lunedì 20 giugno 2011

Oggi in Spagna domani in Europa

"Oggi in Spagna, domani in Europa" – parafrasare una famosa frase di Carlo Rosselli nel settanquattresimo anniversario dell'uccisione avvenuta il 9 giugno del 1937, insieme al fratello, può servire a ricordare che chi si batte per la libertà, si batte per la libertà di tutti. E che i destini dei paesi europei sono tra loro collegati. Una svolta necessaria nei rapporti a sinistra in Europa.



di Felice Besostri



Nelle elezioni spagnole del 22 maggio 2011 era evidente a tutti la vittoria del PP sul PSOE, sconfitto anche in Catalogna da CiU e nel Paese Basco da BILDU, cioè da formazioni nazionaliste.


La vittoria del PP, a spese dell'intera sinistra perché a Cordoba ha strappato il Municipio a IU, poteva essere contenuta se PSOE e IU avessero concluso degli accordi di coalizione nei Municipi (Ayuntamentos) dove nessun partito avesse raggiunto in solitario la maggioranza assoluta.


Per assicurare il governo dei Municipi la legge spagnola prevede, che in caso di mancati accordi di coalizione, il Sindaco e l'esecutivo spettino automaticamente al partito di maggioranza relativa.


Il giorno ultimo per la formazione di coalizioni era lo scorso 11 giugno.


Ebbene, grazie al fatto che IU ha negato la coalizione con il PSOE in 60 Municipi dei 282 in cui l'accordo era possibile, ha fatto del PP il Partito con il più forte potere municipale della storia della Spagna democratica. Nemmeno il PSOE di Felipe Gonzales con la maggioranza assoluta in Parlamento ha controllato così tanti Municipi.


Ora il PP governa in 34 dei 50 capoluoghi di provincia ed il PSOE solo 9. In 2 provincie c'è un ricorso elettorale pendente e le altre 5 vanno tutte a formazioni regionali in Galizia (BNG), nel Paese Basco (PNU e Bildu), Navarra (UPN) e nelle Canarie (CC).


Il PP governa 89 delle 147 città con più di 500.000 abitanti, ma soprattutto è riuscito a concludere accordi con CiU in Catalogna e con la conquista di tutte le capitali provinciali di Andalusia pone le premesse per una affermazione in quella regione, che con la Catalogna elegge il maggior numero di parlamentari.


Un rapporto con CiU sarà decisivo nel caso che il PP non conseguisse la maggioranza assoluta nelle politiche del 2012.


Nel 2007 PSOE e IU fecero un accordo globale di reciproco sostegno, questa volta no, perché IU ha lasciato libertà di decisione alle organizzazioni locali. La ragione ufficiale è stata annunciata dal segretario Lara, per la quale "non sarebbero stati corresponsabili dell'affondamento del Titanic". In realtà sono tali e tante le divisioni interne ad IU, che un'indicazione centrale le avrebbe rese ancora più palesi.


La politica economica del PSOE e in particolare le misure di austerità non erano certo popolari tra i militanti di IU e l'egemonismo del PSOE ha spesso creato tensioni a livello locale.


Tanto peggio tanto meglio devono avere pensato in IU.


Alcune formazioni a sinistra del partito socialista pensano che la loro crescita dipenda solo dalla perdita di voti socialisti verso di loro.


Ebbene la Spagna ha confermato quanto è già avvenuto in Francia, Germania e Portogallo: le perdite socialiste vanno in minima parte alle formazioni alla loro sinistra. In tutti i casi la somma dei voti delle formazioni di sinistra è spesso inferiore ai soli voti socialisti.


Nei paesi mediterranei non c'è la disciplina repubblicana dei francesi o il rigore scandinavo, per cui un partito di sinistra, che unisse i voti a quelli di destra o "borghesi" (nelle lande socialdemocratiche si usa ancora questo aggettivo per designare la destra) sarebbe squalificato dal suo elettorato.


Il tatticismo o la vendetta contro l'egemonismo socialista ricorda nella storia passata soltanto la suicida strategia del PC tedesco, per cui a fronte del nazismo montato il nemico principale era la SPD.


Pericolo fascista come tra le due guerre non c'è: ora il Mostro è Mite come ci ha insegnato Simone.


Tuttavia la sinistra è chiamata a decidere se lascia passare le distruzione del welfare state, i tagli indiscriminati alla spesa pubblica e una politica economica, che crea disoccupazione senza prospettive di rilancio: il peso dei guasti della finanza globale e delle speculazioni avventurose delle banche è tutto scaricato sulle spalle dei cittadini, invece che dei finanzieri e dei manager, oltre che dei governanti. Soltanto l'Islanda ha convenuto in giudizio il Primo Ministro conservatore, che ha consentito che le banche si indebitassero per somme superiori a 5 volte l'intero PIL dell'isola atlantica.


Senza un'intesa delle forze di sinistra con quelle ambientaliste non c'è speranza di rovesciare le tendenze politiche delle elezioni degli ultimi 3/4 anni.


Gli elettori provenienti dagli strati popolari si astengono progressivamente dal processo elettorale, quando non cadono nelle tentazioni populiste di una destra xenofoba, dal Belgio alla Francia, dall'Italia (Lega Nord) alla Finlandia.


Una visione europea richiede la formazione di Partiti Europei, né il PSE, né la GUE lo sono. Questo è il momento di porre un confronto a tutto campo. L'adesione al PSE non è un fatto burocratico, ma la premessa per porre con forza la sua trasformazione di un partito europeo sovranazionale.


Il risultato finale delle elezioni municipali spagnole impone un cambio di strategia politica al PSOE, che ha beneficiato della legge elettorale a danno di altre formazioni alla sua sinistra.


La legge elettorale spagnola distribuendo i seggi su base provinciale con il Metodo d'Hondt non produce resti da recuperare a livello regionale o nazionale, sono quindi favoriti i partiti nazionali più forti e quelli ad impianto regionale.


Tale scelta aveva un senso fino a quando il PP era percepito come l'erede del centralismo franchista: i nazionalisti catalani e baschi mai si sarebbero alleati con i popolari.


La situazione è cambiata, l'affiliazione europea nel PPE la comunanza centrista conservatrice e la base sociale di popolari e nazional/regionalisti fa aggio sulle antiche differenze tra centralisti e federalisti/separatisti per quanto riguarda i movimenti catalani e baschi storici.


Molte delle nuove formazioni regionaliste (UPN, CC, BNG) sono espressioni localiste quando non personaliste come Cascos nelle Asturie e, perciò, disponibili ad allearsi a destra e a manca pur di conservare il potere.


Finite alleanze tradizionali con formazioni regionaliste nelle Comunità Autonome e nel Parlamento la prospettiva socialista di riconquistare il governo dipende da una dinamica nuova a sinistra, compare una traduzione politica del movimento degli "indignados" del 15-M.


Hanno avuto una grande risonanza mediatica, si è giunti a paragonarli ai moti della gioventù nord-africana. Non sono scomparsi e hanno manifestato in numero ridotto contro le nuove amministrazioni di destra. È un fatto che non hanno impedito, anzi forse oggettivamente favorito, una affermazione della destra senza confronti con il passato.


Tuttavia sarebbe un errore da loro la colpa, come ai "grillini" di aver preso il Piemonte e di aver mandato al ballottaggio roccaforti rosse della Romagna.


Dove la sinistra, come a Milano, Napoli e Cagliari è stata capace di interpretare la voglia di nuovo, il peso dei "grillini" è stato ridotto.


Aria fresca e gruppi dirigenti espressione della società e non delle oligarchie sono necessari per la sinistra oggi in Spagna e in Italia, domani in Europa.














Poscritto sul debito greco


Tantissimi anni fa, quando a Varsavia esisteva un popoloso quartiere ebraico, Moshele si agitava nel letto tanto da impedire il riposo della moglie: la ragione era seria, l'indomani scadeva l'affitto e Moshele non aveva uno zloty per pagare il maledetto dyre geld. Per avere un'idea del dramma basta aver ascoltato una volta la canzone yiddish con lo stesso titolo. A un certo punto Moshele si alza nel cuore della notte, apre la finestra e grida chiamando per nome il padrone di casa:" Domani non Ti pagherò l'affitto, Ti puoi scordare il dyre geld!". "Perché l'hai fatto?" gli chiede preoccupata la moglie. " Prima non riuscivo a dormire io e non facevo dormire anche Te: ora è lui che non dorme!"


Sostanzialmente è questo che propone Yanis Varoufakis a George Papandreu per uscire dalla crisi del debito greco. Un debito sovrano nel quale il governo socialista del Pasok non ha alcuna responsabilità, ma il governo conservatore precedente con la complicità della solita società di certificazione dei bilanci con sede negli USA e che danno anche il rating sui titoli di Stato. Lanfranco Turci del Network per il Socialismo Europeo e il prof. Sergio Cesaratto dell'Università di Siena hanno, molto opportunamente, segnalato sul Riformista del 12 giugno la "Modesta Proposta" dell'economista greco al Primo Ministro di Atene, che è anche il Presidente dell'Internazionale Socialista. I greci stanno affogando nel debito e senza un nuovo prestito si annuncia il default, ma, anche con un nuovo prestito a condizioni onerose, il default sarà inevitabile e di dimensione maggiore con il rischio di trascinare la BCE, che nel frattempo ha in pancia un volume impressionante di titoli tossici, greci e irlandesi, cui si aggiungeranno presto spagnoli e portoghesi, e, se lasciassimo fare a Berlusconi e Bossi, italiani.


Sono curioso di vedere quali saranno le reazioni della sinistra italiana, in senso largo, perché, pur contro la sua volontà, vi iscrivo anche il PD (d'altronde se ci si vuol intestare la vittoria di Pisapia uno spostamento a sinistra si impone). Il PSI dovrebbe essere il primo partito a far sentire la sua voce, se non altro per solidarietà con il PASOK, partito fratello nel PSE e nell'Internazionale Socialista, ma anche SEL, il nuovo che avanza, e la FdS, pronte tutte e due a solidarizzare con il lavoratori greci in sciopero, contro le misure di austerità imposte dalla BCE e dal FMI. La sinistra in Italia e in Europa è al bivio o accetta la logica monetaria e deflazionista della BCE e dei governi conservatori, perdendo sempre più consensi e facendo giocare i lavoratori tedeschi o finlandesi contro quelli mediterranei, o propone una nuova solidarietà europea. Una volta gli attributi della sovranità erano la diplomazia, le forze armate e la moneta, tutti settori, che erano in mano pubblica, come la giustizia.


Le forze armate sono integrate nella Nato, che decide dove e quando intervenire all'estero, con ONU o senza ONU, la moneta è controllata dalla BCE, la diplomazia è sempre più asservita agli interessi commerciali e ora, con la conciliazione obbligatoria, è iniziata la privatizzazione della giustizia . . .


Se, un giorno, la sinistra vorrà proporsi alla guida del paese con suoi programmi e candidati, dovrà compiere scelte nette.


O ridà sovranità allo Stato nazionale, l'unica entità sempre legittimata da elezioni democratiche.


O propone di trasformare l'Unione Europea in uno Stato federale e perciò con una sua politica estera e di sicurezza, una sua moneta con una sua politica economica e un governo responsabile di fronte a un Parlamento bicamerale.


La seconda soluzione per chi sia imbevuto delle idee di Spinelli, Colorni, Silone e Spaak è quella auspicabile.


mercoledì 8 giugno 2011

Espiazione a Milano

Nachricht

PERISCOPIO SOCIALISTA 

 

di Felice Besostri

 

"Espiazione socialista", così si intitolava un bel libro del compagno Guido Mazzali che mi torna in mente in questi giorni. Non aveva nulla a che vedere con i fatti successivi al 1992, anche se è proprio in rapporto a quelli che, dopo la vittoria di Pisapia, sentiamo compiersi l'espiazione e allentarsi la damnatio memoriae dei socialisti a Milano.

    Damnatio memoriae: una punizione dell'antica Roma che consisteva nella cancellazione di ogni ricordo. Questo c'è stato, e anche execratio, quasi che i socialisti dovessero vedersi associati per l'eternità alle malefatte di alcuni fra loro e non certo di tutti.

    Non che i socialisti stessi non abbiano dato il loro contributo, alcuni passando reattivamente nell'area del centro-destra, altri coltivando risentimenti verso tutto e tutti, eterne vittime di oscuri complotti e mai anche spettatori, quanto meno spettatori, negli avvenimenti che travolsero il Psi.

    In un modo o nell'altro, i socialisti di allora non seppero evitare che si spezzasse il legame con una città pur diventata grande anche grazie al PSI; non solo grazie a Turati e Kuliscioff, ma anche a Moise', Loria, Caldara e Filippetti o, dopo la seconda guerra mondiale, grazie a Greppi, Aniasi e Tognoli, senza dimenticare il filone socialdemocratico dei Ferrari e dei Cassinis.

    Né si può dimenticare l'esperienza del Club Turati, perché uno dei protagonisti dell'incontro tra socialisti e cattolici che in esso ebbe luogo, Piero Bassetti, è tornato oggi perentoriamente alla ribalta, a fianco di Pisapia, dando vita a quel raccordo con la Milano delle professioni, dell'intellettualità e dell'impreditoria, che è stata una delle componenti del successo di questi giorni.

    Di fronte alla candidatura di Giuliano Pisapia molti, troppi (e tra loro purtroppo anche alcuni socialisti) hanno inizialmente creduto di poter usare formule liquidatorie come se vi si esprimesse non un melting pot tra esigenze popolari e innovazione sociale, ma solo una sinistra estremista e velleitaria. Eppure proprio Milano sotto l'impulso del socialismo riformista nel tornante tra il XIX e il XX secolo era stata capace di realizzare quel melting pot tra esigenze popolari ("i poveri non possono aspettare") e progetti di innovazione sociale e sviluppo economico. Critica Sociale ha ricordato come nel 1906 l'Expo a Milano, che rischiava (come quella del 2015) di fallire a causa dell'incapacità della destra, fu salvata da una sottoscrizione popolare promossa da Turati.

    Così, una nuova prospettiva politica, paragonabile a quella di cui i socialisti furono protagonisti, prima del fascismo e nel secondo dopoguerra, non poteva che fondarsi sullo spirito delle origini. Nel 1892 il nascente partito seppe interpellare tutta la sinistra, compresa quella ideologicamente più lontana.

    Operazioni di questo respiro presuppongono il superamento di quel reducismo formatosi dopo il 1993, quando i socialisti milanesi invece di ricominciare a progettare la loro città rimasero in attesa delle autocritiche altrui, tutte da cassare con estrema severità e nessuna indulgenza.

    C'è un tempo per ogni cosa c'è un tempo per l'identità e un tempo per la collaborazione con i nuovi filoni emergenti dalla società, come il femminismo, l'ambientalismo e il pacifismo, tutt'altro estranei per altro alla storia del PSI.

    Soltanto i circoli del Gruppo di Volpedo hanno sostenuto Giuliano Pisapia fin dall'inizio, cogliendo l'occasione offerta loro da una candidatura le cui linee guida furono esposte nel paese natale di Pellizza, in un luogo simbolicamente socialista come la piazza Quarto Stato.

    Dopo la vittoria conseguita alle primarie sul candidato del PD l'appoggio a Pisapia è stato espresso con l'endorsment del PSI e l'adesione di qualificati esponenti socialisti al "Comitato per il 51" promosso da Piero Bassetti, con la regia del socialista senza tessere Stefano Rolando.

    I problemi della presenza socialista – nel dibattito programmatico e nelle conseguenti scelte politiche da compiere, come pure nell'assetto gestionale – non sono risolti. Ma c'è un nuovo clima.

    La rivalutazione delle esperienze amministrative a guida socialista è evidente. La storia politica di Milano è costellata di giunte di sinistra, anticipatrici di una stagione che… poi non c'è mai stata. Esattamente di questa mancanza la sinistra italiana tuttora soffre.

 
P.S.: Quasi tutti i giornali hanno intitolato: "Milano, vince Pisapia", "Napoli, trionfa De Magistris". Infatti chi prende il 55% ha 10 punti percentuali meno di chi conquista il 65%. Questi confronti mi fanno venire in mente una battuta del sempre brillante, ma da troppo tempo sprecato, Giuliano Amato: "Se siamo in tre in una stanza e uno se ne esce, fa più effetto dire che se ne è andato il 33,33%". La percentuale dei voti senza conoscere quella dei votanti significa poco, infatti il 55% di Pisapia corrisponde a 376.000 voti e il 65% di De Magistris a 274.000. Nelle prossime elezioni politiche (nel 2012?) ai fini dei rapporti di forza si conteranno i voti e non le percentuali. Milano e Napoli hanno un legame speciale, diretto, non mediato da Roma, ce lo ricorda una strofa della "O mia bela Madunina". Con le loro scelte amministrative i milanesi e i napoletani hanno liberato le loro città e hanno unito l'Italia: fossero tutte così virtuose le competizioni tra due modelli di alleanze politiche!