possibilità del relativo utilizzo dei fondi appositamente stanziati, le Associazioni Laiche Torinesi hanno finalmente ottenuto (dopo aver dovuto per tale scopo effettuare un esposto al difensore civico della Regione Piemonte) che il Direttore dell'Ufficio Scolastico Regionale, dott. Antonio De Sanctis, ottemperasse ai doveri del proprio ufficio, informando adeguatamente tutte le scuole del Piemonte, di ogni ordine e grado, in merito alle modalità di attivazione dell'ora alternativa e di accesso ai fondi ad essa destinati.

    D'ora in avanti, nessuno potrà più affermare di non conoscere la normativa in materia e di non disporre di fondi per l'ora alternativa.

Ogni mancata attivazione di questa non potrà pertanto che configurarsi per ciò che essa è, ovvero una aperta VIOLAZIONE delle LEGGI DELLA REPUBBLICA e DEI DIRITTI DEGLI STUDENTI E DELLE FAMIGLIE, che può e deve essere sanzionata per legge.

    -->·       Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni,
    -->·       Comitato Torinese per la Laicità della Scuola,
    -->·       Associazione “31 ottobre per una scuola laica e pluralista promossa dagli evangelici italiani”,
    -->·       CIDI Centro Iniziativa Democratica Insegnanti,
    -->·       CGD Coordinamento Genitori Democratici,
    -->·       FLC-CGIL Torino,
    -->·       COOGEN Coordinamento Genitori Nidi, Materne, Elementari, Medie,
    -->·       UB Scuola,
    -->·       FNISM Federazione Nazionale Insegnanti,
    -->·       Gruppo di Studi Ebraici,
    -->·       UIL Scuola

Vai alla circolare del Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte:
http://www.torinolaica.it/templates/siteground-j15-25/documentiPDF/usr-piemonte_circ_11378_2010.pdf

Vai al sito della Consulta per leggere tutti gli antefatti della vicenda:
http://www.torinolaica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1148:ora-alternativa-allinsegnamento-della-religione-cattolica-a-scuola&catid=37&Itemid=63      

mercoledì 10 novembre 2010

Quasi la metà non vota


PERISCOPIO SOCIALISTA 


Prendendo le mosse da un recente sondaggio Ipsos apparso su Il Sole-24 Ore

di Felice Besostri

Il «nuovo centro» raddoppia. Questo, a mio avviso, il dato politico più forte che emerge dal sondaggio Ipsos per Il Sole 24 Ore effettuato tra il 10 e il 28 ottobre: confrontando le dichiarazioni di voto tra lo scenario attuale e quello con la formazione di una coalizione del grande centro (Udc, Api di Rutelli, Mpa di Lombardo e nuovo partito di Fini) si nota un balzo dovuto proprio all'appeal di questa area politica: se i quattro partiti da soli raggiungono complessivamente il 12,6% (5,1% Futuro e libertà a fronte del 6% dell'Udc), uniti in una coalizione arriverebbero al 21,1% (7,5% Fli a fronte del 9,5% dell'Udc).

    I dati sono interessanti ma non confortanti. L'aumento dell'astensione è dovuto probabilmente ad un aumento dell'astensionismo di destra, avendo SEL recuperato una parte dell'astensionismo di sinistra, ma solo una parte, col 6%, rispetto al 3,1 di Sinistra e Libertà delle Europee, cioè a parità con UDC. Tuttavia la situazione a sinistra è sconfortante, la popolarità di Vendola data al 44% di opinioni favorevoli si trasferisce in minima parte al suo partito. Non dimentichiamoci che Rifondazione aveva raggiunto picchi del 7%. Ora insieme al PdCI è attestata al 2,4%. I socialisti PSI, continuando l'oscuramento mediatico, non sono neppure rilevati.

    Una breve considerazione sul centro. Fini se vuol essere utile resti a destra, un suo spostamento deciso al centro toglierebbe dall'imbarazzo una quota di elettori della Destra indecisi, facendoli rifluire sul Polo. Non bisogna dimenticare che molti de9i supporter di Fini sono dei nostalgici di AN, che non hanno digerito la scomparsa del loro Partito. Con Fini al centro diminuiscono le possibilità di un'intesa centro-centro sinistra.

    Per tornare a noi, gente di sinistra: i problemi di fondo restano intatti e drammatici. Non si vede all'orizzonte una forza politica somigliante, sia pur vagamente, a un Partito socialista democratico Europeo e neppure alla LINKE tedesca, che comprende una componente socialdemocratica consistente, riconosciuta ed accettata, quella già guidata da Oskar Lafontaine. Tale componente ha, anzi, la pretesa di essere la rappresentante dei veri socialdemocratici quelli fedeli al Programma di Bad Godesberg! Non a quelli di Gotha o Erfurt (Bad Godesberg assunto a simbolo da certa sinistra del tradimento socialdemocratico...).

    La situazione può mutare soltanto con una grande offensiva politica ed ideologica, nonché programmatica, dei socialisti. Tuttavia ciò richiede una netta collocazione a sinistra dei socialisti: mi parie che il PSI veleggi verso altri lidi, più interessato ad essere l'interlocutore di Marchionne, che un missionario nella sinistra italiana. L'offensiva socialista italiana avrebbe bisogno di un forte impegno del PSE e dei partiti membri: parliamoci chiaro di questo appoggio alla creazione anche in Italia di un partito socialdemocratico non vi è traccia.

    Il PSE preferisce coltivare rapporti ambigui con il PD, nella speranza che cambi idea. Se mostrasse decisione su un progetto socialista democratico per l'Italia che faccia perno sul PSI ma si rivolga anche a SEL probabilmente aiuterebbe il PD a cambiare atteggiamento.

    I governi tecnici in senso proprio non esistono. La stessa ipotesi di un governo per fare la riforma elettorale non corrisponde all'interesse del Paese che ha bisogno di un'iniziativa forte per uscire dalla crisi (economica, ma anche sociale e morale) in cui versa. Un governo elettorale non è credibile per la semplice ragione che non c'è un progetto definito, almeno a grandi linee, tra le forze di opposizione e neppure all'interno del PD. Non c'è neppure un'intesa sui due unici modelli possibili in un sistema politico italiano: modello tedesco proporzionale con soglia di sbarramento e francese, maggioritario a doppio turno con ballottaggio eventuale e con soglia per triangolari.

Picture (Metafile)

Vai al servizio sul Sole 24 Ore: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-11-02/sondaggio-ipsossole-24ore-nuovo-225510.shtml?uuid=AYsh1cgC  

martedì 2 novembre 2010

Reportage dal Congresso di fondazione di SEL

PERISCOPIO SOCIALISTA 

di Felice Besostri

Il Congresso di SEL di Firenze è andato, a mio avviso, meglio di quanto lasciasse presagire il documento congressuale Manifesto per SEL e la differenza sta tutta nella relazione introduttiva di Vendola e nelle sue conclusione e negli interventi dei delegati sia quelli dal palco che quelli espressi con centinaia di sms pubblicati su un grande schermo. Il legame di Vendola con la platea congressuale è politico, ma anche fisico ed emotivo, lo si chiami leadership all'inglese o charisma con parola greca.

    Questo permette a Vendola di essere più avanti della media del gruppo dirigente, quello del Manifesto e dei delegati e ciò grazie alla sua insostituibilità, non soltanto perché è l'unico mediaticamente spendibile, ma perché incarna una speranza di riscatto dalle delusioni e sconfitte degli ultimi anni: l'Italia è l'unico paese d'Europa nel quale la sinistra, di tutte le sorti, non è rappresentata in Parlamento.

    Vendola, per pudore cercherò di evitare di chiamarlo Nichi, è conscio del pericolo costituito dai fans (uomini o donne, o meglio compagni o compagne, che siano) e come antidoto ha ricordato e si è ricordato “che è un ragazzo di Terlizzi”. Nella loro saggezza gli antichi romani quando celebravano un trionfo mettevano alle spalle di un generale uno schiavo che ripeteva "Ricordati che devi morire! Ricordati che sei un uomo! Guardati attorno! Ricordati che sei solo un uomo!").

    Vendola si è dato un'immagine da statista, cioè di chi sa che deve dare indicazioni al suo popolo e non semplicemente seguirne gli umori e le pulsioni. La sua posizione sul conflitto israelo-palestinese è netta e molto lontana dall'unilateralismo del Manifesto congressuale, quanto pone l'accento con la stessa intensità sul diritto alla sicurezza d'Israele al diritto dei palestinesi a una patria, come ha condannato i fischi a CISL e UIL e quelli, più isolati invero, al Segretario del PSI Nencini. Nel primo caso manifestando una necessità di confronto, mentre nel secondo ha parlato esplicitamente del Socialismo come punto di riferimento anche per il futuro. Per la verità la rottura dell'etica congressuale nei confronti degli ospiti è stata inaugurata proprio dal PSI con i fischi a Berlinguer al congresso di Verona del 1984.

    Altrettanto significativi i silenzi non dico Cuba, ma su Chavez, che in altri tempi sarebbe stato invece un classico di un congresso della sinistra radicale. E del resto, al congresso del PSI di Perugia erano presenti gli ambasciatori cubano e venezuelano, mentre a quello di SEL a Firenze si notava un osservatore dell'ambasciata USA.

    Altri punti di spessore per un dialogo a sinistra, che superi le divisioni del XX secolo di socialisti e comunisti sono stati sia il giudizio netto di condanna dello stalinismo e della negazione delle libertà individuali sia l'enfasi sul valore della libertà, che include però (i liberali lo dimenticano) anche la libertà dal bisogno.

    Ai rapporti con il socialismo europeo un accenno fugace, ma è pur sempre di più che alla GUE. Specialmente nella replica Vendola ha dedicato una parte importante e convincente ai rapporti con il mondo cattolico, da credente, e con la storia della DC, un partito laico, e con un suo leader come Aldo Moro.

    Nella narrazione vendoliana non è mai entrato un socialista, neppure l'icona Pertini o Nenni, nemmeno come Ministro degli esteri, e neanche Basso, che pure sarebbe un riferimento obbligato per chi ama e cita Rosa Luxemburg, ma persino Lombardi è rimasto assente, benché Vendola abbia  fatto riferimento alla formula lombardiana di una “società diversamente ricca”.

    D'altra parte la sua è una storia pugliese, ma troppo giovane per Di Vagno, e di comunista, per cui la lettura di Gramsci è un passaggio obbligato della saggistica politica. Non è una critica perché, per dire, non è che siano molti tra i socialisti quelli che hanno appreso L'Umanesimo di Marx attraverso la lettura di Mondolfo.

    I limiti tuttora presenti nel discorso di SEL, evidenziati nella lettera aperta al suo Congresso del Gruppo di Volpedo, appaiono a una prima lettura superabili e, forse, sarebbero già superati se il progetto originario di Sinistra e Libertà fosse uscito dalla semplice alleanza elettorale per le europee. Un PSI forte e fiero delle sue ragioni di rappresentante del Socialismo europeo avrebbe potuto giocare un ruolo nella ricerca difficile, faticosa e contraddittoria, ma necessaria di una nuova sinistra italiana, se avesse voluto partecipare alla partita.

    Uno degli sms pubblicati, e non era l'unico, diceva “facciamo insieme un passo avanti: SOCIALISMO ECOLOGIA LIBERTA'”.

    Su questo punto Vendola è stato chiaro, sottolineando nella replica il concetto secondo cui la parola “Sinistra” non basta a definire i nuovi compiti e le nuove mete.

    Qui Vendola va preso in parola, così come nel punto in cui assegna al SEL il compito di fare da apripista a una sinistra più ampia e plurale, che abbia come obiettivo: governare l'Italia, per salvarla, in un rapporto stretto ma rispettoso della sua autonomia con il movimento sindacale.

    Gli interventi di Epifani e Landini sono stati tra i più applauditi come pure il passaggio di Vendola sulla necessità di un sindacato unitario: sarebbe un segno di normalità, da schema classico di rapporti tra partito socialdemocratico e Centrale Unica Sindacale. 

    Altro fatto importante è che il futuro è una storia da scrivere senza la violenza “levatrice della storia”, altra rottura ideologica con il leninismo. 

    La sinistra deve fare un ulteriore passo avanti e passare dalla denuncia alla proposta, cioè indicare come uscire dalla crisi con proposte credibili e concrete: le responsabilità della finanza sregolata sono ormai chiare a tutti, ma non basta porre al centro la parola “lavoro”, se non si indica come può essere finanziato un recupero salariale compresso da oltre un decennio da profitti e rendite. Occorre chiarire dove si trovano le risorse per scuola, ricerca e cultura. Oppure bisogna porre la questione del reddito di cittadinanza.

    Passare dalla poesia alla prosa non sarà semplice, né facile, ma la voglia di fare manifestatasi in queste giornate fiorentine sembra avviare bene l'impresa.      

martedì 26 ottobre 2010

Network socialista

PERISCOPIO SOCIALISTA 


Affidiamo alla Rete Internet la proposta di intenti in calce, per raccogliere adesioni o anche osservazioni preliminari al costituendo network,i cui principi ispiratori,politici e culturali,abbiamo cercato di definire con la massima precisione nel testo Sollecitiamo i circoli,i gruppi,le associazioni ed anche i singoli compagni interessati a manifestare il loro interesse ad essere inclusi in questa rete. Il carattere organizzativo del network e i suoi limiti sono  espressi con la massima prudenza nella dichiarazione di intenti. Come vedete in questa fase non abbiamo nemmeno voluto dare un nome al network,cosa che si potrà fare quando sarà chiaro un primo quadro di adesioni.

Vi invitiamo a contattarci: intentinetwork@libero.it

PREMESSA – Il 30 settembre, nella sede del Forum Terzo Millennio a Roma-Garbatella, un gruppo di compagni provenienti da varie esperienze facenti riferimento al Socialismo europeo si è riunito del tutto informalmente e senza alcuna pretesa di rappresentanza, per valutare la possibilità di promuovere -  con tutti coloro che saranno interessati - la costituzione di una rete di collegamento fra tutte le realtà non partitiche che si richiamano al socialismo (nel senso più ampio della parola: democratico, liberale, libertario) ed alle esperienze del liberalismo di sinistra, variamente organizzate sul territorio e che condividono l’esigenza di riorganizzare la sinistra italiana attorno a un grande partito di sinistra, socialista e popolare. Ne è scaturita la decisione di sottoporre alla più ampia consultazione questa bozza di documento.

DICHIARAZIONE DI INTENTI - per la costituzione di una rete nazionale di circoli e di associazioni di cultura politica socialista denominata:

    E’ matura l’esigenza di sperimentare forme più efficaci di collegamento e di coordinamento delle iniziative fra la molteplicità di circoli, gruppi, associazioni e anche singoli compagni che da tempo hanno maturato una valutazione critica dell’assetto attuale dei partiti della sinistra in Italia e avvertono l’esigenza di contribuire a far nascere una nuova forza della sinistra italiana che sia grande, popolare e socialista, collegata con il Partito del Socialismo Europeo, interlocutore necessario e prioritario di una Sinistra italiana che agisca in un'ottica non provinciale o puramente nazionale, e con il vasto arcipelago delle  fondazioni e delle associazioni che a livello continentale, con notevole originalità di approcci, hanno permesso e tuttora permettono al movimento socialista di rinnovarsi – nella continuità ideale, culturale e politica – anche attraverso il fecondo incontro con le correnti più marcatamente progressiste espresse dal pensiero liberaldemocratico, dall’ambientalismo non integralista e dai movimenti per i diritti civili.

    Pensiamo a una forma di collegamento che sia rispettosa della autonomia e  della estrema varietà delle esperienze in atto che va salvaguardata proprio perché si fonda su modelli organizzativi diversi e sperimentali.

    Lo sguardo deve essere ampio e chiamare a collaborare un vasto universo che riguarda sia quanti vivono la loro esperienza politica e culturale fuori dalle organizzazioni partitiche della sinistra, sia quanti, singoli o organizzati, dall’interno dei partiti (PD, PSI, SEL, Federazione della sinistra) condividono l’obiettivo di un processo di scomposizione e ricomposizione degli assetti attuali per riorganizzare, anche eventualmente per tappe, la sinistra italiana attorno a un nuovo soggetto politico.

    Ribadiamo che il partito secondo noi necessario dovrà avere una chiara identità politica di sinistra e fare riferimento al Socialismo europeo, come insieme di valori in continuo rinnovamento e arricchimento e con la contaminazione di altre esperienze liberal-democratiche e progressiste, e dovrà essere fortemente ancorato all’Europa, sia dal punto di vista organizzativo che come orizzonte politico strategico. La crisi economica impone un complessivo ripensamento anche sul fronte della teoria e della politica economica, come propone anche “La lettera dei 100 economisti” italiani del giugno scorso.  La ripresa di un intervento pubblico nella sfera economica e la riconquista di un efficace peso politico e sociale del mondo del lavoro nelle sue nuove e varie articolazioni non possono oggi che passare attraverso una dimensione sovranazionale. L’Europa diviene quindi un’opzione strategica, a partire dalla quale le forze socialiste e di sinistra possono candidarsi per un effettivo governo dello sviluppo non subordinato alle logiche del capitalismo finanziario internazionale e alle politiche liberiste da esso ispirate.

    Il network che questo manifesto vuole aggregare non si propone velleitariamente di essere il nucleo costitutivo del nuovo partito, né di essere il motore della sua fase costituente. I processi politici più importanti non sono certo nelle nostre mani, ammesso che siano oggi nelle mani di qualcuno. Le scadenze accelerate che si prospettano vedranno verosimilmente una sinistra e un centro sinistra organizzati ancora in modo precario e transitorio.

    Pertanto la nostra rete lavorerà su due livelli:
    - Il primo livello sarà quello dell’approfondimento politico-culturale.  Si promuoveranno iniziative insieme alle varie riviste e fondazioni che agiscono nel nostro Paese facendo riferimento all’universo del Socialismo italiano ed europeo, nonché alle migliori tradizioni del liberalismo democratico radicale  e progressista.  La rete metterà a disposizione delle diverse realtà conoscenze, competenze e risorse umane per l’organizzazione di eventi, seminari e momenti di approfondimento utili ai territori per far crescere il livello di adesione rispetto ai temi chiave culturali e programmatici. Riteniamo di grande interesse, in proposito, il convegno internazionale su <I socialisti nell’Europa in crisi> organizzato dalla rivista “Le ragioni del socialismo” in collaborazione con la Fondazione Ebert della SPD  il 25 novembre a Roma. I partecipanti alla rete dovrebbero sostenere l’iniziativa del Gruppo di Volpedo che mira ad ottenere la possibilità di adesione al PSE da parte di circoli o singoli senza dover necessariamente passare per l’adesione a partiti nazionali aderenti al PSE: nell’ottica, sia pure di lungo periodo, di trasformare il PSE da confederazione di partiti nazionali a partito transnazionale europeo.

    - Il secondo livello di azione consisterà nel favorire tutti i processi politici che in qualche modo aiutino la riorganizzazione della sinistra italiana secondo le ispirazioni sopra ricordate e a superare antiche e più recenti divisioni, ricordando che nel prossimo anno cade il 90° anniversario della scissione di Livorno . Un network che dunque pur non proponendosi come il “principe” dei processi politici, non si limiti neppure al solo ruolo di “consigliere del principe” rispetto agli attori del gioco politico. In quest’ottica  guardiamo con estremo interesse all’imminente congresso di Sinistra Ecologia e Libertà, appoggiando l’azione di quanti al suo interno e dall’esterno chiedono l’adesione di SEL al PSE e, comunque l’instaurazione di un rapporto prioritario di confronto con il Socialismo europeo e le sue organizzazioni .

    In vista delle prossime primarie milanesi, riteniamo particolarmente significativa la candidatura di Giuliano Pisapia  e speriamo che abbia un esito positivo il suo tentativo di unificare le forze politiche e culturali della sinistra, per rendere possibile un governo della città che si ponga – come affermato dallo stesso Pisapia -  nel solco della tradizione del municipalismo socialista dei Greppi, degli Aniasi e dei Tognoli.

    Nello scenario politico nazionale, auspichiamo che la candidatura di Nichi Vendola alle primarie di coalizione possa divenire l’occasione per avviare un processo di rimescolamento complessivo all’interno della sinistra, in un contesto di scomposizioni e successive ricomposizioni delle forze che dovranno costituire l’asse portante della coalizione di centro-sinistra, in un quadro che garantisca, finalmente, la chiarezza sia delle rispettive posizioni politiche e programmatiche, sia dei riferimenti politici sovranazionali.

    A queste primarie il nostro network potrebbe anche contribuire con un proprio documento programmatico.
    In questo contesto, un elemento strategico utile al riassetto della sinistra italiana è quello di rendere esplicite ed intellegibili le questioni politiche al centro dello scontro tra le varie posizioni, facendo emergere un dibattito che ormai attraversa da diversi mesi anche i grandi partiti socialisti e socialdemocratici europei. Si tratta del confronto tra le posizioni più liberal-liberiste e neo-centriste, che si pongono in continuità politica con la terza via blairiana e analoghe esperienze continentali, e le posizioni che potremmo definire neo-laburiste o neo-socialiste, che invocano una svolta a sinistra in netta rottura col recente passato. Di questa svolta sostanzialmente maggioritaria sono testimonianza le conclusioni del congresso di Praga del PSE, il documento congiunto del Partito socialista francese e della SPD tedesca da un lato e l’esito del congresso del Labour party inglese – con l’elezione di Ed Miliband - dall’altro. L’Italia non può e non deve essere assente da questo importante dibattito.

    Una questione tutta italiana è invece quella riguardante la difesa della laicità dello Stato e la tutela dei diritti civili.  Non è in discussione la legittimità delle posizioni diverse espresse in democratiche competizioni elettorali, ricordando - però - che i diritti di libertà non  possono essere decisi a colpi di maggioranza proprio perché garanzia e tutela anche delle minoranze.

    Ciò che non ci soddisfa e ci inquieta è che il maggior partito del centro-sinistra, il PD, non abbia fatto scelte nette e definitive su questi temi. La estrema timidezza e la mancanza di chiarezza e di univocità politica e programmatica del PD su laicità dello Stato, bioetica, difesa ed affermazione dei diritti civili e di “genere”, sono la prova del fallimento del progetto veltroniano di superamento ed annullamento delle identità ed hanno reso e rendono tuttora difficilissimo, per la sinistra e per tutti coloro abbiano a cuore  la libertà individuale, il compito di contrastare un’offensiva clericale che vuole rimettere in discussione le conquiste civili che hanno caratterizzato il secondo dopoguerra, e impedirne l’espansione come in quasi tutti gli altri paesi europei.

    Su questi temi non vi possono essere mediazioni: l’approccio ad essi costituirà la cartina di tornasole per definire i confini politici, i valori e gli ideali della sinistra che vogliamo. Del nuovo partito della sinistra, socialista e popolare, che auspichiamo.

CONCLUSIONI - La rete socialista che prende vita sceglie dunque di posizionarsi strategicamente nell’ambito della ricollocazione a sinistra delle socialdemocrazie europee e collaborare a questo processo politico, anche per incalzare le ambiguità politiche di un PD la cui sbiadita identità politica lo ha reso e lo rende tuttora incapace di trarre le dovute lezioni dalla crisi economico finanziaria in atto e dal fallimento delle ricette neo-liberiste. In particolare questo implica che la rete socialista che viene promossa si collochi dunque, nello scenario politico italiano, a sinistra del PD, ritenendo il Partito Democratico in quanto tale inadeguato rispetto alle sfide politiche e culturali che un partito di sinistra deve oggi affrontare nello scenario di crisi economica internazionale.

    L’adesione al socialismo europeo, pur essendo per noi un’adesione di principio che è alla base della nostra iniziativa politica,  è comunque  una scelta che compiamo a ragion veduta, identificando in tale riferimento – ad un tempo politico ed ideale - tanto il legame quanto lo sbocco più naturale per le tutte attività che intraprenderemo per  raggiungere gli obiettivi prefissati.  Questa nostra scelta non esclude ma anzi, “costitutivamente”, presuppone e prevede  uno sguardo interessato anche ad altre espressioni della Sinistra europea (ambientaliste, di Sinistra radicale o liberaldemocratiche), che in vari paesi hanno trovato forme di collaborazione con i partiti socialisti e laburisti e con le quali riteniamo sia importante instaurare relazioni proficue di discussione, di elaborazione e proposta ed anche di feconda contaminazione culturale.

    Per queste stesse ragioni,  guarderemo con viva attenzione alle altre esperienze socialiste e democratiche degli altri continenti, in particolare dell’area latino-americana, nella consapevolezza che il mondo sarà sempre più policentrico e sempre meno incentrato sull’asse euro-nord atlantico.

Enrico ANTONIONI, Roma; Felice BESOSTRI, Milano; Rosario DE MAIO, Napoli; Andrea ERMANO, Zurigo; Anna FALCONE, Cosenza; Luigi FASCE, Genova; Mario FRANCESE, Aversa; Peppe GIUDICE, Potenza; Marco LANG, Roma; Bebo MORONI, Roma; Andrea NATALINI, Roma; Sandro NATALINI, Roma; Andrea PISAURO, Londra; Walter PLACCI, Roma; Alessandro PORCELLUZZI, Barletta; Francesco SOMAINI, Milano; Lanfranco TURCI, Modena; Giuseppe VETRANO, Avellino.

Vi invitiamo a contattarci: intentinetwork@libero.it   

martedì 12 ottobre 2010

Senza nome

PERISCOPIO SOCIALISTA 

Senza nome

Riflessione sui presupposti di una Sinistra
italiana e sui suoi compiti attuali.

di Felice Besostri

Bisogna cercare di non usare parole inflazionate e che perciò hanno perso di valore, come sinistra nuova, sinistra riformista, sinistra di governo e relativi ammennicoli come rinnovamento  e ricostruzione della sinistra, di cui tutti, me compreso, abbiamo abusato.

    L’Italia non ha bisogno di una sinistra nuova, ma di una sinistra e la sinistra europea ha bisogno di una sinistra italiana, altrimenti la sfida con le forze conservatrici non sarà mai vinta al prossimo appuntamento elettorale, le elezioni europee del 2014. Ragionevolmente è quello l’orizzonte temporale minimo per affrontare e si spera risolvere i problemi  della sinistra italiana, quello che sono alla base, non solo della sua debolezza, ma soprattutto della sua mancanza di prospettive nella percezione di militanti ed elettori, che disertano i partiti e le urne.

    Socialismo era anch’essa una parola inflazionata al tempo del “socialismo realmente esistente” e perciò aveva perso valore e significato ovvero era diventata un richiamo di stile, come in quei partiti socialdemocratici, che avevano sposato nella prassi e nella teoria il credo neoliberista.

    Nella frase precedente ho reso omaggio al cerchiobottismo imperante nella sinistra italiana, per cui se critichi le esperienze del comunismo realizzato, subito dopo, per evitare il sospetto di essere passato nel campo della socialdemocrazia, devi assestare   una botta al socialismo democratico.

    Dissipato il dubbio,che si voglia riproporre un revanscismo socialdemocratico si deve proseguire il ragionamento, senza bisogno di citare Alain Touraine sull’uso di “Comunista” e “Socialdemocratico” come epiteti ingiuriosi. Resta il fatto che il Comunismo, come sistema politico ed economico-sociale,  è scomparso ( e l’esistenza di partiti comunisti al potere in Cina o a Cuba e nel Vietnam non prova il contrario), mentre il Socialismo Democratico non ha mai avuto la pretesa di essersi realizzato, ma soltanto di aver ottenuto determinate conquiste. Sono in crisi di consenso i partiti europei del PSE,reduci da cocenti  sconfitte elettorali, salvo poche eccezioni, come Islanda, Grecia, Portogallo e Norvegia ( per completezza si dovrebbe aggiungere Andorra, ma ha le dimensioni di un medio comune italiano), sia in elezioni politiche nazionali che nelle  Europee 2009.

    Insuccesso  apparentemente non logico a fronte di una crisi economica e finanziaria senza precedenti, all’aumento di disoccupazione e precarietà, alla riduzioni di protezioni del welfare e alla crescita delle diseguaglianze di reddito e di prospettive di mobilità sociale, quando piena e buona occupazione, ridistribuzione  del reddito e welfare erano i tradizionali cavalli di battaglia socialdemocratici.

    Questo tradizionali capisaldi  socialdemocratici sono stati oggetto di attacchi ideologici di dipingere i partito socialisti democratici come i partiti della spesa pubblica, delle tasse e della distribuzione (distruzione) della ricchezza e non della sua creazione, tale offensiva ha trovato ascoltatori anche al loro interno e, quindi l’adozione di politiche di privatizzazione, di liberalizzazione, di contenimento della spesa pubblica in primo luogo nei settori della previdenza, della protezione sociale e dell’accesso ai servizi pubblici, anche quelli essenziali. Le scelte politiche sono state accompagnate da una politica monetaria deflattiva e da un alleggerimento dei controlli sui mercati e sui prodotti finanziari, fino al punto di avere mercati e prodotti privi di ogni controllo sulla loro quantità ed affidabilità e sui loro  scambi over the counter.  Se si aggiunge la natura privata delle agenzie di rating, così come i loro conflitti di interesse al pari delle società di revisione,  le premesse dello scoppio della bolla ci sono tutte  e la crisi è lungi dall’essere risolta e quando vi è timida ripresa della produzione non vi sono positive ricadute occupazionali e la debolezza dei mercati interni per la perdita di potere d’acquisto dei cittadini resta un fattore negativo di superamento della crisi. In poche parole mentre la politica economica e monetaria teneva sotto controllo i deficit pubblici e la loro percentuale rispetto al PIL e la carta moneta circolante si permetteva lo formazione di valori fittizi senza rapporto con realtà fisiche, anche mediate, sottostanti e l’emissione di titoli di alto valore facciale, ma senza dietro niente se non la reputazione dell’entità e emittente e un rating elevato o un alto rendimento. Il paradosso è stato, che per salvare il sistema finanziario,e in minor misura per sostenere alcuni settori produttivi, le vestali del rigore monetario e di bilancio hanno consentito agli Stati di indebitarsi, con la conseguenza che le agenzie di rating, poco prudenti sui titoli tossici, hanno declassato il debito degli stati esponendoli agli attacchi della speculazione finanziaria internazionale, con il rischio di minare lo stesso Euro.

    I partiti socialisti al potere sono stati ritenuti corresponsabili della crisi e anche quelli all’opposizione non sono stati ritenuti  portatori di una credibile ricetta di uscita dalla crisi. Nel panorama della sconfitta socialdemocratica non brillano stelle di formazioni revisioniste come il PD od antagoniste come le sinistre radicali,a partire dalla Linke  tedesca: finché e socialisti e sinistra radicale si rubano i voti e non incidono sull’astensione dei ceti popolari e non conquistano nuovi voti la sinistra nel suo complesso è sconfitta, la sola eccezione vittoriosa finora è stata quella islandese e,a livello sub statuale, quella del Land della Renania Settentrionale-Vestfalia. L’Italia è paradigmatica, il PD ha perso malgrado gli incentivi elettorali e la Sinistra, Socialisti compresi, è scomparsa dal parlamento nazionale ed europeo, non ha una presenza consistente in tutte le assemblee regionali e sono passate alla destra amministrazioni comunali e provinciali tradizionalmente di sinistra e/o di centro-sinistra. Nel resto d’Europa quando la Sinistra, maggioritariamente rappresentata da partiti del PSE, perde le elezioni resta potenzialmente in lizza per una rivincita al turno successivo. In Italia il PD appare in crisi e le formazioni alla sua sinistra ( rientra il PSI in questa definizione semplificata?, Se fosse, come dovrebbe un conseguente esponente della tendenze emergenti nel socialismo europeo,la risposta sarebbe positiva senza esitazioni o perplessità), sono addirittura assenti dal Parlamenti nazionale ed europeo e la speranza di rientrarvi è affidata ad accordi più o meno trasparenti col PD o al carisma di un leader e al suo impatto mediatico: pura contingenza senza risolvere uno che sia uno dei nodi strutturali della debolezza della Sinistra italiana.

    Nell’economia di questa riflessione non si possono affrontare tutti, ma la dimensione internazionale appare essere uno di questi. L’accettazione dell’Unione europea come  dimensione politica e istituzionale è ancora piena di riserve e non si è europeisti senza volere un rafforzamento politico dell’Europa, cioè anche una politica estera e di sicurezza comuni e, quindi, un’Europa stato federale. Se la crisi ha posto in luce la necessità di un intervento pubblico nell’economia da parte di poteri democraticamente eletti e controllati e nel contempo la dimensione insufficiente della Stato nazionale, la contraddizione si supera con il rafforzamento di uno Stato sovranazionale, di rilevanza continentale, come una Federazione europea con istituzioni democraticamente elette,controllate e partecipate. Nell’assetto democratico i partiti politici giocano un ruolo essenziale e insostituibile, come affermato nei Trattati istitutivi della UE, ovviamente partiti europei sovranazionali, ma la mancata attuazione dell’art. 49 della nostra Costituzione è un monito che non basta una previsione normativa di livello superiore, quando non si traduca in una normativa di dettaglio e non si concreti in una prassi democratica e non oligarchica e castale della vita quotidiana dei partiti, dalla selezione dei gruppi dirigenti alla scelta delle candidature.  Da qui la necessità per qualsivoglia Sinistra italiana di rapportarsi al Socialismo europeo, non come momento burocratico e formale di adesione al PSE, ma di rapporto necessario con esso e con i suoi partiti. Una sinistra italiana non può non confrontarsi e misurarsi con il socialismo europeo, anche se non esclusivamente con esso: ci sono problemi che oltrepassano la dimensione europea e il rafforzamento dell’Unione Europea è uno degli strumenti per una presenza dell’Europa nella scena mondiale e nella sfida della globalizzazione, con gli squilibri connessi nello sviluppo tra paesi e all’interno dei singoli paesi e della compatibilità ambientale dei modelli di sviluppo dominanti. Il Socialismo europeo appare a tratti nel dibattito italiano di sinistra, ora è uno di questi e di materiale ce n'è, dal Congresso di Praga del PSE, alla svolta della SPD e al documento congiunto SPD-PSF fino al Congresso del Labour. Forse se non ci fosse stata la contesa, mediaticamente ghiotta, tra i due figli del  marxista   Ralph Miliband, l'attenzione sarebbe stata minore, come infatti è capitato al contemporaneo congresso straordinario della SPD e come capiterà  al prossimo congresso di Losanna del PS svizzero, malgrado che i documenti siano di tutto rispetto per una sinistra europea, di cui quella italiana faccia finalmente parte.

    Nella carta geografica mondiale la rappresentazione della Sinistra italiana, e non solo di essa invero, delle diverse aree è squilibrata nel senso che il planisfero è a macchia di leopardo con un Medio Oriente ipertrofico e con un’America Indio-latina in cui Venezuela e Cuba hanno una dimensione superiore a quella del Brasile.  Queste insufficienze e limiti si verificano proprio in quell’America meridionale con la quale per ragioni storiche, dalla Conquista, alla colonizzazione, dall’emigrazione europea in quelle plaghe all’esilio politico in Europa dopo i golpe di Stato militari  l’interscambio politico culturale dispone dei requisiti soggettivi e oggettivi per una sinistra e un socialismo del XXI secolo, , che superi le divisioni del XX, che in Europa hanno le loro radici.

    Una Sinistra unitaria e plurale non può essere senza aggettivi, ma ne deve coniugare molti, che derivano dai suoi filoni più antichi e più recenti e perciò una sinistra socialista, comunista, ambientalista e libertaria, una sinistra umanista di laici e credenti, una sinistra democratica e autonoma, europeista e internazionalista. Dirsi di sinistra non basta, al massimo indica una collocazione nello spettro politico, ma non dove si intende andare, cioè portare in evidenza valori e porsi obiettivi incompatibili con l’attuale assetto societario, dominato dal profitto e dalla riduzione di tutto a merce per una società dove libertà, eguaglianza e fraternità, cioè solidarietà e giustizia sociale, siano di guida ed ispirazione di programmi di governo e di mobilitazione in azione puntuali. In altre parole, come ha fatto il Labour a Manchester, riscoprire il Socialismo. Nel panorama politico italiano questo compito appartiene a tutta la sinistra senza esclusioni a priori, quindi anche la Federazione della Sinistra, ma una particolare responsabilità incombe sul PD, come maggior partito di opposizione ed in parte erede dei filoni storici della sinistra italiana, al PSI come unico rappresentante del PSE in Italia e a SEL, che per prima deve sciogliere al suo prossimo Congresso alcuni, almeno, dei molti nodi della Sinistra italiana, ma canto a i soggetti politici strutturati, che rappresentano solo una parte della sinistra italiana, bisogna mobilitare nella riflessione, nella ricerca e nelle proposte quella parte del popolo della sinistra, che non si è rassegnato alla situazione di divisione e di autoreferenzialità identitaria, che sono, insieme con gruppi dirigenti  praticamente immutabili e che si perpetuano per cooptazione,  causa e conseguenza di una debolezza, che non ha pari in Europa, Ci sono forze carsiche della e nella sinistra, che devono emergere e di cui sono espressione circoli e associazioni, come (è un esempio tra i tanti) la rete socialista e libertaria conosciuta come Gruppo di Volpedo, ma anche singoli/e compagni/e che intervengono nei dibattiti on line, perché sono gli unici luoghi accessibili a tutti e speso anche gli unici dove si svolgono confronti veri, non viziati da tattiche partitiche o congressuali.       

martedì 28 settembre 2010

ECLISSI DELLA SOCIALDEMOCRAZIA O CRISI DEL SISTEMA SVEDESE ?

PERISCOPIO SOCIALISTA 

Le elezioni svedesi avrebbero potuto segnare un’inversione di tendenza  nelle sconfitte elettorali delle socialdemocrazie e della sinistra, due fatti tra loro indissolubili. Così non è stato. Ma malgrado ciò, la sinistra in Svezia sta meglio di quella italiana.

di Felice Besostri

La sconfitta della socialdemocrazia svedese, e con essa della coalizione rosso-verde con Miljöpartiet de Gröna (Partito dell’ambiente-I Verdi) e Vänsterpartiet (Partito della Sinistra) era stata preannunciata dai sondaggi dal giugno di quest’anno (48,1% vs 45,4).

    A partire dal febbraio 2007 l’opposizione rosso-verde era sempre rimasta sopra il 50% , fino a toccare l’apice nel febbraio 2008 con il 56% contro il 38,8% dell’alleanza borghese: la maggioranza assoluta delle intenzioni di voto è stata persa soltanto con le rilevazioni del  maggio 2009 (48%). Tuttavia il vantaggio è stato mantenuto fino al maggio 2010 con il 47,6% contro il 46,8%.

    La perdita di competitività della coalizione rosso-verde è da attribuire quasi esclusivamente a perdite di consenso dei socialdemocratici che dal novembre 2008 sono scesi sotto il 43% fino al 28,2% dei sondaggi del settembre 2010 alla vigilia delle elezioni. Una correlazione vi è indubbiamente con l’aumento di popolarità dei Democratici Svedesi, il partito della destra radicale, che a partire dall’agosto 2009 ha stabilmente superato la soglia del 4%.

    Pur in assenza di dati sui flussi elettorali si può arguire che i Democratici Svedesi abbiano sottratto voti anche, forse soprattutto, ai socialdemocratici, pur incidendo in termini di seggi anche sull’alleanza borghese. Se non avessero superato la soglia, l’alleanza borghese avrebbe tranquillamente ottenuto con il 49,3% la maggioranza assoluta dei seggi, come nel 2006 con il 48,26%.

Gli elementi di novità dei risultati svedesi sono almeno due: per la prima volta i socialdemocratici perdono il primato di più grande partito a favore dei Moderati e i borghesi vincono due elezioni politiche generali a fila.

    Vi è una terza novità, che non è la formazione di un governo di minoranza, circostanza più volte verificatesi con governi socialdemocratici, ma la comparsa di un terzo polo non assimilabile a maggioranze parlamentari. Il sistema politico svedese è sempre stato pluripartitico, ma rigorosamente bipolare con un partito socialdemocratico egemone, cui di contrapponeva un’alleanza borghese, composta da quattro partiti, non sempre sulla stessa lunghezza d’onda, il che spiega il fatto, che, quando vincevano non ottenevano la riconferma alle elezioni successive.

    La crisi della socialdemocrazia appare strutturale, cioè la perdita progressiva di elettorato giovanile.  Un fatto che si era già rivelao nelle elezioni europee del 2009 con l’exploit del Partito Pirata, successo non ripetuto in queste elezioni nazionali. Negli anni di governo dei borghesi si sono ben guardati dallo smantellare lo stato sociale nei suoi assetti fondamentali, secondo il loro programma per le elezioni del 2002 quando furono sonoramente sconfitti da un 52,9% della coalizione rosso-verde, ma hanno introdotto liberalizzazioni del mercato del lavoro, che hanno colpito i giovani. Questo fatto ha comportato che non era più incentivata la iscrizione ai sindacati, con le quote non più deducibili dal reddito e quindi una perdita di affiliati al sindacato LO, tradizionale bacino di raccolta dell’elettorato socialdemocratico.  Si deve ritenere questo fatto più rilevante dello scarso sex-political appeal della leader socialdemocratica Mona Sahlin, definita fredda come un agente del KGB. 

    Il partito socialdemocratico ha un problema di leadership  a partire dall’assassinio di Olaf Palme nel !986 e soprattutto di quello della popolarissima Anna Lindh nel 2003, ma non siamo ancora in quel paese ad una personalizzazione della politica, cui ci ha abituato Berlusconi e alla quale ci si è colpevolmente adattati, se non a sinistra, nel più grande partito di opposizione, il PD.

    Un altro tema che ha favorito l’ascesa dei Democratici Svedesi è la questione dell’immigrazione, proposta come tema principale soltanto dal nuovo partito. Nei paesi nordici i partiti conservatori hanno un approccio non ideologico e in Svezia, come in Finlandia, hanno fatto leggi che facilitano l’immigrazione per motivi economici, mentre i socialdemocratici erano aperti quasi esclusivamente alla concessione di asilo politico. La ragione è semplice i lavoratori stranieri non integrati nella società svedese costituiscono un efficace pressione per il contenimento delle rivendicazioni salariali e quindi del ruolo del sindacato.

    La Svezia dimostra come la stabilità del sistema politico non dipenda da leggi elettorali maggioritarie, come si è cercato di far credere e di imporre con artifizi elettorali in Italia, ma dalla cultura politica: per esempio, in Svezia è inconcepibile che in un voto di sfiducia si sommino voti di partiti con programmi opposti, come invece accadde con il primo governo Prodi. L’alleanza borghese ha quindi la concreta possibilità di costituire un governo di minoranza con i suoi 172 seggi su 349 del  Riksdag senza alcun bisogno di cercare consensi in parlamento a differenza dei governi di minoranza socialdemocratici.

    Un altro insegnamento è l’incapacità di partiti all’opposizione di capitalizzare le difficoltà dei governi in carica, in questo l’Italia può essere maestra, tuttavia un partito di sinistra non può inseguire pulsioni razziste e xenofobe, perché perderebbe ancora più voti. La società svedese è fondamentalmente democratica e, come ricorda il leader dei Moderati Gustav Blix( Il Riformista, 21 settembre 2010), la percentuale di cittadini favorevoli ad una stretta sull’immigrazione” salita per dieci- quindici anni” è in calo.  Tuttavia sono significative le aperture verso i Verdi, che garantirebbero una solida maggioranza assoluta. La prima risposta è stata negativa, non siamo nell’Italia dei parlamentari responsabili e perciò acquistabili, ma non si deve dimenticare che i Verdi, in Europa, non sono stabilmente collocati a sinistra. In Finlandia sono decisivi per il governo conservatore e in Germania governano con la CDU in alcuni Laender. 

    Le elezioni svedesi potevano segnare un’inversione di tendenza  nelle sconfitte elettorali delle socialdemocrazie e della sinistra, due fatti tra loro indissolubili, ma come mi ha fatto notare un compagno finlandese, Hannu Vesa, malgrado la sconfitta la sinistra in Svezia sta meglio di quella italiana e del suo Paese.    

mercoledì 22 settembre 2010

Epinay e la situazione italiana oggi

PERISCOPIO SOCIALISTA 
Riceviamo dal Gruppo di Volpedo
(http://www.gruppodivolpedo.it/)
e volentieri pubblichiamo


INTERVENTO AL III CONVEGNO COORDINAMENTO DEI CIRCOLI SOCIALISTI "GRUPPO DI VOLPEDO" 11.9.2010

di  Alfonso Gianni
(Comitato Scientifico di Sinistra Ecologia e Libertà)

Care compagne e cari compagni, innanzitutto voglio ringraziarvi per l’invito rivoltomi a partecipare a questo vostro importante incontro. Invito graditissimo. E colgo anche l’occasione per portarvi i saluti e i sensi della sua partecipazione da parte di Nichi Vendola che oggi non ha potuto essere fisicamente presente tra noi.

   Vorrei soffermarmi soltanto su quello che Epinay – dove nel giugno del 1971 si tenne il celebre congresso di unificazione dei socialisti - ha rappresentato nell’immaginario collettivo e nel dibattito effettivo della sinistra radicale degli anni settanta e ottanta nel nostro paese.. L’eco di quel congresso, che io ricordi, giunse solo qualche anno dopo la sua effettuazione. Direi verso la fine degli anni settanta e generò un dibattito molto intenso.. Quel dibattito si inserì alla perfezione nella critica da sinistra alla segreteria Craxi da un lato e alla politica di unità nazionale, che privilegiava il rapporto con la Democrazia Cristiana, praticata dal Partito Comunista, dall’altro. La principale chiave di lettura con cui guardavamo a Epinay era dunque l’unità delle sinistre a sinistra. Era la possibilità attraverso questa unità di condurre prima un’efficace opposizione e poi di aprire anche le porte per un governo in cui le sinistre fossero protagoniste. Insomma per chi, come me, era di tradizione comunista e allora militava in una piccola, ma culturalmente influente, formazione come il Partito di unità proletaria per il comunismo – PdUP – guidato da Lucio Magri, Epinay rappresentava concretamente la possibilità di superare definitivamente la conventio ad escludendum nei confronti dei comunisti, senza dovere passare sotto il gioco dell’alleanza con la Democrazia cristiana. In effetti in Francia fu il programma comune firmato tra socialisti e comunisti che costruì quel background politico e culturale che portò Mitterrand alla vittoria nelle elezioni presidenziali e all’ingresso dello stesso Pcf al governo, pur dopo un consistente dimagrimento elettorale da parte di quest’ultimo. Lucio Magri fece spesso riferimento a Epinay nei suoi discorsi e nelle relazioni ai congressi del PdUP come esempio vincente di unità a sinistra. Su iniziativa del grande economista Claudio Napoleoni e dello stesso Lucio Magri nacque anche un centro di iniziativa politico-culturale per sostenere queste tesi, un think tank della sinistra radicale, si direbbe con il linguaggio di oggi. Tutto questo nostro sforzo non sortì grandi effetti, come era ovvio, data anche la nostra intrinseca debolezza. I due maggiori partiti della sinistra presero strade configgenti fra loro. Poi maturò la crisi della prima Repubblica. Cionondimeno questo ricordo testimonia dell’influenza che Epinay ebbe sulla sinistra italiana. Francamente non mi sovviene, in tempi successivi, una capacità analoga da parte delle forze della sinistra francese di ergersi ad esempio per le sinistre europee, fatta eccezione per la realizzazione della legge sulle 35 ore, quindi su una questione che per quanto importante può comunque dirsi parziale e specifica.

    Ma l’attrazione della sinistra radicale italiana per Epinay non si limitò all’aspetto della unità delle sinistre. Se così fosse potremmo dire che Epinay appartiene definitivamente al passato. Sarebbe cioè privo di attualità. Infatti oggi in Italia più che porsi il compito dell’unità delle sinistre abbiamo il problema della ricostruzione di una sinistra. Di una sinistra senza aggettivi, poiché la storica divisione fra socialisti e comunisti, fra riformisti e rivoluzionari appartiene al novecento. Non ha più senso oggi. Oggi parlare di riformismo non si può fare senza specificare che cosa si intende, essendo una parola tanto abusata da essere stata svuotata. Allo stesso modo se si parla di rivoluzione si è costretti immediatamente a distinguersi dagli esiti infelici di molte rivoluzioni del XX secolo. In sostanza i grandi temi della finalità di una trasformazione sociale e dei modi per realizzarla si pongono davanti a tutti in termini innovati e quindi ancora da esplorare. Questo è il percorso che dobbiamo compiere e per farlo abbiamo sì bisogno di una consapevolezza critica del passato, ma non vogliamo chiedere abiure a nessuno. In altre parole quando dico che oggi, ripeto:oggi, non ha più senso la distinzione fra socialisti e comunisti, non chiedo a nessuno di parlare male di Turati o di Gramsci, di Kautsky o di Lenin, non pretendo che ci si penta del congresso di Livorno o della Seconda Internazionale. Anzi penso che, nei limiti di un atteggiamento critico e reso consapevole dagli eventi successivi, ognuno di noi può dirsi orgoglioso del proprio passato. Il problema è accettarlo come passato, non come eterno presente che si riproduce uguale a se stesso.

    Proprio per queste ultime considerazioni vi è un altro aspetto di Epinay che oggi torna attualissimo. Per spiegare di che si tratta faccio riferimento a un ricordo personale. Nella videoteca del parlamento europeo è visionabile un documento filmato del congresso di Epinay. Si vede a un certo punto, in una sala piena di delegati sovraeccitati e tutt’altro che disciplinati, alzarsi uno ieratico Mitterrand e invitare ad uscire della sala coloro che non accettano la discriminante anticapitalista! Oggi sembra quasi impossibile che una cosa del genere possa ripetersi. Eppure proprio qui sta l’attualità di Epinay. Naturalmente bisogna intendersi su cosa significhi anticapitalismo. Non comporta affatto il ritorno ai vecchi modelli di società socialista e comunista. Ma significa almeno che non si consideri il capitalismo come il tetto della crescita umana, come la fine della storia, come invece il neoliberismo trionfante dagli ottanta in poi ha cercato di farci credere. Come sappiamo quella convinzione è alla base di processi degenerativi della sinistra, che hanno portato alla nascita di teorie che ben poco si distinguono da quelle dominanti nella globalizzazione e che a tutti gli effetti possono essere chiamate social-liberiste, connotate cioè da un liberismo un po’ più attenuato. Do you remember Tony Blair? Un grande intellettuale socialista italiano, Giorgio Ruffolo, ha posto un titolo molto bello a uno dei suoi ultimi libri : “Il capitalismo ha i secoli contati”. Quindi il capitalismo non finirà presto, ma non è destinato a vivere in eterno. Bene io penso che la sinistra ricostruita e senza aggettivi debba partire da questa convinzione e quindi costruire la transizione verso una società senza sfruttamento e alienazione.

    Del resto questa crisi economica è sistemica. Non è soltanto la più grave dal 1929 ad oggi, ma mette in luce che i pilastri su cui il neoliberismo era fondato vacillano. Le basse retribuzioni, la precarizzazione del lavoro, la privatizzazione degli spazi pubblici  sono state le caratteristiche della globalizzazione neoliberista. Costruire una nuova società significa affrontare questi tre grandi problemi. Assieme a quello della democrazia, visto che il capitalismo moderno predilige sistemi a-democratici, nei quali i luoghi stessi del potere reale sono nascosti e sottratti alle istituzioni rappresentative, oltre che al potere di decisione popolare. Assieme al grande tema della salvaguardia del nostro pianeta dallo sfruttamento selvaggio e distruttivo operato dall’accelerazione dello sviluppo economico dominato dalla pura ricerca del profitto. Questa grande crisi non si concluderà con un ritorno allo stato di cose precedenti. Le forze dominanti cercano una via d’uscita che le mantenga in sella e la stanno trovando, in Europa in particolare, a destra, accentuando cioè il potere dell’impresa e lo smantellamento dello stato sociale. Mentre a livello mondiale è in corso una transizione egemonica, che vede diminuire il primato degli Usa e crescere il ruolo della Cina, che implementa un capitalismo non identico a quello classico, dove il ruolo dello stato è molto incisivo e sempre presente. Il capitalismo insomma cambia per sopravvivere a sé stesso. La sinistra invece deve cambiare la società per superare il capitalismo. 

    In questo quadro si inserisce la più misera vicenda italiana. Le destre si lacerano, ma a sinistra le cose non vanno meglio e si rischia così di perdere una straordinaria occasione per batterle. In questa situazione nessuna forza di sinistra da sola può sconfiggere Berlusconi e il berlusconismo. E’ necessaria una coalizione, che al di là delle innovazioni linguistiche, non può essere che di centro-sinistra.

    L’intenzione di inglobare anche forze di destra moderata in questa coalizione è illusoria  e politicamente sbagliata. Perché il berlusconismo può essere sconfitto solo spezzando la logica bipolare. Anche se non dipende da noi abbiamo tutto l’interesse che si formi un terzo polo. A noi spetta il compito di occuparci della ricostruzione della sinistra e della creazione di una solida coalizione di centrosinistra aperta alla società civile.

    Per questo sono decisive le primarie. Primarie di coalizione, non del Pd più qualche cespuglio sotto la sigla di un nuovo Ulivo. Per permettere ai cittadini di scegliere il candidato a premier e i candidati locali, ma soprattutto per ridare slancio partecipativo. Altrimenti la crisi della politica ci trascinerà verso il fondo. Altrimenti l’astensione punirà la sinistra. Una coalizione senza una partecipazione viva del suo popolo di riferimento nella scelta dei candidati e nella determinazione dei punti programmatici che la qualificano è destinata ad essere sconfitta. Non ci servono altre “gioiose macchine da guerra” che in realtà ci portano alla disfatta, ci serve una entusiastica e pacifica partecipazione popolare per costruire un’alternativa vincente al berlusconismo.       

venerdì 9 luglio 2010

L'oltrismo 

PERISCOPIO SOCIALISTA 

L'oltrismo  è una specie di ancoraggio psicologico per evitare la deriva: "Noi abbiamo perso, ma loro, i socialdemocratici, non hanno vinto!"

di Felice Besostri 

L'Italia rappresenta il ventre molle della sinistra in Europa, né la situazione migliora di molto comprendendo i consensi del PD, che ufficialmente è un partito di centro-sinistra. La sinistra, in tutte le sue varianti da quelle riformiste a quelle antagoniste è fuori dal Parlamento italiano e da quello europeo. Nelle stesse assemblee regionali è presente a macchia di leopardo e nelle regioni più ricche ha una presenza di testimonianza: senza listini del presidente e liste bloccate la presenza sarebbe ancora più ridotta.

    Se Sparta piange, Atene non ride: il PD in 2 anni ha perso quasi 5 milioni di elettori senza guadagnarne dal centro destra, che pure ha perso voti in assoluto. In conclusione il PD non si espande, come maggior partito di opposizione, grazie ai delusi dal governo e la sinistra non beneficia dei voti persi dal PD. Un vantaggio marginale è tratto da liste di protesta del tipo “grillini”, ma è soprattutto l'astensione che guadagna, inesorabilmente elezione dopo elezione, frazioni crescenti dell'elettorato.

    La spiegazione è facile, anche se potrebbe essere ingiusta, né il PD né la sinistra, dai socialisti ai comunisti, passando da verdi e vendoliani, sono credibili agli occhi dei loro potenziali, molto potenziali, elettori. Sono degli incompresi, malgrado gli sforzi per mostrarsi innovativi: nel giro di 3 anni Costituente Socialista, Sinistra Arcobaleno, Sinistra e Libertà, Federazione della Sinistra, Sinistra Ecologia Libertà e soprattutto l'invenzione di portata mondiale, la seconda dopo l'Ulivo, il Partito Democratico. In questa situazione di attesa, che  gli elettori  siano finalmente illuminati, si dovrebbe avere meno presupponenza e maggiore umiltà, perché il percorso di costruire una sinistra con respiro europeo sarà lungo, difficile, contraddittorio e senza garanzie di successo.

    C'è, pertanto da rimanere quantomeno perplessi ( l'età media dei militanti di sinistra non consente loro, parafrasando Claire Bretécher, di essere totalmente indignati per più di un minuto) quando il compagno D'Alema appena eletto alla presidenza della Fondazione Europea di Studi Progressisti (FEPS) ha dichiarato che bisogna andare oltre la socialdemocrazia. La motivazione è che i partiti socialdemocratici si erano convertiti alle suggestioni del mercato e all'ideologia del capitalismo nell'epoca della sua espansione planetaria: in altre parole avevano abbandonato la socialdemocrazia per la Third Way giddens-blariana e il Neue Mitte di Schröder.

    Guarda caso! Si erano fatti affascinare dagli stessi modelli che avevano affascinato parte dei DS, la maggioranza, la stessa che si è sciolta nel PD.

    Dunque si dovrebbe semmai tornare alle origini delle socialdemocrazie e non andare "oltre".
    Verso dove?
    Privatizzazioni e liberalizzazioni, facendo finta che fossero la stessa cosa sono stati una bandiera della XIII legislatura: basta citarne una per tutte, quella della Telecom, che doveva creare una nuova classe capitalista. Il 1999 è stato l'apice di quella stagione: una tranquilla Unione Europea a 15, con 12 primi ministri  socialdemocratici e Prodi, un'egemonia conquistata democraticamente il libere elezioni.

    Peccato che non si sia tradotta  in una Nuova Idea d'Europa, più politica e più sociale, cioè più vicina alla gente, quella che nei referendum vota no alla Costituzione europea e non va a votare per il Parlamento Europeo. Non hanno fatto nulla di diverso di quello che hanno fatto tutti i governi, mettere l'interesse nazionale al primo posto, prima di quello dell'Europa e della maggioranza dei suoi abitanti: non è una contraddizione, le scelte governative dipendono sempre più da gruppi di pressione e di interessi organizzati, lobbies, cricche e furbetti del quartierino, capitani coraggiosi, che dalla necessità di soddisfare le aspettative di ampi strati della popolazione, che i mezzi di informazione di massa raramente pongono in primo piano.

    Nelle critiche alla socialdemocrazia, che in Italia hanno sempre avuto successo in epoche diverse, si fa confusione tra critiche alle politiche concrete dei partiti socialdemocratici al potere con l'ideologia socialista democratica: le politiche possono essere radicalmente rovesciate senza bisogno di mettere in discussione i fondamenti del socialismo democratico, anzi nella SPD e nel PSE la critica alla deriva liberista avviene all'insegna del ritorno ai fondamentali della socialdemocrazia:piena e buona occupazione, cioè centralità del lavoro. I rapporti tra partito socialdemocratico e sindacato sono sempre stati stretti, senza peraltro una chiara preminenza del partito a differenza del modello comunista, anzi con il problema opposto di una tutela sindacale sul partito, fortissima nel Labour Party  fino alla riforma del 1993.

    Rimproverare alla socialdemocrazia lo statalismo, facendo un unico calderone con lo statalismo burocratico del comunismo sovietico, costituisce un segno in più dell'ignoranza delle differenti tradizioni socialdemocratiche, da quella belga a quella austriaca per esempio di associazionismo di base, ed il ogni caso equiparare uno Stato democratico ad uno burocratico-autoritario non consente di cogliere la loro radicale contrapposizione. La divisione tra socialismo democratico e comunismo nel XX secolo si è fondata essenzialmente sulle opposte concezioni per la conquista e la gestione del potere. Più che l'idolatria dello Stato ha nuociuto alla socialdemocrazia la visione nazionale in un'epoca il cui il peso dello Stato è diminuito, poiché materialmente non in grado di affrontare e risolvere i problemi, vere e proprie sfide, posti dalla globalizzazione e dalla finanziarizzazione dell'economia.

    Contrapporre Stato e Mercato nel pensiero socialista democratico è un non senso, poiché è chiaro il rifiuto di un modello economico basato sulla collettivizzazione dei principali mezzi di produzione e sulla pianificazione centralizzata e autoritaria. Centrale è, invece la questione di quale Stato e di quale Mercato: uno Stato burocratico, clientelare e corrotto è altrettanto nefasto di un mercato totalmente sregolato e/o dominato da oligopoli. 

    Stato e mercato sono istituzioni, che non sono in quanto tali ontologicamente contrapposte, semmai al centro va posta la questione Pubblico-Privato e la dimensione pubblica si può coniugare in una pluralità di modi, non necessariamente come statalismo. Cooperative, imprese no-profit, società di mutuo soccorso, in senso generale il cosiddetto Terzo Settore. Imprese pubbliche o società di capitali controllate da enti pubblici sono altre forme, di cui discutere in concreto e non in astratto: imprese pubbliche che servono al sottogoverno ed al finanziamento diretto o indiretto della politica non sono la stessa cosa di imprese pubbliche orientate a soddisfare interessi generali e/o quelli degli utenti di un servizio pubblico.

    L'articolo 41 della nostra Costituzione è una buona base dalla quale partire per delineare nelle situazione concrete i rapporti tra attività economica privata e libera e i fini sociali. I discorsi sull'andare “oltre” sono astratti ed ideologici se non si precisa non solo i quale direzione e con quali mezzi. Storicamente la sinistra è stata costituita da diversi filoni, spesso in contrapposizione tra loro, quella tra comunisti da un lato e socialisti o anarchici dall'altro anche violenta. Ora si tratta di trovare un loro superamento come sintesi armonica, più che come egemonia di una componente sulle altre.

    La nuova sinistra, come predica Edgar Morin deve essere socialista, comunista, libertaria e ambientalista. Se la contrapposizione principale nella sinistra del XX° secolo si è conclusa con la sconfitta del comunismo di tipo sovietico, il socialismo democratico non ha vinto, anzi ha conosciuto sconfitte elettorali, malgrado le quali resta comunque la principale , e in alcuni paesi l'unica, forza di progresso. Pensare che per rinnovarsi debba ispirarsi al PD italiano o a quello giapponese o al programma di Obama, come già a suo tempo avrebbe dovuto ispirarsi all'Ulivo e a Clinton, è ridicolo. Pare il frutto di una mentalità ben espressa dal provocatorio Monumento alla Vittoria di Bolzano con le colonne in forma di fasci littori e la scritta in latino che recita “da questi confini civilizzammo le genti”.  Per più volte i filoni di provenienza PCI con l' ideologia dell'oltrismo hanno perso l'occasione di ricongiungersi, anche in modo fortemente critico, con il socialismo democratico europeo dalla fondazione del PDS con Occhetto,  alla formazione dei DS con D'Alema e Veltroni, con la stessa scissione di Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo.

    L'oltrismo  è una specie di ancoraggio psicologico per evitare la deriva: Noi abbiamo perso, ma loro i socialdemocratici non hanno vinto! Piuttosto che socialisti democratici è meglio passare al liberismo, direttamente, senza una pausa socialdemocratica. L'oltrismo come malattia senile del comunismo.

*) Portavoce del Gruppo di Volpedo, associazione di circoli socialisti e libertari del Nord Ovest      

lunedì 28 giugno 2010

Pomigliano e dintorni 

PERISCOPIO SOCIALISTA 

In nome della globalizzazione e della concorrenza si deve accettare tutto a scatola chiusa? Nelle nostre valutazioni da socialisti europei, deve o no entrare una riflessione più generale?  O abbracciamo la filosofia del ciascuno per sé e Dio per tutti?

di Felice Besostri 

Se le posizioni su Pomigliano danno luogo ad una dicotomia -- del tipo i conservatori sono contro l'accordo proposto (o meglio imposto?) da Marchionne e i moderni, che sono anche i progressisti a favore -- stiamo sprecando un'occasione. In nome della globalizzazione e della concorrenza si deve accettare tutto a scatola chiusa?

    La Fiat fa i suoi conti. Chi non è dipendente dalla FIAT o al suo servizio deve fare i propri e pensare ad alternative anche di politica industriale. Siamo convinti che l'automobile come industria dipendente dal petrolio sia l'unico futuro industriale dell'Italia? Accettare un cero tipo di sviluppo implica delle scelte, tra cui l 'aumento di emissioni di CO2 e la ricerca spasmodica di nuove riserve con il rischio di tragedie ambientali come la marea nera del Golfo del Messico.

    Accettare la logica della concorrenza implica che il peggioramento dei salari non ha limiti. Ora ci si confronta con i polacchi, domani con i cinesi, però i cinesi vivono in Cina e quelli di Pomigliano in Italia: con salari cinesi non arriverebbero alla prima settimana del mese.

    Se in punto di redditività ci sono 6 milioni di vetture anno, ci si deve chiedere dove stanno gli acquirenti e quindi se è più vantaggioso produrre in Italia o in Cina, in India o in Brasile.

    Sappiamo quanto investirà la FIAT, più di 700 milioni di Euro per ristrutturare lo stabilimento, ma le infrastrutture sono adeguate per gestire centinaia di migliaia di nuove Panda? Questi investimenti sono a carico della Fiat e compresi nel piano o saranno pubblici? L'accordo proposto da Fiat è un'eccezione o un nuovo modello di relazioni industriali, come preconizza Marcegaglia?

    Non sono questioni irrilevanti per potersi pronunciare a favore o contro.
    Nelle nostre valutazioni da socialisti europei, deve o no entrare una riflessione sugli operai polacchi, che sono 6.000, cioè di più di quelli di Pomigliano? O abbracciamo la filosofia del ciascuno per sé e Dio per tutti?

    Mi rendo conto di formulare domande più che dare risposte, ma come il Talmud insegna è più importante formulare delle buone domande che dare cattive risposte.

    Le risposte dipendono dal contesto, è possibile ingoiare un rospo oggi in cambio di vantaggi domani, per esempio contribuire all'aumento di produttività in cambio di vantaggi salariali o di un sistema di cogestione  o di partecipazione al capitale sociale. Nel caso di Pomigliano l'unica contropartita è  il mantenimento (temporaneo) del posto di lavoro. Se cambiano le prospettive, la Fiat può sempre decidere di non fare l'investimento o di ridurlo ovvero di farlo, ma poi di chiudere fra un certo numero di anni perché non riesce a vendere le Panda.

    Non è neppure scritta una clausola di non ricorso alla Cassa integrazione in cambio di una rinuncia allo sciopero ovvero di mantenere l'occupazione agli stesi livelli per un certo numero di anni. La trattativa non c'è stata. Il prendere o lasciare non è una trattativa. Una trattativa seria richiedeva un sindacato unito e non frammentato.

    Ritengo che si debba riprendere l'obiettivo di avere una centrale unica o una federazione unitaria di categoria sul modello della IG Metall tedesca. E ritengo altresì che, quando si tratta con una multinazionale, come controparte ci debba essere una rappresentanza multinazionale dei sindacati.

    Una considerazione finale: essere a favore o contro l'accordo implica un giudizio di politica industriale ed economica di valenza generale. Quindi, non riguarda solo i dipendenti. Avrei voluto essere consultato anch'io...      

venerdì 14 maggio 2010

NRW vs. GRECIA

Periscopio socialista - L'ANALISI 

di Felice Besostri

Non è un caso che il vertice europeo per il salvataggio della Grecia fosse stato convocato per il giorno 10 maggio, cioè all'indomani delle elezioni nel Land della NRW ( Renania Settentrionale Vestfalia), appena 8 giorni prima del fatale 19 maggio, il giorno della scadenza di obbligazioni greche, che il governo ha dichiarato di non essere in grado di rifinanziare con ricorso al mercato finanziario. L’aggravarsi della situazione dei mercati finanziari ha costretto la UE a riunirsi lo stesso giorno delle elezioni nella NRW

    Il Land NRW è il più popoloso della Germania, con i suoi 18 milioni di abitanti: se fosse uno stato indipendente nella Unione Europea sarebbe l'ottavo tra gli stati più grandi.  Gli abitanti totali di Piemonte,  Lombardia e Veneto corrispondono a un dipresso a quelli della NRW.      Quel Land costituisce il primo test elettorale della coalizione giallo nera, FDP e Union CDU-CSU, della Merkel, la cui popolarità è in calo : i partiti al governo sono divisi sulla politica economica, sui tagli al welfare e/o alle tasse e la Merkel appare più propensa a  barcamenarsi. piuttosto che di esercitare una leadership. Le incombenti elezioni nella NRW avevano contribuito alla paralisi, perché, come ha denunciato la SPD, non si sarebbero fatte  scelte significative prima delle elezioni, con il rischio di scontentare i più e di aumentare i dissensi interni alla coalizione  La posta in gioco non è solo il governo del Land, ma anche la maggioranza nel Bundesrat, la seconda  Camera della RFT, espressione degli esecutivi regionali: senza la NRW la maggioranza di governo dipende anche dai Land governati dalla CDU-SPD. La coalizione governativa dispone di 37 voti su 69, 6 dei quali sono quelli attribuiti alla NRW.

     Senza l'incapacità della Sinistra (SPD e Linke) e dei Verdi di trovare un'intesa nella Saar e in Turingia e senza i  mandati suppletivi e perequativi dello Schleswig-Holstein il governo sarebbe già in minoranza nel Bundesrat.

    La NRW rappresenta quasi il 22% della popolazione tedesca e uno dei Land, che, malgrado la crisi della Ruhr, maggiormente contribuisce al PIL tedesco e le sue vicende politiche hanno caratterizzato la Germania del secondo dopoguerra.

    La competizione tra CDU e SPD è sempre stata alta. Nelle 14 tornate elettorali dal 1947 al 2005 la CDU è stata per 8 volte il primo partito. La SPD e sempre stata sopra il 45% dal 1966  al 1995 e sopra il 40% dal 1962 al 2000, conquistando la maggioranza assoluta dei voti e dei seggi nel 1985 e nel 1990 e dei soli seggi nel 1980: la CDU conquistò invece la maggioranza dei voti e dei seggi una sola volta nel 1958. La NRW era fino alle elezioni federali del 2005 uno dei bastioni rossi e che ha espresso leader carismatici e popolari della SPD come Johannes Rau, che è stato Ministerpresident della NRW (1978-1998) e Presidente federale (1999-2004), un dirigente purtroppo  scomparso nel 2006, uno dei periodi più difficili per la SPD: scissione di Lafontaine, formazione della Linke, elezioni anticipate e  Grosse Koalition nel fatidico 2005.

    Il governo regionale uscente è una coalizione CDU- FDP eletto nel  2005 dopo che la coalizione uscente SPD- Verdi è stata battuta e con la CDU, che con il 44,8% conseguì il suo 5° miglior risultato dal 1947. La SPD passò da 102 seggi su 231 a 74 su 187 e i Verdi da 17 a 12; una sconfessione della coalizione rosso-verde, neppure imputabile ad un'accresciuta concorrenza a sinistra: la PDS ottenne un modestissimo 0,9% e la WASG di Lafontaine un 2,2%, bensì all'astensione di importanti segmenti elettorali 3 milioni di voti nelle regionali del maggio del 2005  e 4 milioni nel settembre dello stesso anno, calati a 2.678.956 nelle elezioni federali del 2009. Nei sondaggi la SPD era data in ripresa rispetto alle elezioni federali, ma ancora lontana dai pur negativi risultati delle regionali precedenti .

    La sfida a sinistra è rappresentata dal recupero della SPD e dal risultato della Linke, soprattutto se avviene non  a spese dirette della SPD, ma con la conquista di nuovi elettori e il recupero dell'astensionismo di sinistra. La Linke deve confermare il superamento della Sperrklausel del 5% poiché non è immaginabile che conquisti uno dei 128 mandati diretti su 181: l'elettorato di sinistra è molto più maturo dei dirigenti dei suoi partiti: nei collegi uninominali maggioritari vota SPD per battere il candidato democristiano, cioè vota utile col cervello, riserva il voto di cuore al Secondo voto, (ZwSt), quello proporzionale alle liste bloccate a livello di Land, che è quello che determina la composizione definitiva del Landtag, grazie ai mandati aggiuntivi alle liste penalizzate nelle elezioni dirette: nel  1990 furono addirittura 58.

    Sulla base dei risultati delle Europee del giugno 2009 la Linke, con il 4,6%, è sotto la soglia del 5%, che aveva superato con le elezioni federali del 2005 con il 5,2% e con quelle del settembre 2009 con lo 8,4% del Secondo voto e lo 7,1% del Primo voto. Il vero termine di paragone per la Linke è lontano nel tempo ed è costituito dai risultati del KPD, il Partito Comunista di Germania, che nel 1947 ebbe una percentuale del 14%, affermandosi come il terzo partito del Land. La Linke è, invece, al 5° posto. La Linke ha affrontato queste elezioni senza il carisma di Oskar Lafontaine, che si è sostanzialmente ritirato dalla vita politica federale sia per ragioni di salute, che per il disastroso esito finale della vittoria nella Saar, a lui in gran parte imputabile, oltre che all'allineamento al potere dei Verdi.  Nella NRW vi è lo stesso problema: nei sondaggi vi è una maggioranza rosso-rosso- verde che oscilla, tra il 51 i il 52%, ma le maggioranze si fanno con la politica, prima che con i numeri, così è stato nelle elezioni federali del 2005 e nelle regionali nella Saar e in Turingia del 2009, maggioranze di sinistra sulla carta si sono tradotte in una Grosse Koalition  a guida democristiana a livello federale e in Turingia e in una coalizione CDU-FDP-Verdi nella Saar, chiamata Jamaika dai colori di quella bandiera, nero giallo verde. Una tale soluzione soluzione non è esclusa a priori per la NRW, perché la marcia verso il centro dei Verdi non è finita in Germania e in Europa, anzi è appena all'inizio.  La SPD con il Congresso di Dresda nel 2009 sembra aver tratto un qualche insegnamento dagli errori del passato: lo spostamento dell'asse politico a sinistra appare chiaro, anche se con qualche ambiguità segnalate dal risultato di Andrea Nalles, storica esponente della sinistra socialdemocratica per la segreteria generale e dalla riconferma nel Parteivorstand di Christoph Matschie, il protagonista del sabotaggio di un governo di sinistra SPD-Linke in Turingia a guida di una donna socialdemocratica. Per la SPD non è più tempo di calze rosse in scarpe nere, ma di perseguire con determinazione e coerenza un'alternativa alla CDU. La Linke a sua volta deve decidere se la SPD è un avversario da battere o un alleato da conquistare. Nella Linke ci sono  4 componenti quella della ex SED, quella socialdemocratica di sinistra, la sinistra extraparlamentare e quelli che son arrivato direttamente prima alla PDS o poi alla Linke.  Una preminenza dei primi è di ostacolo ad un'espansione elettorale fuori dalle zone ex DDR. Lafontaine ha occidentalizzato la Linke, ma anche teso i rapporti con il partito di provenienza. Gli extraparlamentari sono portatori di una visione settaria. Nuovi rapporti a sinistra possono nascere dall'iniziativa del quarto gruppo, che si incontri con una generazione politica della SPD non segnata dalla divisione della Germania e dalla contrapposizione socialismo democratico-comunismo sovietico.

    Il 22 marzo è scaduto il termine per la presentazione delle liste per le elezioni nel Land della Renania Settentrionale- Vesfalia (NRW) del 9 maggio 2010. In Germania ricorsi e impugnazioni si possono fare ed esaurire senza interferenze sulla campagna elettorale vera e propria, a differenza dell'Italia, come nel caso del Lazio.. In Germania i partiti rappresentati nel Parlamento nazionale sono soltanto cinque, nei Länder spesso solo quattro, eccezionalmente sei, quando entra l'estrema destra , eppure tale risultato è raggiunto consentendo l'ammissione di un numero elevato di liste e non con artificiose barriere come in Italia.

     I partiti già rappresentati nel parlamento del Land non devono raccogliere firme: ma per quello non rappresentati ne bastano 1.000, un decimo di quelle necessarie in Lombardia. Per accedere al finanziamento delle campagne elettorali in Germania basta lo 0,5%, mentre in Italia bisogna aver eletto almeno un consigliere regionale, cioè in alcune regioni il 4%, sempre alla faccia dell'art. 51 della Costituzione. La Corte Costituzionale deciderà sulla questione il prossimo 6 luglio in relazione alle elezioni europee, ma la questione giuridica è la stessa. 

    La campagna elettorale nella NRW   è incentrata sulle questioni specifiche del Land, malgrado la sua valenza di test nazionale della popolarità della Merkel e la sua proiezione sui destini della Grecia.

    In Italia le politiche delle regioni, con le accresciute competenze derivante dalla riforma dell'art. 117 della Costituzione, sono state le grandi assenti dalla campagna elettorale. 

    Un altro insegnamento potremmo trarre dall'esperienza tedesca, quella di evitare che le regionali si tengano quasi tutte nelle stessi giornate. Soltanto le regioni a statuto speciale e per loro vicende particolari l'Abruzzo e il Molise non hanno votano il 28/29 marzo 2010, in Germania votano contemporaneamente, nello steso giorno, al massimo 3 Länder. In Germania 4 Länder hanno votato nel 2008, 5 nel 2009, nel 2010 solo la NRW  e forse le elezioni anticipate nello Schleswig-Holstein e nel 2011 altri 5  La discussione sulle competenze specifiche della Regione e di come sono state esercitate prevalgono allora sui temi di carattere generale come deve essere in uno stato veramente federale e non in quella caricatura di federalismo, che la Lega Nord è riuscita a contrabbandare. In uno stato federale, ma anche in uno stato dalle forti autonomie come la Spagna, il giuramento dei candidati presidenti di regione nelle mani del Capo del Governo avrebbe fatto indignare, ancor più che ridere.

     Le resistenze della Merkel si spiegano con l'opposizione, stando ai sondaggi, del 57% dei tedeschi alla concessioni di prestiti alla Grecia. E' una scelta miope in un'ottica europea, che rischia di far costare di più l'intervento di salvataggio ovvero di mandare la Grecia in default con effetti domino sui paesi con un elevato deficit di bilancio, Italia compresa. L'incapacità dell'Europa, per scelte tedesche, non è la prima volta, che ha effetti tragici. Alla vigilia della crisi jugoslava c'è stato un mancato prestito alla Banca centrale della RFJ. La Germania di Kohl ( e il Vaticano) avevano scommesso sulla disintegrazione jugoslava, infatti riconobbero subito l'indipendenza slovena e croata. I costi umani, sociali ed economici delle guerre civili inter-jugoslave non sono mai entrati ufficialmente nei nostri bilanci politici. Il governo socialista greco e il suo popolo stanno pagando le colpe del governo conservatore e dei truffatori internazionali della Goldman Sachs senza la solidarietà internazionale, di cui hanno bisogno e diritto. Un'intesa è stata raggiunta in extremis e non è detto che alla lunga funzioni.

    La novità di queste elezioni è rappresentata anche dalla nuova legge elettorale, che introduce per la prima volta in un Land il doppio voto, con il primo( Erststimme) si elegge un candidato nel collegio uninominale maggioritario, con il secondo(Zweitstimme) si votano le liste regionali con distribuzione proporzionale. I collegi uninominali sono 128e gli altri 53. Tuttavia se un partito ottiene mandati diretti in numero superiori a quelli spettanti in base alla percentuale ottenuta nel secondo voto, li conserva, ma gli partiti ottengono mandati compensativi, in modo che nella assemblea del Land abbiano un numero di seggi pari alla percentuale ottenuta nel  secondo voto.

    I partiti  o gruppi di elettori in lizza sono 25, ma di essi ne sono entrati nel Landtag soltanto 5,cioè SPD (34,5%), CDU (34,3), Verdi (12,6%), FDP (6,5%) e Linke (6%) con una partecipazione al voto al minimo storico del 59,1%(-3,9% rispetto al 2005).  SPD, Verdi e Linke ottengono più del 53% dei voti. La distribuzione dei seggi non sarà confrontabile con quella del Landtag precedente, a causa della nuova legge elettorale, nel caso fossero attribuiti seggi aggiuntivi e compensativi e, comunque, dal numero di partiti che superano il 4%. Nel Landtag uscente la CDU aveva 89 seggi, la SPD 74 e i Verdi e Liberali 12 ciascuno.

    La sconfitta della coalizione liberal-democristiana uscente era stata preannunciata dai sondaggi. La Merkel ha pagato la paralisi decisionale motivata da queste elezioni, tuttavia la crisi greca, per i suoi riflessi sulla stabilità dell’Euro, non poteva aspettare e la sofferta adesione al piano di salvataggio ha dovuto essere votata dal Bundestag, prima delle elezioni. Sul piano parlamentare la decisione ha mostrato le divisioni dell’opposizione, perché i Verdi e 4 socialdemocratici hanno votato a favore della proposta governativa. Con questo i Verdi hanno lanciato un segnale di disponibilità, come già nella Saar ad un governo di coalizione con liberali e democristiani, nel caso che una maggioranza rosso-verde dovesse dipendere dalla Linke. La Linke è in piena polemica precongressuale, poiché il Forum del Socialismo Democratico ha liquidato la proposta di Programma Fondamentale, come “neo-comunista” per la sua semplificazioni nel presentare il capitalismo contemporaneo. La candidata alla presidenza del Land della SPD, Hannelore Kraft aveva dichiarato alla vigilia del voto, che la Linke “ né è capace di governare, né ne ha la voglia”. Per le soluzioni il tempo è do trenta giorni, nella seduta del Landtag del 9 giugno prossimo si dovrà eleggere il Ministerpresident, la cui posizione costituzionale è molto forte e può governare anche con una maggioranza relativa.

    In Germania, come nei paesi scandinavi, è considerato politicamente immorale che le opposizioni convergano unicamente per abbattere un governo, senza avere un candidato alternativo ed un programma comune. Nella attribuzione provvisoria dei seggi SDP e CDU sono in parità con 67 seggi a testa, i Verdi ne hanno 23, la FDP 13 e la Linke 12. SDP e Verdi hanno 90 seggi su 181. L'unica formula autosufficiente è una Grosse Koalition, salvo che i Verdi non si imbarchino in una coalizione di centro-destra. A meno di clamorosi colpi di scena  la socialdemocratica Hannelore Kraft sarà la Ministerpresidentin della Renania Settentrionale-Vestfalia, malgrado che la SPD abbia conseguito il suo peggior risultato degli ultimi 50 anni, perdendo 130.000 voti verso l’astensione e 70.000 verso la Linke.