di Felice Besostri
Jeanne Hersch diceva: "Mais notre vie se vit dans un présent qui n'a rien de ponctuel". Occorre cioè memoria del passato e coscienza del presente per poter progettare il futuro. Aggiungerei che questo percorso individuale deve trasformarsi in collettivo per avere un senso storico compiuto.
Ebbi a definire Il Socialismo come nostalgia del futuro: nell'espressione il presente non c'è. È un rifiuto del presente? Sì, ma non completamente perché c'è la persona che lo pensa nel presente.
Nell'epoca del predominio dei mezzi di comunicazione (mai termine è più inappropriato, comunicare significa stabilire una relazione) di massa si vive in un eterno presente, cioè quello dell'avvenimento, al quale si crede di partecipare in diretta senza capire perché è successo e senza che ci importi cosa succederà se altri (Cirio, Parmalat) presenti saranno alla ribalta. Perché mediatizzati abbiamo partecipato ai bombardamenti di Gaza e ne siamo stati influenzati benché in Cecenia, nel Tibet, nel Darfur e nel Ruanda il numero delle vittime sia o sia stato infinitamente superiore. Non che faccia una differenza, perché, come ci ricorda il Talmud, "uccidi un uomo e avrai ucciso l'umanità intera". L'interrogativo non è che un massacro sia stato coperto dai media e altri no, ma perché gli altri non lo siano, benché facenti parte dello stesso presente.
Siamo sempre spettatori del nostro tempo, qualche volta complici, mai protagonisti e neppure preziosi testimoni.
La testimonianza presuppone la storia e la crea, ma è appunto la storia che il presente distrugge.
Questo presente che il titolo del convegno condanna come dittatura.
Ma la condanna non è anche fuga?
Sì, la condanna del presente è anche fuga, rimozione, incapacità di affrontarlo.
In politica è evidente anche perché ha perso autonomia rispetto ad altri ad altri centri di potere.
Il presente, ridotto alla contingenza politica, domina le scelte, crea la necessità di risposte immediate, che sono contingenti, massimamente nelle competizioni elettorali.
Il presente, ridotto ad un hinc et nunc, non lascia spazio alla riflessione, alla ricostruzione di un pensiero per affrontare i mutamenti.
Nel presente ci si lascia dominare dagli eventi: gli eventi sono specchi per le allodole.
Che tristezza quando a sinistra si pensa che la gravità della crisi economica e finanziaria basti a sconfiggere la destra e che la contingenza di un maggior controllo pubblico, persino la nazionalizzazione delle banche, sia un principio di socialismo.
Quando ciò avviene significa che la storia non ha insegnato nulla e, come già dicevo, senza memoria del passato non c'è progetto del futuro.
Non al presente si deve sfuggire, ma al contingente.
Dicevo prima degli errori politici che si possono fare, anzi che si sono già fatti, per rispondere a scadenze immediate come le elezioni.
Mi si potrebbe obiettare che le elezioni non sono il presente perché si svolgeranno tra due mesi e mezzo. Ma sono già qui nella testa, per esempio dei futuri candidati, e nei gruppi dirigenti delle formazioni politiche.
Quali che siano le critiche al dominio del presente la soluzione non è quella di abrogare le elezioni e con esse lo stesso simulacro di una democrazia.
L'espressione che ogni storia è contemporanea può diventare una caricatura se il presente domina al punto di negare la storia: cioè ogni contemporaneità non è storia.
Non è così, già se parliamo di età contemporanea si introduce una dimensione storica, introduce una dimensione di coscienza critica dell'epoca in cui viviamo.
Non il presente va rifiutato ma il contingente e l'effimero e quindi, ritornando alla politica, riscoprendo l'etica come guida delle proprie scelte.
ETICA significa valori come parametri di giudizio. Uso la parola valori in senso positivo, come si usa nel linguaggio comune.
La loro mancanza ha segnato la politica e l'economia, senza una scelta valoriale è in pericolo la stessa democrazia, unico antidoto alla dittatura di qualsiasi genere essa sia.
Dittatura del presente: le dittature vanno combattute, ma la dittatura del presente non la si sconfigge non eliminando il presente.
Il presente costringe ad agire, ma se invece ci si limita a reagire, mancherebbe un nostro progetto, quindi si subisce: questa è la dittatura del presente.