di Felice Besostri
Grazie ai giochi di sponda tra Veltrusconi e Veltrinotti dilagano il pantano, l'opacità, il paradosso. E il famigerato "porcellum", complice la Corte Costituzionale con l’ammissione dei quesiti referendari, si prepara ad espropriare ancora una volta gli italiani del diritto di eleggersi i propri parlamentari. Insomma, la competizione inizia male.
In un paese con una opinione pubblica attenta sarebbe stato intollerabile andare una seconda volta alle elezioni con una legge apparentemente non difesa da nessuno. Invece è stato possibile far passare come contraria alla partitocrazia e favorevole ai cittadini una raccolta firme referendarie su quesiti che, se approvati, peggioreranno il vigente "porcellum" espropriando per sempre i cittadini del diritto di scegliersi i propri rappresentanti. E ora stiamo a vedere se il prof. Guzzetta accetterà infine una candidatura in una lista bloccata capeggiata da un pluricandidato Berlusconi, cioè contraddicendo il suo terzo quesito referendario. Se Parigi val bene una messa... un posto in Parlamento val bene la propria coerenza, specialmente laddove non si esiga nulla, nemmeno la fatica di richiedere ai cittadini una preferenza o di competere in un collegio uninominale incerto. Berlusconi e di Veltroni cercano d'imporre un bipartitismo perfetto, fatte salve la Lega Nord e l’Italia dei Valori, con cui si sono siglate alleanze che hanno spiegazioni diverse da quelle ufficiali, specialmente nel campo dell’ex centro-sinistra. Avrebbe avuto un senso, la scelta "solitaria" di Veltroni, se fosse stata coerente. Ma la deroga concessa a Di Pietro, senza neppure la giustificazione territoriale della Lega Nord, non è l’eccezione che conferma la regola, ma quella che la contraddice.
Alla faccia della coerenza (e della trasparenza) gli esponenti del PD di origine diessina continuano a partecipare alle riunioni del PSE e dell’Internazionale Socialista. Ovviamente, anche il PSE fa finta che lo Statuto non esista, per ragioni tattiche e finanziarie. Il PSE non può perdere altri seggi europei, oltre quelli già persi per le opzioni dei governatori regionali Ottaviano Del Turco e Mercedes Bresso. Se se ne andassero anche i DS aumenterebbero le distanze dal gruppo PPE e verrebbe a cadere anche una bella fetta di finanziamenti al Gruppo europarlamentare, che costituiscono l’entrata quasi esclusiva del PSE. Strano però che il PD, con tutte queste aderenze nel PSE, rifiuti di far coalizione con il Partito Socialista di Boselli, una formazione politica facente parte della stessa famiglia politica europea oltre che tra le più fedeli al Governo. Non dimentichiamo che il PD è un partito il cui Presidente si chiama Prodi. Il caso appare meno strano se si tiene mente ad altri interessi, meno nobili della lealtà e della riconoscenza. Una coalizione tra PD e Partito Socialista costituirebbe infatti un fastidio evidente per la convergenza centrista del PD, in particolare rispetto al Vaticano, la CEI e i suoi adentellati "teodem": questo lo capiscono tutti.
Meno limpido è l’asse sotterraneo con Bertinotti e la sua area "alternativa". Bertinotti, ideologicamente, ha rotto con il comunismo, senza approdare da nessuna altra parte. E nella lunga traversata del deserto che lo aspetta, non può permettersi che a sinistra del PD si formi una forza politica concorrente. Ergo, se il Pd avesse accettato l'alleanza con una lista di sinistra laica, per quanto riformista e moderata, è chiaro che l'Arcobaleno, dopo aver proposto una coalizione di centro-sinistra al PD, ne avrebbe sofferto. Perché? Immaginate un normale elettore appartenente al popolo della sinistra, che -- turandosi il naso, chiudendosi le orecchie, coprendosi gli occhi e tappandosi la bocca -- si senta obbligato a votare PD per non far vincere Berlusconi. Se questo elettore avesse a disposizione nel Partito Socialista un’alternativa di sinistra "utile" avrebbe fatto il sacrificio più volentieri. Accentuando però la fuga "utile" dalla Sinistra Arcobaleno e mettendo perciò ancor più a rischio il raggiungimento del quorum nelle circoscrizioni regionali per il Senato. Sì, sullo sfondo c'è la questione del voto "utile" per il PD, retaggio di un antiberlusconismo sconfessato a parole.
La Sinistra Arcobaleno, anche nella sua componente di Sinistra Democratica (che già fu per il "Socialismo Europeo") ha deciso di non contendere al PD, se non in minima parte, lo spazio politico precedentemente occupato dai DS. E allora, per quel che resta, appare più praticabile un percorso unitario dall’opposizione. E più facile praticare un po’ di demagogia contestataria ed antagonista all'opposizione che rompere con i residui ideologici del comunismo. La Sinistra Arcobaleno non ha avuto il coraggio di rompere con la teoria e la pratica delle due sinistra o, meglio detto, sta tentando di ridurre la sinistra ad una sola, ma minoritaria, residuale e di complemento, secondo le circostanza tattiche. Se l'Arcobaleno avesse voluto veramente competere con il PD, avrebbe dovuto portare la sfida sul campo di una progettualità di governo, con vocazione maggioritaria. Avrebbe dovuto cercare di coprire tutto lo spazio liberato dai DS puntando a essere polo di attrazione per le aree di sensibilità laica e di sinistra tuttora presenti nel PD. Invece, per una sorta di cuius regio eius religio ("chi comanda su un territorio ne stabilisce la religione", principio in base al quale si spartivano le zone d'influenza religiosa nell'Europa del XVI secolo, ndr), anche la sinistra è indotta a rinchiudersi e, perciò, a escludere dall'"Arcobaleno" progressivamente tutti quei settori che nella manifestazione del 20 ottobre non avevano partecipato all’atto di nascita del nuovo raggruppamento.
I Verdi e Sinistra Democratica, che pure avevano votato il pacchetto Welfare ed ufficialmente non aderito alla manifestazione del 20 ottobre, sono stati costretti a far finta di niente (e a perdere pezzi) dallo spettro di rimanere senza parlamentari. Le stesse ragioni di sopravvivenza di 15-20 deputati ed un pugno di senatori ha fatto sì che i Verdi e Sinistra Democratica non giocassero alcun ruolo politico nell’ultimo tentativo di allargare la Sinistra Arcobaleno alla Costituente Socialista: se non li vuole Veltroni, i socialisti nemmeno Bertinotti li può accettare... Altrimenti poi come ci si può scambiare i favori? Esempio. In Sicilia l’alternativa tra Rita Borsellino e Anna Finocchiaro rischiava di creare un intoppo a Walter. Lo zio Fausto burbero, ma in fondo buono, risolve il problema chiamando la Borsellino accanto a sé nel "ticket nazionale". E liberandosi, così, senza colpo ferire, del peso di Grazia Francescato.
Lo scambio di favori continua con le norme che hanno reso possibile il Giorno Unico Elettorale (lo chiamo così anche se election day farebbe risparmiare una parola, ma bisogna pur contrastar l’imperialismo della lingua inglese!): fa risparmiare un sacco di soldi, ma poi consente anche e soprattutto di non subire ritorsioni nelle amministrative. In altri paesi, ci si sarebbe stupiti, che forze risultate incapaci di governare il Paese si apprestino a riconfermare alleanze di centro-sinistra in Comuni e Provincie. Il Giorno Unico Elettorale taglia alcuni nodi che altrimenti si sarebbero posti per le liste in procinto di presentarsi con simboli o nomi diversi dalle quelli delle passate elezioni. Con un occhio di riguardo per le esigenze della Sinistra Arcobaleno, impedendo o, comunque, rendendo difficile la presentazione di liste concorrenti sulla sinistra. Ed ecco allora che bastano due deputati oppure due senatori per non dover raccogliere le firme di presentazione. Guarda caso "Sinistra Critica" ha un senatore, Turigliatto, ed un deputato, Cannavò. Il gioco è fatto. Con buona pace dell’uguaglianza tra i cittadini e di un'onorevole competizione tra i partiti. Cioè violando la nostra Costituzione, quella che abbiamo (vittoriosamente) difeso nel referendum del 2006.
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