venerdì 22 febbraio 2008

Paradossi e pantani

di Felice Besostri
Grazie ai giochi di sponda tra Veltrusconi e Veltrinotti dilagano il pantano, l'opacità, il paradosso. E il famigerato "porcellum", complice la Corte Costituzionale con l’ammissione dei quesiti referendari, si prepara ad espropriare ancora una volta gli italiani del diritto di eleggersi i propri parlamentari. Insomma, la competizione inizia male.

In un paese con una opinione pubblica attenta sarebbe stato intollerabile andare una seconda volta alle elezioni con una legge apparentemente non difesa da nessuno. Invece è stato possibile far passare come contraria alla partitocrazia e favorevole ai cittadini una raccolta firme referendarie su quesiti che, se approvati, peggioreranno il vigente "porcellum" espropriando per sempre i cittadini del diritto di scegliersi i propri rappresentanti. E ora stiamo a vedere se il prof. Guzzetta accetterà infine una candidatura in una lista bloccata capeggiata da un pluricandidato Berlusconi, cioè contraddicendo il suo terzo quesito referendario. Se Parigi val bene una messa... un posto in Parlamento val bene la propria coerenza, specialmente laddove non si esiga nulla, nemmeno la fatica di richiedere ai cittadini una preferenza o di competere in un collegio uninominale incerto. Berlusconi e di Veltroni cercano d'imporre un bipartitismo perfetto, fatte salve la Lega Nord e l’Italia dei Valori, con cui si sono siglate alleanze che hanno spiegazioni diverse da quelle ufficiali, specialmente nel campo dell’ex centro-sinistra. Avrebbe avuto un senso, la scelta "solitaria" di Veltroni, se fosse stata coerente. Ma la deroga concessa a Di Pietro, senza neppure la giustificazione territoriale della Lega Nord, non è l’eccezione che conferma la regola, ma quella che la contraddice.

Alla faccia della coerenza (e della trasparenza) gli esponenti del PD di origine diessina continuano a partecipare alle riunioni del PSE e dell’Internazionale Socialista. Ovviamente, anche il PSE fa finta che lo Statuto non esista, per ragioni tattiche e finanziarie. Il PSE non può perdere altri seggi europei, oltre quelli già persi per le opzioni dei governatori regionali Ottaviano Del Turco e Mercedes Bresso. Se se ne andassero anche i DS aumenterebbero le distanze dal gruppo PPE e verrebbe a cadere anche una bella fetta di finanziamenti al Gruppo europarlamentare, che costituiscono l’entrata quasi esclusiva del PSE. Strano però che il PD, con tutte queste aderenze nel PSE, rifiuti di far coalizione con il Partito Socialista di Boselli, una formazione politica facente parte della stessa famiglia politica europea oltre che tra le più fedeli al Governo. Non dimentichiamo che il PD è un partito il cui Presidente si chiama Prodi. Il caso appare meno strano se si tiene mente ad altri interessi, meno nobili della lealtà e della riconoscenza. Una coalizione tra PD e Partito Socialista costituirebbe infatti un fastidio evidente per la convergenza centrista del PD, in particolare rispetto al Vaticano, la CEI e i suoi adentellati "teodem": questo lo capiscono tutti.

Meno limpido è l’asse sotterraneo con Bertinotti e la sua area "alternativa". Bertinotti, ideologicamente, ha rotto con il comunismo, senza approdare da nessuna altra parte. E nella lunga traversata del deserto che lo aspetta, non può permettersi che a sinistra del PD si formi una forza politica concorrente. Ergo, se il Pd avesse accettato l'alleanza con una lista di sinistra laica, per quanto riformista e moderata, è chiaro che l'Arcobaleno, dopo aver proposto una coalizione di centro-sinistra al PD, ne avrebbe sofferto. Perché? Immaginate un normale elettore appartenente al popolo della sinistra, che -- turandosi il naso, chiudendosi le orecchie, coprendosi gli occhi e tappandosi la bocca -- si senta obbligato a votare PD per non far vincere Berlusconi. Se questo elettore avesse a disposizione nel Partito Socialista un’alternativa di sinistra "utile" avrebbe fatto il sacrificio più volentieri. Accentuando però la fuga "utile" dalla Sinistra Arcobaleno e mettendo perciò ancor più a rischio il raggiungimento del quorum nelle circoscrizioni regionali per il Senato. Sì, sullo sfondo c'è la questione del voto "utile" per il PD, retaggio di un antiberlusconismo sconfessato a parole.

La Sinistra Arcobaleno, anche nella sua componente di Sinistra Democratica (che già fu per il "Socialismo Europeo") ha deciso di non contendere al PD, se non in minima parte, lo spazio politico precedentemente occupato dai DS. E allora, per quel che resta, appare più praticabile un percorso unitario dall’opposizione. E più facile praticare un po’ di demagogia contestataria ed antagonista all'opposizione che rompere con i residui ideologici del comunismo. La Sinistra Arcobaleno non ha avuto il coraggio di rompere con la teoria e la pratica delle due sinistra o, meglio detto, sta tentando di ridurre la sinistra ad una sola, ma minoritaria, residuale e di complemento, secondo le circostanza tattiche. Se l'Arcobaleno avesse voluto veramente competere con il PD, avrebbe dovuto portare la sfida sul campo di una progettualità di governo, con vocazione maggioritaria. Avrebbe dovuto cercare di coprire tutto lo spazio liberato dai DS puntando a essere polo di attrazione per le aree di sensibilità laica e di sinistra tuttora presenti nel PD. Invece, per una sorta di cuius regio eius religio ("chi comanda su un territorio ne stabilisce la religione", principio in base al quale si spartivano le zone d'influenza religiosa nell'Europa del XVI secolo, ndr), anche la sinistra è indotta a rinchiudersi e, perciò, a escludere dall'"Arcobaleno" progressivamente tutti quei settori che nella manifestazione del 20 ottobre non avevano partecipato all’atto di nascita del nuovo raggruppamento.

I Verdi e Sinistra Democratica, che pure avevano votato il pacchetto Welfare ed ufficialmente non aderito alla manifestazione del 20 ottobre, sono stati costretti a far finta di niente (e a perdere pezzi) dallo spettro di rimanere senza parlamentari. Le stesse ragioni di sopravvivenza di 15-20 deputati ed un pugno di senatori ha fatto sì che i Verdi e Sinistra Democratica non giocassero alcun ruolo politico nell’ultimo tentativo di allargare la Sinistra Arcobaleno alla Costituente Socialista: se non li vuole Veltroni, i socialisti nemmeno Bertinotti li può accettare... Altrimenti poi come ci si può scambiare i favori? Esempio. In Sicilia l’alternativa tra Rita Borsellino e Anna Finocchiaro rischiava di creare un intoppo a Walter. Lo zio Fausto burbero, ma in fondo buono, risolve il problema chiamando la Borsellino accanto a sé nel "ticket nazionale". E liberandosi, così, senza colpo ferire, del peso di Grazia Francescato.

Lo scambio di favori continua con le norme che hanno reso possibile il Giorno Unico Elettorale (lo chiamo così anche se election day farebbe risparmiare una parola, ma bisogna pur contrastar l’imperialismo della lingua inglese!): fa risparmiare un sacco di soldi, ma poi consente anche e soprattutto di non subire ritorsioni nelle amministrative. In altri paesi, ci si sarebbe stupiti, che forze risultate incapaci di governare il Paese si apprestino a riconfermare alleanze di centro-sinistra in Comuni e Provincie. Il Giorno Unico Elettorale taglia alcuni nodi che altrimenti si sarebbero posti per le liste in procinto di presentarsi con simboli o nomi diversi dalle quelli delle passate elezioni. Con un occhio di riguardo per le esigenze della Sinistra Arcobaleno, impedendo o, comunque, rendendo difficile la presentazione di liste concorrenti sulla sinistra. Ed ecco allora che bastano due deputati oppure due senatori per non dover raccogliere le firme di presentazione. Guarda caso "Sinistra Critica" ha un senatore, Turigliatto, ed un deputato, Cannavò. Il gioco è fatto. Con buona pace dell’uguaglianza tra i cittadini e di un'onorevole competizione tra i partiti. Cioè violando la nostra Costituzione, quella che abbiamo (vittoriosamente) difeso nel referendum del 2006.

venerdì 15 febbraio 2008

Due pesi e un dubbio

di Andrea Ermano
Walter corre solo. Solo con Tonino. E con nessun altro. L'Italia dei Valori dell'ex magistrato di tangentopoli Antonio Di Pietro prenderà parte alle prossime elezioni politiche in coalizione con il Pd. Di Pietro manterrà il proprio simbolo durante la campagna elettorale, ma poi in Parlamento confluirà nel gruppo unico del Partito Democratico. L'ex procuratore di Tangentopoli rappresenta al momento l'unica eccezione nel panorama di quello che i media hanno definito il nuovo "bipartitismo veltrusconiano", i cui due leader – Berlusconi e Veltroni appunto – avevano finora respinto le pretese di apparentamento dei partiti minori rivendicando l'esigenza di combattere la frammentazione della politica.

La ragione per cui Veltroni concede ora al ministro uscente Di Pietro quel che ha negato ad altri può apparire enigmatica o quanto meno doppiopesista. Bisogna tenere a mente, tuttavia, che il privilegio dipietrista non viene al mondo in questi giorni, ma esiste già da molti anni. E' la seconda volta che l'ex magistrato più famoso d'Italia riceve un favore plateale da parte del gruppo dirigente del Pci-Pds-Ds-Pd. La prima fu quando il dott. Di Pietro uscì (sbattendo la porta) dalla procura milanese. Ne seguì una velenosa polemica nella quale Di Pietro ribadì, sottolineò e mise in evidenza come lui stesso, in quanto magistrato, non aveva affatto risparmiato il Pci-Pds.

Sulla vicenda delle dimissioni dalla magistratura, passata agli annali, Wikipedia riporta questa ricostruzione: <<Il 6 dicembre del 1994, poco prima che si riuscisse a tenere alla Procura di Milano l'interrogatorio dell'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, indagato per corruzione, [Antonio Di Pietro] si dimetterà clamorosamente dalla magistratura. La spiegazione resa all'epoca fu quella di voler evitare "di essere tirato per la giacca", ma sul dettaglio si susseguirono nel tempo dallo stesso interessato varie versioni: Di Pietro prima addusse l'esigenza che i veleni sul suo conto - dal "poker d'assi" di Rino Formica al dossier de "Il Sabato", dall'inchiesta del GICO sull'autosalone di via Salomone alle indagini bresciane attivate dalle denunce degli inquisiti - non danneggiassero l'immagine della Procura di Milano. Successivamente lamentò come ragione scatenante la fuga di notizie sul mandato di cattura a Berlusconi, reso noto durante la conferenza di Napoli sul crimine transnazionale mentre Di Pietro si trovava a Parigi per rogatorie internazionali. La reazione a tali ricostruzioni oscillanti fu un gelido "con Di Pietro non siamo passati mai oltre il lei", pronunciato dal suo ex superiore Francesco Saverio Borrelli sulla sedia del testimone al processo di Brescia>> (vai alla voce "Antonio Di Pietro" su Wikipedia).

Ma Eugenio Colorni, che rappresentava il punto di riferimento del laboratorio zurighese, venne assassinato per mano fascista sicché, quando nel 1944 il Psi rinacque, Colorni non poteva più impedire la glaciazione neo-frontista. Così avvenne che "i socialisti nostrani ancorché (particolare non irrilevante) nel 1946 fossero il primo partito della sinistra italiana restarono, unici nell'Europa democratica, avvinghiati al Pci", ricorda Paolo Mieli sul Corriere della Sera dell'8 febbraio scorso.

Il direttore della maggior testata italiana, come altri grandi operatori dell'informazione legati alla componente liberal del mondo industriale, è un socio di riferimento del Partito Democratico nonché fautore convinto del nuovo corso veltrusconiano. L'Italia ha bisogno per Mieli di un partito di centro-sinistra in grado di candidarsi a governare il Paese "al riparo da veti e intrusioni da parte di entità politiche collocate su posizioni estreme". Insomma, nell'Italia del 2008 tutti pazzi per il riformismo socialista, democratico e liberale, ovviamente in chiave neo-moderata, fatte salve le prebende comiziali per Antonio Di Pietro e la portonate ai "laicisti".

Va bene così. Tutto logico. E però lasciateci esprimere qui il nostro dubbio. Qui: da queste colonne, dove gli scritti di Colorni, Spinelli e Rosselli apparvero in tempi non sospetti, noi dubitiamo fortemente che i veltrusconiani concordino davvero, per intima convinzione, con il pensiero politico di Eugenio Colorni, Altiero Spinelli e Carlo Rosselli.

Ma non dubitiamo e siamo praticamente certi invece che Colorni, Spinelli e Rosselli non sarebbero per nulla d'accordo con il veltrusconismo. Anzi, loro oggi, quanto meno nella valutazione dell'epoca in cui viviamo, aderirebbero probabilmente alla diagnosi di Pietro Nenni.

lunedì 4 febbraio 2008

Dopo le dimissioni di Romano Prodi

di Andrea Ermano
Quanti esecutivi in crisi ha visto Roma? Un po' di tempo fa la debolezza dei governi rifletteva la sostanziale stabilità del sistema. Le cose della politica andavano avanti senza scosse, prima durante e dopo le cicliche turnazioni ministeriali. Questo accadeva ai tempi della Prima Repubblica, fondata su una sorta di "bipartitismo imperfetto" in cui valevano ruoli fissi per la maggioranza e l'opposizione.

Poi, verso la fine anni Ottanta l'opinione pubblica italiana sembrò concorde su un orientamento generale: che fosse necessario alternare le maggioranze favorendo così una più tagliente competizione politica. Arrivò la Seconda Repubblica. E non fu un parto indolore, grazie all'ausilio benintenzionato, ma non disinteressato, dei vari poteri: forti, mass-mediatici, occulti, deviati, confindustriali, trans-atlantici e trans-teverini.

Ieri sera, mentre il "cattolico adulto" Romano Prodi saliva al Colle per rassegnare le proprie dimissioni, si è chiusa anche quest'epoca della nostra storia. E ora inizia la Terza Repubblica. Che in teoria dovrebbe fondarsi su una sorta di bipartitismo plebiscitario, appeso alla doppia leadership nazional-popolare dell'Uomo di Arcore e del Sindaco di Roma.

Sul partito-azienda c'è poco d'aggiungere che non sia stato detto. Il Cavaliere è una mina vagante. Ma è anche indipendente dalla benevolenza di giornali e tivù ecc. Potrebbe fornire al Paese una guida autonoma, non assoggettata ai soliti condizionamenti? Molti ci credono, grazie anche alla strategia propagandistica del centro-sinistra. Ma Berlusconi è vecchio. La lotte di successione nel centro-destra sono già in corso.

Quanto al PD veltroniano, che dire? Non mancano nel PD personalità altamente consapevoli della necessità di partecipare al progetto di una governance democratica globale. Quel che manca, però, è un'idea chiara circa la collocazione dell'Italia nell'Europa e dell'Europa nel mondo. Chi ancor creda di poter "contaminare" il Vaticano con il Socialismo europeo, vive nell'illusione di un superamento d'ogni differenza tra destra e sinistra. Noi invece pensiamo che, nell'orizzonte delle culture politiche presenti nel nostro continente, il Vaticano rappresenti la destra e il Socialismo Europeo la sinistra.

Poi ci sarebbe la favola dei guelfi bianchi che aiutano a legnare i ghibellini prima d'esser legnati a loro volta dai guelfi neri. Questa favola aveva una morale molto educativa, ben nota per altro alla generazione dei padri costituenti. Ma è oggi fuori moda e beato chi se la ricorda.