giovedì 29 gennaio 2009

Sconfitta SPD in Assia: Ein Sonderfall ?

di Felice Besostri
Il leader della SPD Müntefering ha liquidato la sconfitta della SPD in Assia come un caso particolare "Sonderfall" e ha ringraziato il capolista compagno Schäfer-Gümbel, quello che ha sostituito Ipsilanti, per la sua campagna elettorale

L’Assia in effetti da molto prima del 1999 non è più quel bastione social-democratico che soltanto negli anni 60 le assegnava la maggioranza assoluta. Nel 2003 conobbe una severa sconfitta sempre dalla CDU, da cui si era ripresa con le elezioni del 2008, quando i due partiti finirono in una sostanziale parità.

Teoricamente, sulla carta, come del resto a livello nazionale, c’era una maggioranza rosso - rosso-verde, cioè SPD più Verdi e la Linke. L’incapacità di formare una maggioranza è tra le cause principali della sconfitta della SPD e, pertanto, l’Assia, più che un caso speciale, appare essere un caso esemplare per le prossime elezioni politiche. La SPD non ha una proposta alternativa a quella della CDU-CSU che, liquidata la Grosse Koalition, propone una maggioranza nera e blu, cioè con i liberali della FDP.

Respinta ogni ipotesi di fare maggioranza con la Linke determinante, la SPD ha perso ogni vocazione maggioritaria. Per di più si trova al governo e ne paga il prezzo, in quanto è evidente che nella grande coalizione, a differenza di quella con Brandt, la CDU e la Merkel sono vincenti e la SPD e Steinmeier perdenti.

L’altro dato preoccupante delle elezioni dell’Assia è costituito dal fatto che i voti persi dalla SPD non sono andati alla Linke, che, infatti, ha preso meno voti in assoluto del 2008.

Probabilmente sono confluiti nell’astensione elettorale, come già in altre occasioni, che infatti è scesa di 3,4 punti percentuali, un numero di voti superiore in valore assoluto a quelli conquistati dalla Linke. Un’altra parte dei voti SPD sono andati ai Verdi che aumentano sia in percentuale che in assoluto. Ma anche il loro incremento, sommato ai nuovi astenuti, non colma le perdite di SPD. Poiché la CDU ha anch’essa perso in voti assoluti, si deve ipotizzare uno spostamento del voto social-democratico verso i liberali. Vi è un dato positivo: né i Repubblikaner né NPD hanno beneficiato del voto popolare, a differenza di quanto è più volte successo nei Land orientali e come si temeva.

La destra non soltanto non entra nel Parlamento regionale (Landtag) ma perde sia in voti assoluti che in percentuale. Il nodo è pertanto prettamente politico, poiché allo stato attuale la sinistra si trova in un’impasse. Da un lato la Linke è fortemente aggressiva nella campagna elettorale nei confronti di SPD e dall’altro la SPD esclude a priori ogni ipotesi di alleanza con la Linke. In realtà paradossalmente il problema di nuovi rapporti a sinistra non è tanto costituito dai post-comunisti della PDS, bensì dai socialdemocratici che hanno seguito Lafontaine.

In conclusione non c’è alternativa alla sinistra della SPD ma la SPD non è un’alternativa realistica alla CDU: quindi l’Assia non è un Sonderfall (caso speciale) bensì un Beispiel, un esempio della Germania.

mercoledì 14 gennaio 2009

Un prezzo da non pagare

C'è una differenza fondamentale tra due campi dell'opinione pubblica, che non è la differenza tra filo-palestinesi e filo-israeliani, bensì tra i faziosi d'entrambi i lati e coloro che hanno invece a cuore i due popoli e le singole persone che li compongono.

di Felice Besostri
I fatti recenti in Israele/Palestina dalla rottura della tregua alla massiccia e violenta rappresaglia militare israeliana scuotono sia le piazze del mondo arabo che la coscienza di ciascuno di noi: spettatori senza la possibilità di influire, sia pure in forma limitata, sugli avvenimenti.

C'è una differenza fondamentale tra due campi dell'opinione pubblica, che non è la differenza tra filo-palestinesi e filo-israeliani, bensì tra i faziosi d'entrambi i lati e coloro che hanno invece a cuore i due popoli e le singole persone che li compongono.

Questa divisione è trasversale, ma particolarmente acuta nella sinistra e nelle coscienze individuali, di chi della sinistra fa parte.

C'è una forma sottile dell'antisemitismo, quella per cui gli ebrei – e per traslazione gli israeliani – non solo sono diversi dagli altri, ma lo devono essere: nel bene e nel male, anzi più nel male che nel bene.

Agli ebrei e, particolarmente, agli ebrei israeliani o non si perdona nulla o si giustifica tutto -- in nome della loro storia, dalle persecuzioni che hanno patito alle esigenze di sicurezza.

La sicurezza per gli israeliani non è semplicemente essere al riparo dalle violenze del terrorismo, ma garanzia di potere sopravvivere come popolo e come Stato in quell'area del Medio-Oriente.

I palestinesi, come ogni popolo della terra, hanno diritto alla loro identità ed all'autodeterminazione, allo sviluppo ed alla dignità collettiva e individuale: in tutta la Palestina, ma soprattutto nella Striscia di Gaza, non ne possono godere.

Il dramma, che allo stato appare insuperabile, è che le reciproche esigenze non possano essere soddisfatte che con la negazione totale e radicale dell'altro.

Per Hamas la creazione di uno Stato Palestinese richiede l'annientamento della "entità sionista" mentre lo Stato dovrebbe essere retto dalla sharia: uno Stato dove non ci sarà spazio per gli israeliani. Ma neppure per gli arabi cristiani.

Per settori israeliani l'unica sicurezza concepibile consiste non solo nell'erezione di muri invalicabili, ma nella deportazione fuori dai confini di Israele della popolazione araba, compresa quella araba di nazionalità israeliana. Sicurezza ossessiva, troppo simile ad un'ideologia totalizzante. Pulizia etnica? Purezza razziale?

Se il dilemma è questo, dobbiamo confessare la nostra impotenza e quindi schierarci da una parte o dall'altra.
Questa scelta di campo significa anche non poter andare troppo nel sottile nel scegliersi la compagnia. Per tutti quelli che comunque ritengono intollerabile la scomparsa di Israele e l'annientamento del suo popolo, stare in compagnia di ex o post-fascisti di recente convertiti alla causa di Israele.

Per chi è preoccupato delle sorti del popolo di Palestina essere complice del fanatismo integralista, dei terroristi e nel migliore dei casi tacere sul regime iraniano.

Per chi ha coscienza non si può rimanere indifferenti rispetto all'umiliazione quotidiana dei palestinesi ed alle vittime civili delle rappresaglie israeliane, che non si possono liquidare come effetti collaterali, un prezzo comunque da pagare, come delle vittime israeliane dei kamikaze e delle loro bombe sugli autobus, nei mercati e nei luoghi di ritrovo.

L'indifferenza non si può giustificare con il fatto che gli avvenimenti sono visibili in presa diretta e perciò vissuti come manipolazione dell'opinione pubblica.

Al Jazeera ha allestito un secondo canale esclusivamente dedicato alle rappresaglie israeliane e alle vittime palestinesi con l'effetto di moltiplicare la collera delle masse arabe in contrasto con l'inerzia dei loro governi.

Cosa cambia rispetto ai fatti che non abbiamo gli stessi reportage dei massacri nel Sud Sudan o che i genocidi del Ruanda sono stati perpetrati lontano dalle telecamere?

Il fatto grave è la copertura mediatica del conflitto israelo-palestinese o non, piuttosto, che in questo nostro villaggio globale le violenze in altre parti del mondo non abbiano, non possano avere o non interessa avere una copertura mediatica?

Fossimo soltanto degli impassibili analisti potremmo ridurre l'impatto emotivo contestualizzando i sanguinosi avvenimenti: ci saranno le elezioni in Israele e la strategia di Hamas è dettata non dalla dirigenza locale, bensì da quella in esilio e pertanto sotto l'influenza, se non il controllo, degli Hezbollah libanesi e dei loro patron siriani e libanesi. Sono cose ovvie, ma non riducono il dolore delle madri delle vittime o la disperazione dei sopravvissuti alla distruzione delle proprie case o dei familiari di chi è stato colpito da un razzo Qassam.

La protesta degli amici di Israele contro la sproporzione della reazione militare potrebbe essere più forte ed influente, se gli amici dei palestinesi non tacessero sui lanci dei razzi, sulla detenzione del sergente Shalit, diventata uno spettacolo teatrale, sugli atti di terrorismo, sui massacri di prigionieri o sulle esecuzioni sommarie di presunti collaboratori, per non fare che alcuni esempi, o sulla mancanza di libertà civili e sulla corruzione delle autorità politiche ed amministrative palestinesi o sulle manifestazioni di giubilo ogni volta che vi siano vittime israeliane o di ebrei, anche al di fuori della zona di conflitto.

Chi crede nella possibilità,per quanto remota, di una futura possibile convivenza ed uno sviluppo economico e sociale in Israele e Palestina, che soltanto la pace o almeno una tregua davvero duratura possono garantire, deve continuare a testimoniare.

L'alternativa sarebbe tacere e, perciò, rinchiudersi nelle proprie contraddizioni, in altre parole abdicare, cioè rinunciare alle proprie idee di libertà e giustizia.

Questo prezzo non dobbiamo essere disposti a pagarlo, tanto più ora in questi drammatici momenti.