lunedì 15 settembre 2008

Germania: sinistra alla prova

di Felice Besostri
La SPD in crisi di consensi cerca una soluzione sbarazzandosi del Presidente Beck e riposizionandosi al centro: un ritorno alla politica di Schröder. I primi sondaggi di opinione sembrano favorevoli ai congiurati, capeggiati dal ministro degli esteri Steinmeier. Il quale, rispetto la Merkel, resta tuttavia perdente con 21 punti di distacco. E però la Merkel scende dal 57% del duello con Beck a un più periglioso 49%, mentre con il ministro degli esteri il candidato socialdemocratico alla Cancelleria sale dal 12% al 28%.

Il punto per altro non stava nel candidato alla carica di Cancelliere, bensì nel quadro politico della candidatura di Steinmeier. Beck aveva già dato l’investitura a Steinmeier e la disponibilità a portare un partito unito nella campagna elettorale: una delle più difficili nella storia della SPD dal dopoguerra a oggi. Al momento il partito è valutato al 26% delle intenzioni di voto.

Beck aveva già perso, ma l’ala più contraria ad ogni apertura a sinistra ha voluto stravincere liquidando perciò una possibile diarchia Beck-Steinmeier. Scacco in due mosse: prima è venuta una proposta di trojka con l’aggiunta di Müntefering, poi Beck è stato costretto alle dimissioni.

Ora la normalizzazione continuerà con la designazione di Kajo Wasserhövel quale responsabile della campagna elettorale 2009, ma Wasserhövel già da ora assume la direzione dell'esecutivo, con un drastico ridimensionamento del Segretario Generale in carica Hubertus Heil.

Chi segue le vicende della SPD lo sa: si tratta della vendetta di Müntefering, che nel 2005 non riuscì a portare Wasserhövel alla segreteria generale della SPD e si dimise dalla presidenza.

Le reazioni non negative dei sondaggi non sono però tali da configurare un’inversione di rotta nel trend discendente della SPD. Nell’attuale Bundestag ci sono 222 deputati socialdemocratici, cioè appena uno meno dell'Unione costituita dalla CDU e dalla bavarese CSU. Se la SPD prendesse il 28% dei voti, riconfermare tutti i seggi che ha appare fuori portata.

Il lieve incremento nelle intenzioni di voto avviene, per altro, a spese dei Verdi e quindi la consistenza di una proposta di governo SPD/Verdi non si presenta maggioritaria. D'altronde, i nodi della SPD sono politici e non può essere la presentazione di una immagine paternamente rassicurante, come quella di Steinmeier, a risolverli.

Nel Bundestag eletto nel 2005 SPD (222), Verdi (51) e la LINKE (53) avrebbero una maggioranza assoluta ben superione a quella di Prodi nella quindicesima legislatura, ma il risultato è stata la Grosse Koalition. Nella sua prima conferenza stampa Müntefering è stato netto nell’escludere ogni ipotesi di alleanza con la Linke.

Dunque, il Partito Socialdemocratico non si presenta con una credibile proposta di governo perché la Grande Coalizione è già stata accantonata dalla Merkel con un anno di anticipo e quindi non esiste più. La SPD (28%) con i soli Verdi (8%) appare lontanissima dalla maggioranza, a meno che non si allei con la Linke di Lafontaine (14%). Le precedenti elezioni dimostrano che una forte tensione fra SPD e Linke indebolisce la SPD, ma non giova nemmeno alla formazione di Lafontaine tutti i voti persi dai socialdemocratici.

Nell’Assia della governatrice rossa Andrea Ypsilanti la SPD ha iconquistato voti e la Linke anche. Per parte loro i Verdi non escludono più in linea di principio una alleanza con la CDU/CSU, a livello tanto di Länder che federale.

La SPD si trova di fronte ad una alternativa diabolica: se si posiziona al centro continuerà a perdere voti, più verso l’astensione che a favore della Linke. Ma se si sposta a sinistra perderà, comunque, una quota di elettorato moderato senza la garanzia di poter contare sui Verdi per una coalizione rosso-verde e senza contare che la perdita di voti a favore della Linke sarebbe ancor più accentuata qualora sia superato il timore - ed i sondaggi sulle intenzioni di voto lo confermano - che il voto a sinistra della SPD vada disperso per impossibilità della Linke di oltrepassare la soglia del 5%.

Il nodo tedesco è emblematico della sinistra in tutta Europa. La Germania non potrà ritrovare i fasti degli anni 90, con 13 paesi a guida socialista sui 15 dell’Unione Europea di allora. E la sinistra non vince se non diventa portatrice di un progetto di critica alla società esistente, che però non sia riesumazione delle esperienze comuniste del secolo scorso.

La sinistra in Germania entra in una nuova fase, finora sconosciuta: dal dopoguerra a ieri nella BRD il dibattito nella sinistra era stato un affare interno alla SPD e i rapporti con l’esperienza comunista riguardavano più le relazioni con la DDR che con altri partiti: una questione di rapporti, per così dire, interstatuali, ancorché tra tedeschi.

Con la SPD al 28% e la Linke al 14% lo scenario muta, diventa più simile a quello italiano del PCI-PSI, sia pure con rapporti di forza rovesciati tra la formazione socialista e quella comunista. Vi è, però, una differenza: che la Linke ha una robusta componente socialista mentre la corrente comunista appare vaccinata dalla negativa esperienza della SED, partito frutto di una unificazione forzata dai sovietici tra forze politiche della DDR.

In Italia socialisti e comunisti seppero trovare forme di convivenza nelle amministrazioni locali, nella CGIL e nel movimento cooperativo: una convivenza dettata dall’interesse e dalla necessità di difendersi. Ma una tale risposta era politicamente limitata, dettata dalla necessità di difendersi dall’offensiva democristiana e conservatrice. D’altro canto, PSI e PCI non potevano presentarsi come alternativa politica e programmatica di governo nel contesto internazionale di allora. E ora, la SPD rischia di ripercorrere la strada italiana all’indietro, cioè autorizzando accordi con la Linke a livello di Land.

Dopo l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la caduta del Muro di Berlino la sinistra -- in Italia come in Germania e in tutta l’Europa -- avrebbe dovuto aprire un confronto, anche duro, sulle questioni di fondo che l’avevano divisa tra socialdemocratici e comunisti a partire dalla prima guerra mondiale, e poi dagli anni ’20 e poi ancora nel secondo dopoguerra. Farlo in una fase di espansione elettorale sarebbe stato meglio, ma ogni ulteriore ritardo conduce ad una prospettiva di emarginazione. Certo non si arriverà in Germania alla scomparsa della sinistra dal Parlamento, come in Italia.

La Germania ha vissuto sulla sua pelle le divisioni dell’Europa nelle quali si erano calcificate in parte anche le contrapposizioni tra le due anime della sinistra. Eppure, in questo momento, è paradossalmente nella condizione forse più adatta per dare inizio, piuttosto che a una TERZA VIA, a una NUOVA VIA. Sono convinto che abbiamo bisogno di una nuova sinistra più che di un nuovo centro. E penso perciò che al dibattito tedesco occorra partecipare come i tedeschi partecipano al dibattito italiano: da protagonisti più che da tifosi.

Tanto per fare un esempio, molti saluteranno la crisi della SPD come benvenuta, perché essa gli sembrerà rappresentare una sconfitta della odiata socialdemocrazia, mentre i successi della Linke parranno compensare emotivamente la sconfitta della Sinistra Arcobaleno. Ma il problema è quello di conquistare la maggioranza, non di chi la minoranza più forte.

lunedì 8 settembre 2008

Ma la riforma costituzionale non serve

Questa settimana la rubrica "Periscopio" è dedicata alla questione del voto amministrativo ai cittadini stranieri residenti in Italia. E Felice Besostri prende la parola come esperto di diritto pubblico comparato presso la facoltà di Scienze politiche della Statale di Milano.

di Felice Besostri
Si può essere favorevoli, o contrari alla concessione del diritto di elettore attivo e passivo ai cittadini stranieri residenti in Italia o essere semplicemente perplessi.

Chi è favorevole, però, non deve prendere in giro né i cittadini italiani, né quelli stranieri.
Il segretario del PD, Walter Veltroni, ha sollecitato il Presidente della Camera Fini ad impegnarsi ad accelerare l’approvazione di un disegno di legge costituzionale per la concessione del diritto di voto agli stranieri, ovviamente non comunitari, residenti nel nostro paese.

Nella XIV Legislatura (2001-2006) l’allora Segretario di AN presentò un disegno di legge in tal senso.
Dove sta l’imbroglio?
Per concedere l’elettorato attivo e (udite! udite!) anche passivo ai cittadini stranieri residenti non serve una legge costituzionale, basta una legge ordinaria. L’art. 10 c. 2 della Costituzione stabilisce che “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”.

Infatti la possibilità per gli stranieri di partecipare alla vita politica locale è prevista in una convenzione internazionale conclusa nell’ambito del Consiglio d’Europa. Si tratta della Convenzione n. 144 sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale stipulata a Strasburgo il 5 febbraio 1992.

L’Italia l’ha ratificata con legge 8 marzo 1994 n. 203 ma limitatamente ai capitoli A e B, tralasciando il Capitolo C – Diritto di voto alle elezioni locali.

L’art. 6, c. 1 della Convenzione prevede che lo straniero possa votare ed essere eletto se risiede da almeno cinque anni prima delle elezioni.

Il secondo comma dell’art. 6 concede agli stati di limitare il diritto al voto.
Basta una semplice legge di un articolo per dare il diritto di voto e l’eleggibilità agli stranieri: modificare la legge 203/1994 abrogando nel titolo e nell’articolo 1 le parole “limitatamente ai Capitoli A e B”. Questo è quanto, il resto è chiacchiera.