La pericolosità della manovra di delegittimare Giorgio Napolitano consiste nell'eventualità che il Presidente si dimetta anzitempo nel corso di questa legislatura spianando la strada alla elezione di Berlusconi a Capo dello Stato. In termini tattici ciò aprirebbe in effetti un marasma nell'alleanza di governo. Ma ne varrebbe la pena?
di Felice Besostri
Se il successo di una manifestazione si giudica, oltre che dal numero di partecipanti, dall'impatto mediatico, l'iniziativa dell'IDV di Di Pietro, dei nuovi girotondi e di personalità sparse, ha avuto successo.
Preoccupano certamente le cadute di stile, e l'errore politico di attaccare il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ma non bisogna dimenticare gli attentati allo Stato di diritto ed all'ordinamento costituzionale delle leggi ad personam.
Passato qualche giorno è utile ricordare che nella stessa giornata, in controcanto a Piazza Navona, c'era stata un'altra iniziativa politica, la prima promossa dal Partito Socialista dopo il congresso di Montecatini. S'è trattato di una manifestazione silenziosa di sostegno al Presidente della Repubblica. L'impatto mediato praticamente nullo.
Si capisce che il PD sia in difficoltà. Come diceva il padre Dante: 'chi è causa del suo mal pianga sé stesso'. Il PD ha scelto scientemente di allearsi soltanto con Di Pietro, facendo un calcolo di bottega, perciò anche politico, ma in senso deteriore.
La degenerazione parlamentarista era del resto evidente in tutto lo spettro politico, anche nel centro-sinistra e nella sinistra antagonista. Le previsioni sul numero di voti o parlamentari (ancorché si rivelino poi sbagliate) sono ormai la ragione principale, se non esclusiva, delle scelte elettorali e cioè politiche.
Veltroni si è alleato con Di Pietro per captare voti alla coalizione senza danneggiare la potenzialità di voto del PD. Se, invece, avesse accettato l'apparentamento con una lista a sinistra del PD l'effetto sarebbe stato un risultato complessivo più favorevole alla coalizione, ma a danno dei voti PD. Molti di coloro che ad aprile hanno votato PD sotto il ricatto del "voto utile", avrebbero dato il proprio consenso alla sinistra, per quanto moderata essa fosse.
Ora Di Pietro cerca di capitalizzare, in vista delle elezioni europee lo sdegno antiberlusconiano nell'esclusivo interesse del suo partito anche a costo di indebolire il PD. Senza più il ricatto del voto utile l'aggressività dell'IDV potrebbe essere apprezzata da quella quota dell'elettorato di sinistra, smarrito dalla sconfitta cocente e, aggiungo, irrimediabile della Sinistra Arcobaleno: altro calcolo elettoralistico sbagliato di questa stagione disastrosa.
Il calcolo elettoralistico fa premio su tutto. Di Pietro ha preso le distanze dalle volgari intemperanze di Grillo, ma non potrà rompere perché nella sua strategia non può permettersi che a Grillo venga in mente di presentarsi alle europee con una propria lista.
La pericolosità della manovra di delegittimare Giorgio Napolitano consiste nell'eventualità che il Presidente si dimetta anzitempo nel corso di questa legislatura spianando la strada alla elezione di Berlusconi a Capo dello Stato.
In termini tattici ciò aprirebbe in effetti un marasma nell'alleanza di governo. Ma ne varrebbe la pena?
Centro-sinistra e sinistra hanno bisogno di ridefinirsi, di elaborare programmi alternativi a quelli della maggioranza: non di cadere nella manovra politicista di giocare sulle contraddizioni latenti nel PdL e su quelle più visibili tra PdL e Lega Nord.
I socialisti sono riusciti a chiudere il loro Congresso con una parvenza di unità. Hanno fatto bene a sostenere il Presidente della Repubblica, ma hanno sbagliato a dare un avallo preventivo alla legge sull'immunità temporanea delle massime cariche dello Stato con legge ordinaria.
Senza modifica della Costituzione il 'lodo Alfano' è a rischio di incostituzionalità, come ritiene la grande maggioranza dei giuspubblicisti.
Sinistra Democratica è ancora alla ricerca di un ubi consistam tra il socialismo europeo e le sirene dell'unità della sinistra.
Rifondazione Comunista è sull'orlo di una scissione o, nel migliore dei casi, di una crisi di nervi: comunque il revisionismo bertinottiano ha cessato di essere un fattore propulsivo.
Ad ogni piè sospinto ci sono elezioni, mentre una pausa di riflessione politica e teorica sarebbe necessaria senza l'incubo del risultato elettorale. Il punto è quello della attualità del socialismo nel XXI secolo: le condizioni oggettive ci sono ma quelle soggettive latitano.