martedì 31 maggio 2011

Dalla Spagna e dalla Germania

PERISCOPIO SOCIALISTA 

 

La sconfitta socialista in Spagna, portato dell'austerità imposta dal sistema finanziario internazionale, delinea la fine del bipolarismo iberico. In Germania il governo della Merke è messo molto male. Calano i consensi della CDU/CSU, crollano i liberali della FDP. Socialdemocratici e Verdi sono ormai maggioranza nella Camera alta e nel Paese.

 

di Felice Besostri

 

Nel 2007 il PSOE controllava 24 capoluoghi provinciali e il PP 23, nel 2011 il PP passa a 33 e il PSOE crolla a 10, passano da 3 a 7 i capoluoghi controllati da altre formazioni. Le Comunità autonome guidate dal PSOE erano 7 nel 2007 e saranno 3 nel 2011, perché in due non si è votato il 22 maggio. Il PP, che ne aveva 6, quasi le raddoppia con 10, strappandone 3 al PSOE, Baleari , Aragona e Castilla-La Mancha, e una, la Cantabrica, ad una formazione locale. I regionalisti  controllano ora 4 Comunità, che diventeranno 5 appena si voterà nel Paese Basco.

    Proiettando i risultati delle amministrative spagnole sul Congresso dei Deputati, il PSOE, 169 deputati, ne perderebbe 53, di cui soltanto 10, guadagnati dal PP, che ne ha 154 e che non avrebbe garantita la maggioranza assoluta di 176.

    La frammentazione, grazie al meccanismo elettorale, crescerebbe in modo esponenziale da 10 partiti, di cui 5 con due o un deputato, a 19, di cui 11 con uno o due deputati.

    La crisi del bipolarismo è evidente, come anche è segnalata da un 4,24% di voti bianchi o nulli, che son aumentati, di più di un quarto, dovunque tranne che nel Paese Basco dove, invece, sono diminuiti. Questo è probabilmente effetto del movimento degli "Indignados" o movimento 15-M, troppo affrettatamente paragonati ai nostri Grillini.

    Tre nuovi soggetti politici meritano attenzione, due sulla destra e uno a sinistra, rispettivamente UPyD e PxC e Bildu. UpyD è una scissione del PP, ma che a Madrid ha sottratto voti ai socialisti e dei nuovi soggetti l'unico con proiezione nazionale avendo eletto consiglieri municipali in 5 capoluoghi di Provincia da Nord a Sud. Piattaforma per la Catalogna è una formazione xenofoba contigua con Fuerza Nueva. Bildu è la nuova espressione della sinistra abertzale basca, che in un colpo ha conquistato 1.138 consiglieri municipali, conquistando la maggioranza assoluta in 88 Municipi e quella relativa in altri 27, tutti nei Paesi Baschi e Navarra, diventando il primo partito nella capitale San Sebastian.

    Questo successo è il frutto della rottura politica della sinistra basca con ETA grazie al processo di pace, che è uno dei meriti di Zapatero. Il PSOE è al livello più baso di consenso da quando la Spagna è diventata democratica  ed è di poca consolazione constatare, che nella sconfitta si conta sempre con un 27.79% dei consensi, quando la sinistra italiana non è rappresentata nel Parlamento.

    Il PSOE ha perso 1.558.000 voti, cioè un -7%, e il PP ne ha guadagnati 558.000, quindi un non entusiasmante +1,9% . Il PSOE ha perso voti a favore del PP in Andalusia e Castilla La Mancha e il PSC a favore di Esquerra Republicana e addirittura del PP in Badalona e di PxC. Lo spostamento di voti a sinistra verso IU è compensato da quello a favore di URyD.

    Le ragioni della sconfitta sono di diverso tipo, sia generali, che locali. La perdita della Catalogna nelle elezioni autonomiche del novembre 2010 ha trascinato con sé quella di Barcellona e delle altre città catalane. La vittoria dei nazionalisti di CiU ha demoralizzato quella  consistente parte  dell'elettorato socialista del cinturone industriale di Barcellona, composto da emigrati da altre regioni della Spagna. La Catalogna è stata persa perché il governo di coalizione di sinistra non era stato coeso e si era drammaticamente diviso sulla riforma dello Statuto.

    Nei Paesi Baschi la presidenza socialista si appoggiava sul voto determinante del PP, un bacio della morte in una fase di ascesa della sinistra abertzale, che prima non partecipava al voto o che votava per i baschi socialisti.

    Nella Comunità madrilena ha giocato la divisione interna al PSOE con primarie, che per essere sintetici , possiamo definire alla napoletana. In termini assoluti il PSOE ha perso un milione di voti in sole 5 Comunità e la metà in Andalusia e Madrid: la geografia delle aree di crisi con alto tasso di disoccupazione è rispettata. La ricetta per uscire dalla crisi non è facile, anche perché non sono univoche le ragioni della disaffezione.

    In Germania le perdite della SPD erano facilmente rintracciabili: 2/3 verso l'astensione e 1/3 verso Verdi e Linke. Ricentrare la politica verso sinistra ha consentito in tutte le elezioni nei Land successive alle federali del 2009 di recuperare le perdite. Il PSOE non ha alleati a sinistra con peso elettorale nazionale e non può averli se non cambia la legge elettorale con una maggiore dose di proporzionalità a livello delle Comunità  Autonome.

    IU ha aumentato i voti alle Municipali di un 17&% e del 254% alle autonomiche, raccogliendo una parte minore di elettori PSOE.

    I socialisti devono affrontare un'alternativa diabolica, se non cambiano la legge elettorale la vittoria del PP è scontata, se la cambiano finisce l'effetto del voto utile a sinistra sul quale, come il PD in Italia, sia pure con minor successo di quest'ultimo, ha costruito la sua fortuna.

    La risposta può essere solo politica e di politica economica in particolare: gli interessi di partito devono passare in secondo piano, se si vuol riannodare un rapporto con la società, che in Spagna si è rotto per l'austerità imposta dal sistema finanziario internazionale.

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La leadership internazionale della Merkel e il buono stato dell'economia tedesca, con le migliori performance europee, non hanno evitato l'ennesima pesante sconfitta della coalizione CDU/FDP nelle elezioni della Città Stato di Brema del 22 maggio 2011: una sconfitta ancor più cocente per i liberali della FDP, che con il 2,6% non entrano nemmeno nell'assemblea legislativa del Land.

    Le proiezioni elettorali in Germania sono di norma attendibili e su di esse abbiamo fondato la nostra la nostra analisi nello scrivere queste righe di commento: per i risultati definitivi ufficiali di Brema bisognerà aspettare il 3 giugno prossimo e il 6 giugno per la Bürgerschaft  del Land.

    La SPD si conferma il primo partito con il 38,3% (+1,6% rispetto alle precedenti elezioni), in chiara ripresa rispetto alle Europee (29,3%) e Federali (30,2%) del 2009, anche se resta lontana dal 42% del 2003 e 1999, per non parlare degli anni d'oro tra il 1969 e il 1980, quando superava il 50% anche alle elezioni federali.

    I verdi confermano la loro ascesa passando dal 16,5% del 2007 al 22,7% e diventando il secondo partito al posto della CDU: il loro miglior risultato dopo in 22,1% delle Europee del 2009.

    I liberali, che soltanto alle federali del dicembre 2009 avevano il 10,4% e l'8% alle europee, stanno drammaticamente sotto soglia del cinque per cento.

    Il destino della CDU con il 20,1% segna il declino di un partito che alle precedenti elezioni aveva il 25,6%.

    La Linke rientra nell'assemblea con il 5,8%, cioè con una percentuale molto più bassa del 8,4%, con cui era entrata per la prima volta nel 2007, per non parlare del 14,3% delle federali del 2009. Si conferma che le fortune maggiori della Linke sono legate alle perdite della SPD.

    L'inversione di tendenza della SPD ha arrestato la dinamica della Linke, che perde voti soprattutto a favore dei Verdi. Nella passata legislatura Brema è stata caratterizzata da crisi interne ai gruppi, con passaggi di schieramento, molto poco usuali in Germania: la SPD aveva guadagnato tre parlamentari nella  Bürgerschaft  da CDU, Verdi e Linke e ne aveva perso uno a favore dei Verdi.

    Nel Bundesrat il Governo è ormai in minoranza irreversibile e queste elezioni confermano che le opposizioni sono maggioranza numerica nel paese. Ma non sono politica a causa delle relazioni tra SPD e Linke oltre che con i Verdi.

    Nondimeno, in settembre le elezioni di Berlino e quelle del Meclemburgo-Pomerania, se confermassero le tendenze attuali, potrebbero incidere sulla stablità del Governo federale.

martedì 17 maggio 2011

ABROGATE IL PORCELLUM

PERISCOPIO SOCIALISTA

I parlamentari in carica, i senatori a vita, i giudici costituzionali emeriti e i più illustri giuristi democratici Italiani devono moltiplicare le iniziative, possibilmente in ogni circoscrizione di Tribunale, per ottenere il rinvio alla Corte Costituzionale delle norme della legge elettorale.

di Felice Besostri

Rino Formica ha posto il problema della riconferma di Giorgio Napolitano alla carica di Presidente della Repubblica nel maggio 2013. Poiché queste Camere sono state elette il 29 aprile 2008, è pacifico che il prossimo presidente sarà eletto dopo nuove elezioni politiche. Per il centro-sinistra eleggere un proprio candidato salvo una vittoria con premio di maggioranza è più difficile che ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi (2009) e Giorgio Napolitano (2006): nei delegati regionali c'è una netta prevalenza della destra dopo le elezioni del 2010. Nel 2006 il premio di maggioranza favorì un'Unione che si sarebbe rivelata instabile e rissosa: non si può sperare nelle crescenti difficoltà di Berlusconi per aspirare di vincere le elezioni e quindi rientrare in gioco per l'elezione del Presidente.

La strada maestra è l'abolizione di un premio di maggioranza di sospetta costituzionalità, poiché svincolato da ogni quorum in seggi o percentuale di voti.

La Corte Costituzionale l'ha denunciato in due sentenze del 2008 , ma l'invito a sottoporle la questione di costituzionalità è stato ignorato dalla magistratura ordinaria e amministrativa.

Il TAR Lazio, sez. II bis (sent. 1855/2008) e il Consiglio di Stato, sez. IV (sent. 1053/2008) sfuggirono al problema dichiarando la carenza assoluta di giurisdizione nei confronti dell'impugnazione dei decreti di convocazione dei comizi.

Il Tribunale di Milano, sez. I (sent. 5330/2011) in composizione monocratica, ha blindato la legge elettorale, dichiarando manifestamente infondate (!) le questioni di costituzionalità, compresa quella valutata come problematica dalla Corte Costituzionale stessa (sent. 15 e 16 del 2008).

Le potenzialità scardinatorie della legge elettorale, che ha sovvertito la forma di governo delineata dalla Costituzione, finora non si sono potute esprimere al massimo grado per una pura coincidenza, ancorché pilotata con lo scioglimento delle Camere elette nel 1996. L'attuale maggioranza, eversiva dell'ordinamento costituzionale, cioè magna parte quella che approvò la legge 270/2005 (detta "Porcellum"), non ha mai potuto eleggere un Presidente della Repubblica. Se avesse potuto farlo, è legittimo ritenere che sarebbe poi proceduta – in forza di una legge ordinaria – a scardinare gli stessi istituti di garanzia previsti in Costituzione: Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale.

Grazie al premio di maggioranza una maggioranza relativa, cioè una minoranza assoluta, si trasforma alla Camera in una comoda maggioranza del 54%. Sarebbero così a portata di mano i due terzi dei voti necessari a modifiche costituzionali senza referendum confermativi (scenario più volte segnalato su queste colonne, da ultimo nell'Editoriale del 20 settembre scorso, vai al sito), ma anzitutto sarebbe a portata di mano un'elezione a colpi di "premio di maggioranza" del Presidente della Repubblica.

Un così eletto Capo dello stato, smaccatamente di parte, sarebbe poi Capo delle Forze Armate e Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. In tal veste nominerebbe cinque membri della Corte Costituzionale, che si aggiungerebbero a quelli eletti dalla artificiale maggioranza parlamentare, e che farebbero dieci membri su quindici, con forti capacità di influire anche sul restante terzo, esondando cioè sulle supreme magistrature ordinaria e amministrativa.

L'unica residua resistenza a un assoggettamento immediato della Corte Costituzionale all'esecutivo risiederebbe nella sola durata in carica per nove anni dei giudici costituzionali, il cui rinnovo è dunque diluito nel tempo. Troppo poco per garantire la salvezza della Repubblica!

Poiché il vigente premio di maggioranza è di dubbia costituzionalità mentre i tratti di incostituzionalità sono destinati ad aggravarsi se passassero progetti di premio di maggioranza nazionale anche per il Senato, l'unica scelta, che si impone, è l'abrogazione della legge.

Le forze per farlo in Parlamento non sembrano esserci, dato il vincolo di maggioranza PdL-Lega Nord, meglio detto Berlusconi-Bossi.

L'unica strada è il moltiplicarsi delle iniziative, possibilmente in ogni circoscrizione di Tribunale, per ottenere il rinvio alla Corte Costituzionale delle norme della legge elettorale, e in primis del premio di maggioranza.

Finora quest'azione è stata promossa da semplici elettori e avvocati nel totale e irresponsabile silenzio dei mezzi d'informazione, cioè in un clima che favorisce le pressioni sui singoli giudici.

Nelle prossime azioni dovranno essere protagonisti i parlamentari in carica, i senatori a vita, i giudici costituzionali emeriti e i più illustri giuristi democratici. Noi di qui rivolgiamo un esplicito appello alla loro coscienza civile.


P. S.: L'abolizione del premio di maggioranza è anche un contributo alla chiarezza politica. La legge elettorale consente a liste diverse di adottare prima dell' elezioni un comune programma di governo e di indicare un capo della coalizione. Una tale indicazione, in caso di accoglimento dell'eccezione di costituzionalità, avrebbe il solo effetto di un'indicazione politica e di far beneficiare le liste coalizzate di una soglia di accesso più bassa (2% in luogo di 4%), ma non più di attribuire un premio di maggioranza. La proposta corre il rischio di travolgere anche le liste bloccate, che sono graditissime ai vertici di tutti i partiti. Ma difendere la Costituzione dovrebbe essere un motivo sufficiente per rinunciare a un potere che la vanifica quanto agli artt. 51 e 67.

mercoledì 11 maggio 2011

Allargare l'area

PERISCOPIO SOCIALISTA

di Felice Besostri

Se gli editoriali del nuovo direttore de Il Riformista hanno il merito di indicare una linea politica e ideale che sarebbe naturale per un riformatore, libertario, laico, ambientalista e parte integrante del socialismo europeo, il segretario dl PSI Riccardo Nencini ha rilevato che quella di Emanuele Macaluso è una delle poche voci autorevoli della sinistra "a fare esplicito riferimento al socialismo italiano".

La questione socialista è una delle questioni non risolte della sinistra italiana, nella sua lunga e travagliata storia, come dimostra l'anomalo rapporto, almeno fino al 1989, nei paesi dell'Europa occidentale tra socialisti e comunisti, anomalo sia al tempo dell'unità d'azione, anche questa unica a scala europea, che con il rafforzarsi dell'autonomia socialista.

Il risultato è stato, che l'Italia non ha mai avuto un partito della sinistra in grado di proporsi, come alternativa di governo, alla guida del Paese con un proprio programma e un proprio o una propria leader. Per essere chiaro, al limite della perentorietà, la questione socialista non è la questione, personale o politica, dei socialisti, intesi come iscritti, elettori, militanti, dirigenti o eletti nelle istituzioni dell'antico PSI: molti di loro sono diventati ex-socialisti, con qualche giustificazione psicologica per le discriminazioni e gli ingiusti attacchi, cui sono stati sottoposti nella fase acuta del giustizialismo.

Tuttavia non possiamo fare di problemi personali una giustificazione politica: chi è andato con Forza Italia, prima, o nel PdL poi, nella Lega o nell'UDC. ha scelto di non far parte della famiglia socialista. I riferimenti in termini europei o valoriali dei partiti d'approdo sono semplicemente altri rispetto a quelli della socialdemocrazia, anche quella più moderata.

Il socialismo – italiano, europeo o internazionale, che sia – è un insieme di valori, tradizioni e storie, ma queste non bastano, se non diventano proposte e progetti per il futuro. Pur con metodo graduale e democratico il socialismo non esiste se non è critica della società esistente, delle sue ineguaglianze economiche e sociali, di libertà e privilegi concessi ai potenti e negati alla maggioranza della popolazione.

Razionalmente, il fallimento del neo-liberismo e della globalizzazione, di pochi globalizzatori irresponsabili e di moltitudini di globalizzati, ripropone l'attualità del socialismo nel XXI secolo, non un cane morto nel XX secolo, sepolto dalle macerie del Muro di Berlino.

Ma questo non basta. Bisogna anche scaldare i cuori, e contemporaneamente convincere di avere le ricette giuste e migliori per uscire dalla crisi e ridare potere alle istituzioni democratiche rappresentative, anche a livello sovranazionale, rispetto a lobby, consorterie e gruppi economici e finanziari, operanti nella logica del massimo profitto a corto termine.

Purtroppo in Italia i richiami al socialismo europeo, unico quadro in cui porre la questione socialista, si sono ristretti, invece di allargarsi. I DS sono usciti dal PSE, con la formazione di SEL (che non ha assunto il nome di Socialismo Europa e Libertà) è scomparsa la Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo e lo stesso PSI ha rinunciato ad ogni riferimento grafico-simbolico al PSE per privilegiare un socialismo tricolore.

Il PSE, senza una sua riforma, che ne sottolinei il carattere europeo e sovranazionale, non costituisce il perimetro esclusivo del socialismo europeo: un socialismo capace di includere nuovi fermenti a sinistra, come i non brillanti risultati dei suoi partiti testimoniano. Questo e non altro è il compito che dovrebbero assumersi i socialisti in Italia: la terra di missione è la sinistra, che non ha risolto, anzi neppure affrontato, la questione socialista.

Le parole sono pietre e dal punto di vista del solo linguaggio l'aggettivo "social-liberale", ora evocato anche nel nostro campo, rappresenta un arretramento rispetto a "socialismo liberale" e "liberalsocialismo", anche in presenza si spunti programmatici interessanti.

Quello che manca in Italia è un socialismo democratico che comprenda le istanze liberali e libertarie, così come sia capace di unire credenti e non credenti in una politica che valorizzi la fede rispetto alle istituzioni religiose.

Una politica è fatta anche da alleanze credibili e i partiti ufficialmente socialisti, dopo lo scioglimento del PSI, le hanno sperimentate tutte, con l'esito di salvaguardare fino al 2008 una sparuta rappresentanza parlamentare, incapace di innestare una ripresa solida e continua dell'area di diretta influenza. Se i socialisti vogliono giocare un ruolo non possono essere un apostrofo rosa tra il PD e l'UDC, ma ritrovare il coraggio degli inizi della loro costituzione in partito nel 1892.