martedì 12 maggio 2009

LA DITTATURA DEL PRESENTE

di Felice Besostri

Jeanne Hersch diceva: "Mais notre vie se vit dans un présent qui n'a rien de ponctuel". Occorre cioè memoria del passato e coscienza del presente per poter progettare il futuro. Aggiungerei che questo percorso individuale deve trasformarsi in collettivo per avere un senso storico compiuto. 

    Ebbi a definire Il Socialismo come nostalgia del futuro: nell'espressione il presente non c'è. È un rifiuto del presente? Sì, ma non completamente perché c'è la persona che lo pensa nel presente.

    Nell'epoca del predominio dei mezzi di comunicazione (mai termine è più inappropriato, comunicare significa stabilire una relazione) di massa si vive in un eterno presente, cioè quello dell'avvenimento, al quale si crede di partecipare in diretta senza capire perché è successo e senza che ci importi cosa succederà se altri (Cirio, Parmalat) presenti saranno alla ribalta. Perché mediatizzati abbiamo partecipato ai bombardamenti di Gaza e ne siamo stati influenzati benché in Cecenia, nel Tibet, nel Darfur e nel Ruanda il numero delle vittime sia o sia stato infinitamente superiore. Non che faccia una differenza, perché, come ci ricorda il Talmud, "uccidi un uomo e avrai ucciso l'umanità intera". L'interrogativo non è che un massacro sia stato coperto dai media e altri no, ma perché gli altri non lo siano, benché facenti parte dello stesso presente.

    Siamo sempre spettatori del nostro tempo, qualche volta complici, mai protagonisti e neppure preziosi testimoni.
    La testimonianza presuppone la storia e la crea, ma è appunto la storia che il presente distrugge.
    Questo presente che il titolo del convegno condanna come dittatura.
    Ma la condanna non è anche fuga?
    Sì, la condanna del presente è anche fuga, rimozione, incapacità di affrontarlo.
    In politica è evidente anche perché ha perso autonomia rispetto ad altri ad altri centri di potere.
    Il presente, ridotto alla contingenza politica, domina le scelte, crea la necessità di risposte immediate, che sono contingenti, massimamente nelle competizioni elettorali.

    Il presente, ridotto ad un hinc et nunc, non lascia spazio alla riflessione, alla ricostruzione di un pensiero per affrontare i mutamenti.

    Nel presente ci si lascia dominare dagli eventi: gli eventi sono specchi per le allodole.
    Che tristezza quando a sinistra si pensa che la gravità della crisi economica e finanziaria basti a sconfiggere la destra e che la contingenza di un maggior controllo pubblico, persino la nazionalizzazione delle banche, sia un principio di socialismo.

    Quando ciò avviene significa che la storia non ha insegnato nulla e, come già dicevo, senza memoria del passato non c'è progetto del futuro.

    Non al presente si deve sfuggire, ma al contingente.
    Dicevo prima degli errori politici che si possono fare, anzi che si sono già fatti, per rispondere a scadenze immediate come le elezioni.

    Mi si potrebbe obiettare che le elezioni non sono il presente perché si svolgeranno tra due mesi e mezzo. Ma sono già qui nella testa, per esempio dei futuri candidati, e nei gruppi dirigenti delle formazioni politiche.

    Quali che siano le critiche al dominio del presente la soluzione non è quella di abrogare le elezioni e con esse lo stesso simulacro di una democrazia.

    L'espressione che ogni storia è contemporanea può diventare una caricatura se il presente domina al punto di negare la storia: cioè ogni contemporaneità non è storia.

    Non è così, già se parliamo di età contemporanea si introduce una dimensione storica, introduce una dimensione di coscienza critica dell'epoca in cui viviamo.

    Non il presente va rifiutato ma il contingente e l'effimero e quindi, ritornando alla politica, riscoprendo l'etica come guida delle proprie scelte.

    ETICA significa valori come parametri di giudizio. Uso la parola valori in senso positivo, come si usa nel linguaggio comune.

    La loro mancanza ha segnato la politica e l'economia, senza una scelta valoriale è in pericolo la stessa democrazia, unico antidoto alla dittatura di qualsiasi genere essa sia.

    Dittatura del presente: le dittature vanno combattute, ma la dittatura del presente non la si sconfigge non eliminando il presente.

    Il presente costringe ad agire, ma se invece ci si limita a reagire, mancherebbe un nostro progetto, quindi si subisce: questa è la dittatura del presente.

martedì 5 maggio 2009

ANNI SESSANTA

Sessagesimo genetliaco di Massimo D'Alema. La sinistra è smarrita.  Ne potrebbe venire l'esortazione a “buttare il cuore oltre l'ostacolo”. Bene, benissimo, ma non mi pare che si possa chiedere alla sinistra di buttare il cervello oltre l'ostacolo. E precisamente di questo si tratterebbe se l'unica via d'uscita dalla crisi fosse riaffidarsi al lider Massimo.

di Felice Besostri

Per un sol giorno, sia pure con cinque anni di ritardo rispetto a me, Massimo D'Alema non è entrato nel mio segno zodiacale. E ora, sempre con cinque anni di ritardo rispetto a me, ha festeggiato i sessant'anni. Lo ha fatto in un bella e pare spiritosissima rimpatriata con l'ex gruppo dirigente della Federazione Giovanile Comunista Italiana (Fgci), di cui è stato segretario dal 1975 al 1980. Unica eccezione Marco Follini, oggi compagno (?) di PD e all'epoca membro del Movimento Giovanile della DC. Il diavolo si annida nei dettagli e da questo dettaglio ho capito alcune cose.

    Nessun giovane socialista d'antan era stato invitato alla festa. Eppure, a quei tempi, la collaborazione tra le due organizzazioni era intensa, anche perché nello spettro politico la Fgsi era nettamente collocata a sinistra.

    Sono sicuro, che quando gli anni 60 li compierà Veltroni, inviterà un po' tutti, ma anche   i giovani socialisti dei suoi tempi. Sarà l'omaggio ai sopravvissuti di una tradizione politica che egli con le sue scelte elettorali del 2008 ha contribuito in maniera determinante a cancellare dal Parlamento italiano.

    D'Alemano. Lui ama il socialismo e la compagnia dei socialisti, specialmente all'estero, se sono stranieri o, unica eccezione quando si chiamano Giuliano Amato (ma il suo inglese è perfetto). Questo amore per il socialismo è dimostrato dal mantenimento della carica di vice-presidente dell'Internazionale Socialista laddove il suo Partito Democratico non ne fa parte. Che importa? Basta far finta che i DS esistano ancora, e in effetti la partita IVA c'è ancora.

    Nel 1998  si ebbe l'illusione che l'amore di D'Alema per il socialismo, come quei capitali esportati illecitamente all'estero, si apprestasse a rientrare in Italia sotto l'usbergo dello scudo fiscale. Lui e Giuliano Amato (la discussione tra chi dei due fosse il gatto o chi la volpe non è ancora chiusa) promossero gli Stati Generali della Sinistra di Firenze. Evento preparato da parole nobili e altisonanti: “Fratelli socialisti, nostri fratelli maggiori, prendeteci per mano”. C'ero anch'io a sentirle, queste nobili parole, con le mie orecchie, al Congresso dei Laburisti di Valdo Spini, socialista da sempre, che come me credette al progetto dalemiano.

    Ci trovammo tutti nei DS, ma senza Amato, rimasto prudentemente fuori. Doveva essere l'inizio della costruzione del Partito del Socialismo Europeo in Italia guidato dal segretario nazionale Massimo D'Alema, ma lo statista Massimo D'Alema, presidente dell'ennesima Bicamerale prima e Primo Ministro poi (scusate il bisticcio di parole!) perse interesse per la cosa. E perciò la conduzione dell'operazione fu affidata, in un passaggio del tipo da Castore a Polluce, a Walter Veltroni. Ma, a quest'ultimo, gliene poteva fregà de meno? Non essendo mai stato comunista, non si capisce perché avrebbe dovuto diventare socialista. Era troppo occupato to care di altri progetti.

    Un piccolo particolare doveva mettere i socialisti in guardia: nel suo giro per sepolcri trovarono spazio Don Milani e Dossetti ma non Pertini.

    Ma oggi Walter è uscito di scena e i Dioscuri dell'Olimpo, o del Pantheon, post-comunista si sono, almeno temporaneamente, dimezzati. Torniamo al protagonista, Massimo, che riesce ad incarnare tutti i progetti possibili della Sinistra. Lui partecipa attivamente all'affossamento della medesima, ma da Lui ci si aspetta una sempre possibile rinascita.

    Altri dicono ma anche, lui, Massimo, lo fa. Contrario alla formazione del PD, ma anche uno dei protagonisti. Da sempre nutre riserve sulla deriva giustizialista e ha persino qualche problema personale con Di Pietro che Massimo disapprova, ma anche lo approva: senza battere ciglio accetta l'alleanza con l'Italia dei Valori alle elezioni del 2008 e l'esclusione dei socialisti: i fratelli maggiori di un tempo sono diventati dei poveri orfanelli.

    D'Alema è sensibile alle grida di dolore che si levano dal popolo di sinistra ed, infatti, dopo la grave sconfitta del PD e dopo la scomparsa dell'altra sinistra lancia un messaggio dal forte colore simbolico: lancia una televisione, RED TV. Il massimo! La conoscenza delle lingue straniere è un must, e lui riesce a parlare poli-semanticamente al mondo anglosassone e a quello lusitano, da Blair ad Obama e a Lula.

    Da sempre il nostro leader massimo è favorevole  ad una riforma del sistema elettorale alla tedesca, cioè un proporzionale corretto con una soglia di accesso. Purtroppo un tale sistema prevede quattro o cinque partiti: bisogna scegliere chi far sopravvivere. Per D'Alema accanto al PdL ed al PD meritano di sopravvivere  soltanto la UCD, la Lega Nord e  l'Italia dei Valori, per questo non ha fatto una piega quando si è introdotta una soglia di accesso al 4% per le Europee ed anche per beneficiare dei rimborsi elettorali: la sinistra altra da Lui deve morire politicamente ed in miseria.

    Un solo sbocco sarebbe ora possibile: l'entrata nel PD al servizio dei suoi disegni. L'abilità tattica non gli mai stata negata, neppure dai suoi avversari, anche quando, malgrado le fini tessiture, per un ambaradan imprevisto non riesce a conseguire i suoi obiettivi personali (I apologize: politici), come la Presidenza della Repubblica.

    I tempi sono difficili, la sinistra è smarrita, non ha un leader e una credibilità programmatica, anche quando la crisi economica, finanziaria ed ambientale dia, come oggi, oggettivamente ragione ai critici del capitalismo in quanto sistema senza vincoli o controlli che riduce tutto a merce.

    In questa situazione si dice che bisogna “buttare il cuore oltre l'ostacolo”. Bene, benissimo, non ma mi pare che si possa chiedere alla sinistra di buttare il cervello oltre l'ostacolo. E di questo si tratterebbe se l'unica via d'uscita fosse riaffidarsi a D'Alema.

    Belle le feste intrise di nostalgia, come i compagni della 5^ C. Ma il socialismo è un'altra cosa. Nostalgia sì, ma del futuro.