PERISCOPIO SOCIALISTA
A margine della revisione teorica in corso nel PSE
di Felice Besostri
Le sconfitte elettorali dei partiti del PSE non hanno una spiegazione univoca. Alfred Gusenbauer, già cancelliere socialista austriaco nel biennio 2007-2008, è il presidente del “Next Left”, il programma di ricerca della Foundation for European Progressive Studies (FEPS).
La FEPS raggruppa più di 40 fondazioni e think tanks della UE e le sue attività sono co-finanziate dal Parlamento Europeo.
La Fabian Society, organizzazione collaterale del Labour Party, e la FEPS hanno, quest’anno, editato insieme una pubblicazione dal titolo Europe’s Left in the Crisis. How the next left can respond (“Sinistra d’Europa nella crisi. Come può rispondere la prossima sinistra”).
Già il titolo merita una riflessione. Anzitutto si usa la parola “sinistra” invece che “socialismo democratico”. Ma la riflessione ricorda il famoso libro di Eduard Bernstein I presupposti del Socialismo e i compiti della Socialdemocrazia, pubblicato nel 1899 e che diede l’avvio a uno dei più vasti dibattiti all’interno della cosiddetta Seconda Internazionale, conosciuto appunto come Bernstein-Debatte.
L’espressione “nella crisi” non ha lo stesso significato di “in crisi”, ma di questo in realtà si parla, perché non ci sono ricette per come uscire dalla crisi, ma piuttosto un’attenzione sui valori minacciati dalla crisi e che dovrebbero essere invece preservati.
Ernst Steter, il segretario generale della FEPS, ha presenta la pubblicazione partendo dalle parole pronunciate da Willi Brandt quando si inginocchiò davanti al monumento all’insurrezione del Ghetto di Varsavia: “La pace, come la libertà, non è uno stato originario, che esiste fin dal principio; noi dobbiamo farlo essere nel più vero senso della parola”.
In un’epoca di grande ansia, intensificata da tutta la miseria umana portata dall’ultima crisi economica, i progressisti hanno il dovere storico di ristabilire se stessi come i rappresentanti, democraticamente legittimati, del popolo.
La missione dei progressisti – per Gusenbauer - è di stare dalla parte dell’uguaglianza e dell’equità, della libertà e della solidarietà per porle nel nucleo centrale di un “nuovo contratto sociale”: è necessario restaurare la fiducia in questi valori in tempi difficili, quando sono stati oscurati dalla paura e da un gretto individualismo. Niente da eccepire, ma non basta, se alla denuncia non segue la proposta. È questo il limite anche del documento sulla politica economica uscito dal vertice di Atene del PSE dal titolo “Siamo nelle mani sbagliate”. L’unica proposta è quella della tassazione sulle transazioni finanziarie, che non risolve i problemi del rilancio dell’economia, che non può prescindere dal rilancio di una politica industriale.
Il fattore scatenante della crisi è stato l’emissione di strumenti finanziari fuori da ogni controllo, ma sarebbe sbagliato puntare le critiche soltanto sulle finanze e i finanzieri (cattivi, anzi malvagi) lasciando fuori l’industria e il sistema delle imprese (buono e virtuoso), come pare voler fare il PD con la campagna di manifesti “Uscire dalla Crisi - Fiducia nell’impresa”.
È un dato di fatto che le imprese, specie le grandi corporation multinazionali, non sono state estranee alla finanziarizzazione dell’economia, con la supervalutazione della crescita in borsa rispetto a piani d’investimento pluriennali e in una remunerazione dei manager in base agli stessi criteri dei bonus per gli operatori finanziari.
Infine, non è stata la finanza, ma l’industria a comprimere nell’arco di un ventennio la parte del PIL destinata a stipendi e salari rispetto a profitti e rendite e a delocalizzare con l’unico criterio dei bassi salari, anche quando l’incidenza degli stessi sul prodotto finale diminuiva.
Se a sinistra non si apre un dibattito e un confronto su questi punti non si va da nessuna parte e non si recuperano i consensi perduti.
(1/3. Continua)
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