Tra l'Afghanistan (lontano, ma vicino) e l'Assurdistan di casa nostra quel che si profila è senza dubbio un autunno insidioso.
di Felice Besostri
Nella trappola afghana non c’è soltanto il nostro Paese e le sue truppe, che pagano un tributo di sangue. Ci siamo tutti noi, individualmente considerati.
Ritirarsi o non ritirarsi è un falso dilemma o, meglio detto, presuppone la possibilità di una risposta netta ad una questione complessa.
Il regime dei talebani era orribile, come tutti i regimi fanatici.
Sui diritti umani non si può essere relativisti del tipo "eius regio cuius religio". Il diritto alla vita e all’istruzione e libertà di manifestazione del pensiero sono diritti universali.
La shaaria, oltre che prevedere trattamenti inumani e degradanti, non garantisce diriti giuridici fondamentali, come per esempio quello a un processo equo nel rispetto del principio del contraddittorio.
Per avere un’idea delle efferatezze talebane, basta leggere i rapporti di ONG impegnate nella tutela dei diritti umani. Anche i libri di Khaled Hosseini, per quanto si tratti di romanzi, ci offrono uno spaccato istruttivo di quella realtà lontana, ma vicina.
Il solo pensare che i talebani possano riconquistare il potere politico a Kabul dovrebbe farci rabbrividire.
La discriminazione delle minoranze etniche e religiose (sciiti, cristiani) verrebbe ulteriormente accentuata.
La forza ed il potere dei talebani attualmente derivano dai finanziamenti e dalle armi, che sono loro pervenuti in precedenza dall’Occidente via Pakistan. Come insegnava Elias Canetti "il nemico del mio nemico non è mio amico". Non si può continuare a fare quello che si era fatto in funzione antisovietica, cioè armare e promuovere formazioni soltanto perché nemiche dei nostri nemici.
Occorre che ci interroghiamo a fondo. La situazione dei diritti civili è migliorata da quando la missione militare è in Afghanistan? Nelle azioni e nelle rappresaglie sono più i civili o i talebani ad essere uccisi o feriti? L’Afghanistan continua ad essere il maggior produttore mondiale della materia prima per la produzione di eroina? Il Governo afghano in carica rispetta i principi elementari dello stato di diritto? La situazione delle donne e delle minoranze etniche o religiose è sostanzialmente migliorata? (Tra parentesi: tra i motivi dell’intervento vi era quello di liberare la donna dal burka, che sarebbe stato imposto dai talebani: ogni cronaca televisiva da quel paese mostra un numero impressionante di donne in burka).
Le vigenti regole di ingaggio, proprio per l’ipocrisia della natura della nostra missione volte a rispettare l’art. 11 della nostra Costituzione, non tutelano le vite dei nostri militari. Occorre, quindi, ridiscuterle e, se del caso, cambiarle.
Io dubito che la lotta al terrorismo si configuri, nel caso specifico, come un atto di guerra, ma ritengo che le truppe presenti in Afghanistan siano un argomento di peso per ottenere serie contropartite in termini di diritti civili e sociali. In assenza di ciò la nostra presenza andrebbe rimessa in questione tanto nei modi quanto nei tempi.
Tre ministri, Brunetta, Sacconi e Tremonti, sono in prima linea nella denuncia dei poteri forti. È un fatto che tutti e tre sono approdati al berlusconismo dopo aver transitato nell’area socialista sotto le insegne craxiane.
Rigurgito anticapitalista? Non credo: nella lotta per la supremazia nel capitalismo italiano si sono schierati con il tycoon per eccellenza, Berlusconi. Qui è il punto, semmai. Perché i poteri forti si sono indeboliti. E si preparano a difendersi dalla minaccia più grave, quella rappresentata appunto dal blocco politico, sociale e di potere guidato da Berlusconi.
Le grandi famiglie simbolo per eccellenza del capitalismo tradizionale (pensiamo agli Agnelli), hanno perso peso economico e soprattutto prestigio sociale. Le cause di questa deminutio vanno dall’evasione fiscale alle lotte ereditarie, dagli sbandamenti personali di singoli componenti alla scomparsa di alcune figure di spicco.
Per giunta, nel "salotto buono" di Mediobanca si sono ormai insediati i "nuovi", da Berlusconi a Ligresti. A loro manca soltanto la conquista dei mezzi di informazione, in primis il Corriere della Sera e il Sole 24ore.
Oggi, in tutto questo la Sinistra, compresa l’appendice tendenzialmente centrista del PD, non gioca alcun ruolo di rilievo. Qualche tempo fa il centro-sinistra, a cominciare dall’Ulivo, aveva la benedizione dei "poteri forti", ricambiati con scelte "amichevoli" in politica economica e fiscale.
Giunti sin qui, a poco servono la giaculatorie antisistema della sinistra antagonista: la pregiudiziale anticapitalista denuncia solo il fondamento del male senza indicare tuttavia delle terapie o proposte credibili per uscire dalla crisi. Ma bisognerebbe almeno evitare le trappole più pericolose.
Manca al vecchio establishment italiano la saldatura tra due "poteri forti" (emblematicamente rappresentati oggi dal gruppo di De Benedetti e da certi settori vaticani). Il familismo capitalista e la Chiesa cattolica restano capaci di condizionamento extraparlamentare della politica post-democristiana.
Mentre la sinistra in tutte le sue espressioni -- antagoniste e riformiste -- pur essendo anch'essa un'entità extraparlamentare, è incapace di condizionamento (la politica è il potere di chi non ha potere).
L’UDC di Casini, Buttiglione ecc. rappresenta perciò un pezzo importante della strategia di ricomposizione clerico-capitalista (e scusate il termine ottocentesco).
Ogni politica di alleanza con Casini dovrà assegnargli la leadership, si presume. Ecco un'insidia da non sotovalutare. Perché la sinistra, se non si rinnova affrontando una seria ricostruzione di se stessa, va incontro a ruoli subordinati o di complemento.
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