Come si presenterà il PD alle europee? Tre gli scenari più gettonati: 1) Un patto federativo PD-PSE, 2) Sottoscrizione del manifesto eurosocialista da parte di esponenti diessini del PD e 3) Rottura tra PD e PSE. Tra pochi giorni sapremo quale via per Strasburgo imboccherà il partito di Veltroni, Rutelli, D'Alema e Fassino. Resta comunque sul tavolo il problema di quale assetto debba assumere il PSE come maggior espressione del socialismo democratico e laburista nel nostro continente.
di Felice Besostri
Ancora pochi giorni e sapremo come intende presentarsi il PD alle prossime elezioni europee. Tre sono gli scenari:1) la proposta di un patto federativo PD-PSE, 2) la sottoscrizione del programma-manifesto del PSE da parte di (autorevoli) esponenti del PD di provenienza DS e 3) la rottura tra PD e PSE. Se questo per l'Italia è la questione più rilevante, non dobbiamo dimenticare che anche le formazioni di sinistra devono chiarire quali rapporti intendano sviluppare con il socialismo europeo, di cui il PSE è la maggiore espressione.
Nelle varie proposte in campo, compresa quella di SD, il tema è evitato. Allo stato soltanto una formazione della sinistra è inequivocabilmente vincolata al PSE: il Partito Socialista. Una presenza del PSE in Italia dello 0,9% è a prima vista una debolezza del socialismo europeo, ma ancor di più è una debolezza della sinistra italiana, tagliata fuori dal maggior campo delle forze progressiste e di sinistra europee.
La debolezza della sinistra italiana è strutturale, poiché è dal secondo dopoguerra l'unica sinistra in Europa senza vocazione maggioritaria. Vocazione maggioritaria significa essere in grado di conquistare una maggioranza parlamentare sulla base della quale realizzare un proprio programma e di indicare un proprio esponente alla guida del governo. Le ragioni sono molteplici, compresa la divisione dell'Europa al tempo della guerra fredda e del confronto Usa-Urss, ma sopratutto sono interne alla sinistra e sostanzialmente derivanti dal fatto che l'Italia è l'unico paese d'Europa nel quale la divisione tra socialisti e comunisti ha avuto un peso politico anche dopo il venir meno delle ragioni ideologiche, che la hanno prodotta negli anni venti del secolo scorso. Nei paesi dell'Europa occidentale i partiti socialisti sono chiaramente egemoni a sinistra: una egemonia conquistata grazie al consenso elettorale in sistemi democratici.
In Europa orientale l'egemonia comunista era stata conquistata con le unificazioni forzate in Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia e Germania orientale. Tuttavia in Europa orientale la situazione si è modificata con il crollo del sistema sovietico. Ora, in quei paesi, c'è un partito egemone a sinistra, capace di giungere al potere in libere elezioni. Questi partiti aderenti in maggioranza al PSE ed all'Internazionale Socialista sono sostanzialmente derivati dalla trasformazione dei partiti comunisti con un apporto minoritario dell'esilio socialdemocratico. Dunque l'irriducibilità dell'antitesi tra comunismo e socialismo è una caratteristica solo italiana. Qui non interessa stabilire di chi sia la responsabilità, ciascuno ha la sua opinione, ma focalizzare l'attenzione su punto principale: è superabile? È necessario superarla? La mia convinzione è che sia possibile, ma soprattutto necessario, se vogliamo costruire anche in Italia una sinistra a vocazione maggioritaria. Questo è un compito prioritario per rispondere alle esigenze che emergono dalla società ed alle sfide della globalizzazione, aggravate dalla crisi dei mercati finanziari.
La prima base di intesa deve partire dalla risposta alla domanda, se ci sia tuttora un'attualità del socialismo in questo XXI^ secolo. Parlare di attualità del socialismo significa pensare che una società diversa da quella esistente sia non solo auspicabile, ma anche possibile. Significa porsi il problema della costruzione di un ordine democratico sovranazionale, come nuova dimensione dell'internazionalismo. E' vero che il movimento operaio ha realizzato le sue maggiori conquiste democratiche, economiche e sociali nell'ambito dello stato nazionale, tuttavia dovrebbe essere chiaro che la dimensione dello stato nazionale è inadeguata ad affrontare i problemi planetari. La costruzione di una dimensione sovranazionale pone, però, una sfida, quella di mantenere un ordinamento democratico e non di privilegiare soluzioni burocratiche e tecnocratiche, soggette alle pressioni dei gruppi di interesse.
Se questa è la sfida quale è la massa critica per realizzare gli obiettivi di una società più libera e più giusta? L'unione di tutte le forze progressiste e di sinistra, quindi, in Europa raccogliersi nell'ambito del socialismo europeo. Il socialismo europeo è un concetto più vasto del PSE, cioè di una determinata formazione organizzativa, che, sia detto con chiarezza, è inadeguata. Il PSE non è un partito sovranazionale o transnazionale, bensì una confederazione di partiti nazionali, anzi dei gruppi dirigenti dei partiti socialisti, socialdemocratici o laburisti nazionali. Quando i partiti del PSE detenevano ben 12 primi ministri su 15 paesi dell'Unione Europea, nessuno si è accorto che ci fosse una nuova fase in Europa, anzi è più facile che i partiti socialisti uniscano o quanto meno coordinino il loro agire quando sono all'opposizione. Se sono al potere prevalgono invece i contingenti interessi nazional-statuali.
La battaglia per condurre la maggioranza della sinistra italiana nell'alveo del socialismo europeo è quindi da fare su due fronti: quello interno alla sinistra per il suo rinnovamento/ aggiornamento e quello nei confronti del PSE per una sua riforma, il cui primo tassello è costituito dalla possibilità di aderire individualmente e direttamente, cioè senza passare dall'iscrizione ad uno dei partiti nazionali, membri del PSE.
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