giovedì 29 maggio 2008

Asfalto e vecchi merletti

Il trasporto merci su gomma incide enormemente su inquinamento atmosferico, costi dell’energia petrolifera, incremento di traffico ed incidentistica stradale. A dispetto della cosidetta “cura del ferro”, il trasferimento delle merci su rotaia o su mare è sempre più lontano.

di Aldo Ferrara *)
A tutt’oggi ben l’80% delle merci subisce un trasferimento sui gomma mediante i mezzi pesanti. Nel 2006, il traffico è cresciuto in media del +4%, con punte anche doppie nei tratti Brescia-Piacenza e Trieste-Venezia. Un veicolo su quattro in circolazione è un mezzo pesante. Ai fini della sicurezza stradale, i dati indicano che nel 2006, in oltre il 46% degli incidenti erano coinvolti i camion, a fronte del 37% del 2004 e del 38% del 2005.

Già oggi questo dato sembra ascendere al 53% contro il 46% del 2005. Il numero di incidenti che vede coinvolti i mezzi pesanti deriva in senso assoluto dall’aumento dei kilometri di percorrenza. Negli ultimi 35 anni i kilometri di autostrade non hanno subito incrementi sostanziali mentre sono decuplicate le percorrenze.

Un sistema di trasporto in cui l’88% delle merci viaggia su gomma, comporta 13 milioni di euro/anno, il 34% dei costi totali del trasporto su strada. Secondo il Dicastero dei Trasporti, il 51% utilizza tratte brevi fino a 50 chilometri e il 68% in sede intraregionale. In vero il dato appare sottostimato, in quanto considera solo i mezzi pesanti e Tir con portata utile non inferiore a 3,5 tonnellate. Non vengono considerati i veicoli di portata inferiore, furgoni e altri veicoli commerciali che poi sono la maggioranza, circa 3,5 milioni mentre i veicoli pesanti sono circa 950 mila (Min. Trasporti, 2006). Poiché la gran parte (circa il 62%) di questi veicoli è obsoleta ancorchè poco censibile, il loro contributo in termini di polveri sottili PM10 è di circa 10mila tonnellate annue mentre agli autoveicoli privati, il cui parco è di circa 33 milioni di esemplari, è da imputare una quantità che si aggira sulle 17mila tonn. E se dette emissioni, per il parco veicoli pesanti, tendono ad aumentare dell’1% all’anno, l’insieme dei trasporti le porta complessivamente al +22,7%, mentre nel settore manifatturiero (a causa della contrazione della grande industria) si sono ridotte del 23%.

Alcuni anni fa ( 2003) la Corte dei Conti italiana diffuse un comunicato nel quale affermava che il Piano per il Trasporto Intermodale, varato nel 1986 e finanziato nel 1990, era sostanzialmente deficitario, fallito e da rifare. A fronte di una media europea del 44,5%, il trasporto italiano su gomma ha ancora un’incidenza del 67% sul totale. Dalla Relazioni si deduce anche che…”Il quadro attuale dei volumi di traffico conferma l’assoluta prevalenza del trasporto su strada, sia nel traffico merci (oltre il 60%) che in quello passeggeri (oltre l’85%), con alcune importanti peculiarità: Un’elevata concentrazione di traffico su alcune direttrici stradali. Il 60 % circa dei flussi extraurbani si concentra su appena il 2% della rete stradale e autostradale. Una squilibrata distribuzione territoriale della domanda di trasporto stradale, concentrata per oltre la metà in cinque Regioni: Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto ed Emilia Romagna. Un’elevata quota di movimentazione delle merci su brevi e medie distanze (il 75% dei viaggi si svolge entro i 200 km) a causa della notevole polverizzazione della struttura produttiva e commerciale.

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Lo squilibrio modale a favore della strada assume dimensioni maggiori rispetto ad altri Paesi europei sia nel segmento delle merci che in quello dei passeggeri in ambito urbano. Per i passeggeri si è assistito ad una continua diminuzione della quota del trasporto su ferro, a cui fanno riscontro i consistenti aumenti di quella su strada, aereo e su mezzi collettivi su gomma. Resta marginale la quota di traffico assorbita dal cabotaggio marittimo (intorno allo 0,6%). La prevalenza del trasporto stradale è particolarmente accentuata nelle aree urbane, ove si registra la progressiva caduta della domanda di trasporto pubblico. Anche nel caso delle merci si registra una diminuzione costante negli ultimi venticinque anni della quota su ferro che attualmente si attesta sul 13-14%”.

Cosa succede in Europa? In Germania, circa il 25% delle merci usufruisce di trasporto fluviale, un altro 25% in ferrovia ed il restante 50% circa su autocarri. Nella maggior parte dei paesi centro-europei la situazione è simile. In Italia, la navigazione fluviale sposta lo 0,1% delle merci, quella marittima lo 0,6%, la ferrovia circa il 13% ed il trasporto su gomma l’eccedente 86,4%. Un treno merci trasporta l’equivalente in termini di merci,anche deperibili, di circa 42 autotreni ed è componibile fino ad un massimo di 22 vagoni, mentre la nave fluviale assorbe il carico di ben 85 camion. Una nave fluviale/marina ha un motore di circa 2/3.000KW per 2/2,5.000 tonnellate. Quindi un rapporto elevato nel costo/beneficio. Un autoarticolato ha un motore da 370 KW, con 27 tonnellate, quindi un rapporto costo motore/carico estremamente sbilanciato (10/1). Il carburante necessario per spostare 50 tonnellate di merci su strada per una tratta di 1000 chilometri è di 1000 kg, 515 Kg per la ferrovia e si riducono ulteriormente a 394 Kg per il mezzo navale. Basterebbe utilizzare la rotte marina tirrenica Genova-Livorno-Civitavecchia-Napoli-Catania e quella adriatica Monfalcone-Ancona-Bari-Catania ed..il gioco è fatto.

*) Associazione R.E.D.S. - http://associazionereds.com/


mercoledì 21 maggio 2008

Se questo è un uomo

Rom e romeni in attesa dell’allontanamento dall’Italia
di Guido Renzi *)


Non sappiamo ancora quale forma prenderà il progetto del governo di cacciare gli zingari, i rom, romeni dall’Italia. E siccome i rom nuovi arrivati, dei cui crimini si è tanto parlato negli ultimi mesi in Italia, vengono dalla Romania, il progetto prevede anche di limitare la presenza dei Romeni in Italia, di filtrarli alle frontiere, tanto più che anche i romeni non rom hanno commesso numerosi crimini e reati. Si infrangerebbe però così una norma europea, perché la Romania è entrata nell’Unione Europea il 1.o gennaio 2007. Questo ingresso ha fatto dei Romeni dei cittadini europei, e anche i rom sono diventati cittadini europei visto che in Romania erano cittadini romeni. Mentre, sia detto tra parentesi, da noi in Italia, paese civile, gli zingari sono in gran parte apolidi, ai quali noi neghiamo la cittadinanza italiana e non riconosciamo i nostri stessi diritti.

Zingari, abbiamo detto. Cioè rom. Giornali e politici si sono imposti da tempo un tabu linguistico che vieta di chiamare gli zingari con questo nome. I giornali non scrivono mai zingari, ma nomadi, rom, perfino slavi. Lo stesso fanno i programmi televisivi. Adesso si dice e si scrive soprattutto romeni, intendendo anche i rom. Non sarà inutile precisare che rom e romeni non sono la stessa cosa. I rom stanno ai romeni come i nostri zingari (rom anche loro, o shinti) stanno agli Italiani.

Gli zingari, i rom e gli altri gruppi che portano altri nomi, sono arrivati in Europa dall’India nel Medioevo. In Italia erano già presenti nel XV secolo. Erano calderai ambulanti, più tardi sono diventati commercianti di cavalli. Nell’Europa orientale sono musicisti. Suonano nei matrimoni e nelle altre feste. Alcuni sono diventati grandi interpreti. Ma la gran parte di loro non si è mai assimilata, e nemmeno integrata, né in Italia, né negli altri paesi europei né negli altri continenti dove il loro nomadismo li ha portati: Nord Africa, America. Una parte degli zingari si sono sedentarizzati, ma la gran parte è rimasta nomade. A primavera le loro roulottes riprendono il loro cammino, secondo itinerari noti. Una volta erano carovane tirate da cavalli, ma i percorsi erano gli stessi. Cervantes (nella sua splendida Gitanilla) e García Lorca in Spagna, Victor Hugo in Francia, Ion Budai-Deleanu in Romania hanno cantato la libertà del popolo zingaro, come Tolstoj quella di Ceceni.

Gli zingari sono ladri, sono pericolosi? Qualche volta sì. Ma come ha scritto recentemente Guido Ceronetti nel Sole Ventiquattr’Ore (domenicale, 11 maggio 2008) “il pugno della legge” non può essere disgiunto per loro “dalla comprensione di un mistero spirituale che da sempre accompagna tutte le races maudites di questo strano pianeta”, e, aggiungerei prosaicamente: dal rispetto per i diritti fondamentali dell’uomo.

Anche se Ion Mailat, zingaro romeno, ha ucciso a Roma una donna il 31 ottobre 2007 a Tor di Quinto, non per questo possiamo dire che tutti gli zingari sono assassini. Sappiamo che Mailat ha agito da solo, senza complici, e che il suo atto criminale è stato segnalato alla polizia da un’altra zingara dello stesso campo. Ma questo delitto è diventato nell’immaginario di molti, un immaginario che molti politici condividono o temono, il delitto emblematico della presenza dei rom e dei romeni in Italia. Una colpa da punire non sull’individuo, ma sull’intera nazione.

La Comunità di sant’Egidio, in un suo documento dedicato allo stato dei rom romeni in Italia, ricorda che negli anni Cinquanta i giudici minorili svizzeri avevano aperto un dibattito sull’alto numero di reati compiuti da minori italiani “Ci si chiese allora, si legge nel documento, se non vi fosse una propensione culturale della popolazione italiana al furto. Una idea avvalorata da molta letteratura europea.” Il dibattito si spense appena la popolazione italiana acquisì un migliore status sociale, aprendo negozi e ristoranti e i reati diminuirono, ma gli stessi sospetti si appuntarono subito sui nuovi venuti, portoghesi, poi jugoslavi, infine turchi.
Non sappiamo se i Romeni, rom e non, arriveranno a migliorare il loro status sociale in Italia, che oggi è spesso marginale, o se, come si ventila, saranno cacciati prima. In quest’ultima ipotesi, non ci resta da chiederci chi saranno i loro successori.

Possiamo anche chiederci cos’aveva fatto l’Italia davanti all’arrivo, previsto, di migliaia di zingari romeni dopo il 1 gennaio 2007. Come si è saputo dopo i colloqui italo-romeni seguito all’omicidio Mailat, l’Italia non aveva nemmeno chiesto all’Europa le sovvenzioni che questa mette a disposizione degli stati nazionali per l’assistenza agli zingari. Sei mesi dopo, da quanto si apprende, il Comune di Genova pensa ancora di provvedere ad alloggiare i rom romeni del territorio con i fondi europei assegnati … alla Romania. È toccato alla sottosegretaria romena Dana Varga, di etnia rom lei stessa, ricordare alle autorità della Liguria che esistono fondi europei a disposizione dell’Italia per questo scopo.
Per equità dobbiamo anche ricordare che, prima che arrivi il decreto anti-rom, i diritti elementari degli zingari romeni sono già stati violati più volte in Italia. Tra il 2007 e il 2008, a Roma e a Milano e, temo, anche in altre civilissime città italiane, sono state messe in azione le ruspe per distruggere i campi dei rom. A Milano gli zingari, dopo lo sgombero del campo della Bovisasca, sono stati inseguiti e dispersi, e così temo in altre città. Se non fosse stato per la protesta dell’Arcivescovo di Milano, il Cardinal Tettamanzi, la notizia non sarebbe uscita dalle pagine locali dei giornali.

Saremo dunque noi, italiani europei del XXI secolo, i primi a perseguitare un popolo che vive tra di noi da almeno da sei secoli? Certo, i primi del nuovo secolo, non i primi in assoluto, visto che la Germania nazista, nel 1933, li ha privati di tutti i diritti, poi li ha avviati ai forni crematori, dove ne sono scomparsi, pare, cinquecentomila.

Rom, nella lingua indoeuropea degli zingari, vuol dire “uomo”. Ricordate le parole di Primo Levi? “Se questo è un uomo…”.

*) Professore di Filologia romanza e lingue neolatine all’Università di Padova, già presidente dell’Associazione Italia-Romania

lunedì 19 maggio 2008

Cecè

di Andrea Ermano
La pluralità culturale non è solo “civiltà differenti in continenti diversi”, ma appartiene al quartiere in cui abitiamo, alla casa in cui crescono figli e nipoti, alla scuola da loro frequentata.
L'intolleranza, che significa conflitto, rischia perciò di incendiare non solo il mondo (come la storia insegna), ma anche le scuole, le case e i quartieri in cui viviamo con figli e nipoti.

L’intolleranza ama ammantarsi di “valori assoluti” – Dio, Patria, Famiglia – quegli stessi "valori assoluti" ai quali si appellò, nella sua folle corsa, il clerico-fascismo europeo.

E di quell'esecrabile movimento c'è oggi chi osa enfatizzare il carattere "modernizzatore", dimenticando le macellazioni coloniali e il mastodontico macello mondiale, i cinquanta milioni di morti e le persecuzioni razziali, le deportazioni e lo sterminio di ebrei, zingari, omosessuali e dissidenti.
Però, oggi, alte cariche dello stato evocano nuovamente le “radici cristiane” dell'Europa.
E la temperatura del conflitto sale, in un clima sempre più fanatico.
Il mondo va destra? Come negli anni Venti e Trenta? Va verso un’altra guerra? La principale lezione della storia è questa: che gli uomini non ne traggono alcun insegnamento.

Cambierà mai?
Chi lo sa?

Per ora si può solo dire che la destra italiana, giunta al governo, va a Napoli. E che Napoli ha dichiarato guerra ai Rom, vecchi, donne e bambini inclusi.

Eppure, proprio la grande saggezza popolare partenopea ammonisce: "Attento, Cecè, perché in guerra non si tirano i bignè".

Questo, dunque, è monito della Storia, enigmatico, inutile. Esso non riguarda in primo luogo i manipolati manipoli napoletani. Ma chi li manipola sì.

giovedì 15 maggio 2008

Reato d'immigrazione clandestina? Un errore

Le forze dell’ordine sono quelle che sono come personale, mezzi operativi e risorse economiche. Si impone una loro utilizzazione razionale, volta a monitorare i settori più a rischio per la sicurezza pubblica

di Felice Besostri

Condivido le preoccupazioni per la sicurezza, che derivano dalla presenza di clandestini, per definizione si tratta di persone senza un domicilio fisso conosciuto e spesso neppure identificabili.

Tuttavia è pericoloso creare una categoria indistinta, cioè che abbia come unico punto in comune il fatto di non avere un regolare permesso di soggiorno. Tra l’altro ci sono diverse sottocategorie: 1) quelli che non lo hanno mai avuto, 2) quelli a cui è scaduto. Un’altra differenza è costituita dalla modalità di entrata sul territorio nazionale, cioè clandestinamente ovvero rimanendo oltre il termine di un’entrata regolare per turismo o per motivo di studio od , infine, per lavoro stagionale.

La stessa motivazione della clandestinità può essere differente: bisogno, discriminazioni nel paese di origine o costruzione di una rete criminale.

Le forze preposte alla tutela dell’ordine pubblico sono quelle che sono come personale, mezzi operativi e risorse economiche. Si impone una loro utilizzazione razionale per monitorare i settori più a rischio per la sicurezza pubblica: nullafacenti, spacciatori e criminali in genere. Se tutti i clandestini sono criminali in quanto tali va aperta una pratica ed instaurato un giudizio per ciascuno di essi, senza poter distinguere tra una badante di un anziano non autosufficiente ed uno spacciatore.

Ne deriverà un sovraccarico di lavoro, che ne minerebbe l’efficacia. Mi immagino già le decorrenze di termini per custodia cautelare, tanto per fare un esempio.

Sarebbe più razionale prevedere la clandestinità come aggravante del reato commesso, sì da escludere la concessione di attenuanti o della sospensione condizionale della pena od anche della concessione degli arresti domiciliari.

Per tale via ci sarebbe un deterrente alla commissione dei reati e quindi una loro diminuzione.
Dai Promessi Sposi sappiamo cosa sono le grida manzoniane: feroci nella forma ed inefficaci nella pratica. Certamente c’è un aspetto propagandistico nella repressione e nell’emanazione di leggi severe, anzi severissime, ma bisogna conoscere la realtà che si vuol regolamentare e non semplicemente alimentare le statistiche. Se si vuol mostrare risultati, immagino che sarà più facile conseguirli facendo periodiche retate nelle piazze principali e nelle stazioni per individuare domestiche, badanti e facchini clandestini, che avventurarsi nelle zone a rischio, come i cosiddetti fortini della droga.

martedì 6 maggio 2008

Il dottor Carlo fa oggi 190 anni

Il cinque maggio muore Bonaparte. E nasce Marx. Che qui ricordiamo.
di Felice Besostri
Con il crollo dell’Impero sovietico l’anniversario della nascita di Karl Marx, in quel di Treviri, non è più oggetto di commemorazioni ufficiali.
Ora si celebra Karl in culti privati, come fosse uno dei nostri Penati, a parte alcuni partiti, che inalberando falce e martello, pensano di esserne, per quanto indegni, nel confronto tra la grandezza del personaggio ed il loro consenso elettorale, i legittimi eredi.

Nella sua opera “ Revolutionary Jews from Marx to Trotsky” ( Londra, 1976) Robert S. Wintrich definiva Ferdinand Lassalle era il Gladiatore, Rosa Luxemburg l’Internazionalista e Marx come l’Iconoclasta. Non si può, quindi, ridurlo ad icona da venerare.

Nella Vulgata della fine del XX° secolo Marx, al pari di Dio era morto, ma la ripresa della religione, come ispiratrice dell’agire politico, anche nelle sue forme più totalitarie ed estremiste, do avrebbe essere compensata, se non dalla rinascita di Marx, almeno da quella dei marxisti.

Senza più una patria del socialismo realmente esistente, per quanto degenerato fosse, il marxismo non ha più un suo Pontefice, suprema ed indiscussa autorità di vertice, che ne possa dare una interpretazione dogmatica e per tutti vincolante.

Abbiamo un solo modo per onorare l’anniversario dei 190 anni della nascita: provare ad applicare le sue categorie ed i suoi canoni interpretativi per capire il mondo contemporaneo per cercare di cambiarlo. Siamo tutti consapevoli che in attesa del crollo per ragioni oggettive ed intrinseche del capitalismo si debba prestare maggiore attenzione alla psicologia degli individui e delle masse e prestare più attenzione alle sovrastrutture culturali ed ideologiche alla base dell’agire collettivo e dei comportamenti dei singoli.

Per esempio si sarebbe dovuto precedere un organismo capitalista come la Banca dei Regolamenti internazionali per denunciare e contrastare la diminuzione della percentuale del PIL destinata ai redditi di lavoro, rispetto a profitti e rendite.

Per riprendere la fiaccola del pensiero critico marxiano ( je ne suis pas marxiste ) si deve liberare da una dirigenza, nella quale prevalgono scissionisti di professione e narcisisti, la cui arroganza intellettuale si accompagna all’incultura.

La sfida da vincere è quella della ricomposizione unitaria nel pluralismo.
La lotta sui simboli è ridicola, se si contrappongono falcetti e martellini a rosette e garofanini.
Chiunque prevalga sarebbero, comunque, scomparsi libro e sole dell’avvenire, cioè conoscenza e speranza. Senza di esse non c’è sinistra che tenga e a quel punto sarebbe meglio lasciar riposare Marx nella sua tomba, piuttosto che tradirlo una volta di più.

lunedì 5 maggio 2008

Soldato sconfitto a general vincente

Lettera di congratulazioni a un amico personale e a un avversario politico. Il presidente della Federazione Socialista Italiana in Svizzera (FSIS), Andrea Ermano, scrive al nuovo governatore del Friuli Venezia-Giulia, Renzo Tondo, dopo la sua vittoria elettorale nelle file del centro-destra: "Tu e io abbiamo condiviso parte importante del nostro tirocinio nell'alveo di un socialismo di nobili ascendenze, autogestionarie e resistenziali: una scuola d'alta montagna, collegata a quella Repubblica libera della Carnia che si formò ad Ampezzo nel 1944 dietro le linee del nemico nazifascista. Io resto fedele ai valori della Giustizia e della Libertà che sono i valori del Socialismo Europeo".

di Andrea Ermano *)
Caro Renzo, illustre Presidente, desidero congratularmi con Te per l'elezione alla guida della giunta regionale del Friuli Venezia-Giulia. La Tua vittoria -- che mi duole in quanto comporta la sconfitta del centro-sinistra, mi pare tuttavia parzialmente positiva giacché segna quanto meno la fine di quell'assurda preclusione che cinque anni fa aveva impedito la Tua candidatura alla medesima carica -- impedimento seguito a un veto di Bossi secondo cui un ex esponente del PSI andava a priori escluso da ogni primazia elettorale.

Si trattava di una posizione ingiustamente discriminatoria nei riguardi di chi era stato iscritto partito socialista nonché lesiva dell'autonomia friulana: bel federalismo quello per cui un "senatur" lombardo impone la propria candidata a Trieste! Questo, all'epoca dei fatti, con grande pacatezza, ma non senz'altrettanta chiarezza, avevo fatto presente all'on. Antonione, Tuo predecessore, allora sottosegretario agli Esteri, mentre si trovava in visita presso l'Ambasciata d'Italia qui in Svizzera. L'emigrazione organizzata spezzò allora una lancia a favore di Riccardo Illy, che sconfisse la candidata imposta dalla Lega Nord.

L'on. Antonione se ne risentì un po'. E io certo non me ne pento. Ma rendo merito al centro-destra friulano per avere ora superato quella stupida preclusione. E rendo merito a Te d'aver "incassato" il veto d'allora senza colpi di testa, combattendo la "battaglia interna" ma, prima ancora, combattendo la "battaglia interiore": non mi par poco in questo desolante panorama da seconda repubblica (o come si chiama adesso), panorama deturpato dalla ricca monnezza generosamente ammassata in ogni senso e in ogni luogo.

Tu e io abbiamo condiviso parte importante del nostro tirocinio e del nostro impegno civile nell'alveo del socialismo carnico di nobili ascendenze, autogestionarie e resistenziali, impersonate da uomini come Riccardo Spinotti, Vittorio Cella, Enzo Moro, Angelo Ermano, Bruno Lepre e tanti altri. Insomma non proprio la scuola quadri dei ragazzi della Fgci, ma pur sempre una scuola di alta montagna, collegata alla prima repubblica Partigiana d'Italia, la Repubblica libera della Carnia, formatasi ad Ampezzo nel 1944 dietro le linee del "Litorale Adriatico", il sanguinario protettorato-fantoccio istituito dal nemico nazifascista.

Il centro-destra italiano ha conseguito un suo radicamento sociale, per quanto xenofobo-identitario-televisionario, e anche una sua prospettiva internazionale, dal Vaticano a Washington.

Il centro-sinistra italiano -- se e quando si rimetterà da questa transizione tuttora incompiuta -- dovrà rendersi conto che il proprio radicamento sociale abita anzitutto nelle organizzazioni dei lavoratori, cinicamente abbandonate sull'altare del potere per il potere. Mentre l'unica prospettiva internazionale di una sinistra italiana degna di questo nome non può che collocarsi in quell'Europa laica e riformista che si riconosce nel Socialismo Europeo.

Caro Renzo, illustre Presidente, Tu hai trionfato a Trieste, ma il Tuo non sarà un percorso molto più piacevole di quello che si prospetta a questo vecchio compagno qui a Zurigo, ormai quasi-esule nella condizione che più si addice a un soldato sconfittissimo di un esercito sconfittissimo in tante battaglie. Ma ancora resistente.

Per concludere vorrei dirTi, senza enigmi, come si usa tra amici, quello che penso. E' in corso, tra Partito del Socialismo Europeo e Partito Popolare Europeo, un confronto apertissimo. E la posta in palio riguarda l'uso politico (cosmopolitico, in senso tecnicamente kantiano) che l'Europa vorrà fare di se stessa nella prospettiva di un governo pacifico dell'economia globale e del pluralismo culturale.

L'Italia è una parte importante dell'Europa e la nostra Regione friulana una parte non del tutto trascurabile dell'Italia.

So che come governatore del Friuli Venezia-Giulia farai del Tuo meglio e Ti auguro sinceramente buon lavoro, ma dubito fortissimamemente che il PDL e il PPE rappresentino la strada giusta per il futuro del nostro Paese e del nostro Continente, perciò il mio saluto è -- inevitabilmente -- quello di un avversario politico. Con franca amicizia.

*) Presidente della Federazione Socialista Italiana in Svizzera