venerdì 15 febbraio 2008

Due pesi e un dubbio

di Andrea Ermano
Walter corre solo. Solo con Tonino. E con nessun altro. L'Italia dei Valori dell'ex magistrato di tangentopoli Antonio Di Pietro prenderà parte alle prossime elezioni politiche in coalizione con il Pd. Di Pietro manterrà il proprio simbolo durante la campagna elettorale, ma poi in Parlamento confluirà nel gruppo unico del Partito Democratico. L'ex procuratore di Tangentopoli rappresenta al momento l'unica eccezione nel panorama di quello che i media hanno definito il nuovo "bipartitismo veltrusconiano", i cui due leader – Berlusconi e Veltroni appunto – avevano finora respinto le pretese di apparentamento dei partiti minori rivendicando l'esigenza di combattere la frammentazione della politica.

La ragione per cui Veltroni concede ora al ministro uscente Di Pietro quel che ha negato ad altri può apparire enigmatica o quanto meno doppiopesista. Bisogna tenere a mente, tuttavia, che il privilegio dipietrista non viene al mondo in questi giorni, ma esiste già da molti anni. E' la seconda volta che l'ex magistrato più famoso d'Italia riceve un favore plateale da parte del gruppo dirigente del Pci-Pds-Ds-Pd. La prima fu quando il dott. Di Pietro uscì (sbattendo la porta) dalla procura milanese. Ne seguì una velenosa polemica nella quale Di Pietro ribadì, sottolineò e mise in evidenza come lui stesso, in quanto magistrato, non aveva affatto risparmiato il Pci-Pds.

Sulla vicenda delle dimissioni dalla magistratura, passata agli annali, Wikipedia riporta questa ricostruzione: <<Il 6 dicembre del 1994, poco prima che si riuscisse a tenere alla Procura di Milano l'interrogatorio dell'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, indagato per corruzione, [Antonio Di Pietro] si dimetterà clamorosamente dalla magistratura. La spiegazione resa all'epoca fu quella di voler evitare "di essere tirato per la giacca", ma sul dettaglio si susseguirono nel tempo dallo stesso interessato varie versioni: Di Pietro prima addusse l'esigenza che i veleni sul suo conto - dal "poker d'assi" di Rino Formica al dossier de "Il Sabato", dall'inchiesta del GICO sull'autosalone di via Salomone alle indagini bresciane attivate dalle denunce degli inquisiti - non danneggiassero l'immagine della Procura di Milano. Successivamente lamentò come ragione scatenante la fuga di notizie sul mandato di cattura a Berlusconi, reso noto durante la conferenza di Napoli sul crimine transnazionale mentre Di Pietro si trovava a Parigi per rogatorie internazionali. La reazione a tali ricostruzioni oscillanti fu un gelido "con Di Pietro non siamo passati mai oltre il lei", pronunciato dal suo ex superiore Francesco Saverio Borrelli sulla sedia del testimone al processo di Brescia>> (vai alla voce "Antonio Di Pietro" su Wikipedia).

Ma Eugenio Colorni, che rappresentava il punto di riferimento del laboratorio zurighese, venne assassinato per mano fascista sicché, quando nel 1944 il Psi rinacque, Colorni non poteva più impedire la glaciazione neo-frontista. Così avvenne che "i socialisti nostrani ancorché (particolare non irrilevante) nel 1946 fossero il primo partito della sinistra italiana restarono, unici nell'Europa democratica, avvinghiati al Pci", ricorda Paolo Mieli sul Corriere della Sera dell'8 febbraio scorso.

Il direttore della maggior testata italiana, come altri grandi operatori dell'informazione legati alla componente liberal del mondo industriale, è un socio di riferimento del Partito Democratico nonché fautore convinto del nuovo corso veltrusconiano. L'Italia ha bisogno per Mieli di un partito di centro-sinistra in grado di candidarsi a governare il Paese "al riparo da veti e intrusioni da parte di entità politiche collocate su posizioni estreme". Insomma, nell'Italia del 2008 tutti pazzi per il riformismo socialista, democratico e liberale, ovviamente in chiave neo-moderata, fatte salve le prebende comiziali per Antonio Di Pietro e la portonate ai "laicisti".

Va bene così. Tutto logico. E però lasciateci esprimere qui il nostro dubbio. Qui: da queste colonne, dove gli scritti di Colorni, Spinelli e Rosselli apparvero in tempi non sospetti, noi dubitiamo fortemente che i veltrusconiani concordino davvero, per intima convinzione, con il pensiero politico di Eugenio Colorni, Altiero Spinelli e Carlo Rosselli.

Ma non dubitiamo e siamo praticamente certi invece che Colorni, Spinelli e Rosselli non sarebbero per nulla d'accordo con il veltrusconismo. Anzi, loro oggi, quanto meno nella valutazione dell'epoca in cui viviamo, aderirebbero probabilmente alla diagnosi di Pietro Nenni.

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