martedì 20 settembre 2011

RITORNO A VOLPEDO CON SINDACO

PERISCOPIO SOCIALISTA  

 

Quarto Convegno annuale del Gruppo di Volpedo

di Felice Besostri

 

Il Gruppo di Volpedo, rete dei circoli socialisti e libertari del Nord Ovest d'Italia, organizza il suo Quarto Convegno annuale nella cittadina natale del pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo, autore di quadri icona, universalmente noti, del movimento operaio e socialista Il Quarto Stato e la Fiumana .

     Il primo convegno si tenne a Galliate, mentre il secondo e il terzo a Volpedo, dove ha sede il gruppo che è stato fondato su due documenti l'APPELLO  e il MANIFESTO di VOLPEDO. Al centro dei convegni vi è sempre un argomento internazionale rilevante per il socialismo come il programma di Bad Godesberg della socialdemocrazia tedesca nel 2009 e il congresso di Epinay dei socialisti francesi nel 2010, mai come celebrazione storica, ma come insegnamento da attualizzare nella ricerca di risposta ai problemi dell'umanità.

    Quest'anno sarà il Risveglio democratico del Nord Africa , con relatori Pia Locatelli, presidente della Internazionale delle Donne Socialiste e Farid Adli, esule libico e direttore di Anbamed .

    Quando si è scelto il tema non si potevano immaginare i tragici sviluppi della Libia. La ragione era la valorizzazione di una mobilitazione popolare di massa che coinvolgeva i giovani, uomini e donne, molto spesso con formazione universitaria. Lo stesso segmento che è stato protagonista degli "indignados" spagnoli o della rivolta studentesca cilena, delle proteste di Tel Aviv e delle vittorie amministrative e referendarie italiane.

 

La mondializzazione ha dato ovunque vita a nuove forme del lavoro, scomposto le classi tradizionali e la stessa distinzione tra lavoro dipendente ed autonomo (una "partita Iva" che lavori per un solo cliente è un lavoratore autonomo?)

    Il tema del primo dibattito riguarda questi processi in Italia, ma con occhio di riguardo alle esperienze europee. In questi tempi di crisi globale il Gruppo di Volpedo ha voluto privilegiare un'angolatura particolare con  il secondo dibattito "Rifondare l'economia a partire dai territori". Gli enti locali dovrebbero essere un fattore di sviluppo, invece la manovra del governo colpisce proprio gli enti locali dai comuni alle regioni, passando per le province, che dovrebbero addirittura essere abolite (in realtà sostituite da altri enti intermedi, che esistono in tutta Europa dai dipartimenti in Francia ai Bezirk in Germania, alle Contee in Gran Bretagna e le Province in Spagna).

    Volutamente per ultima ho lasciato la prima manifestazione di questo Quarto Convegno: che è insieme un segno di continuità  con il passato e di speranza futura. Giuliano Pisapia ha partecipato al terzo convegno di Volpedo l'11 di settembre 2010 con un discorso in cui ha preannunciato le linee della sua candidatura alle primarie di Milano. Il suo riferimento alle tradizioni amministrative socialiste milanesi è stato chiaro da Caldara  a Filippetti fino ad Aniasi e Tognoli passando per Antonio Greppi, forse la figura a lui più congeniale di socialista credente.  Pisapia allora ha richiamato le grandi amministrazioni europee a guida socialista di Berlino e Parigi. Quest'anno ha voluto ritornare da Sindaco eletto con una grande maggioranza e segno che la sinistra per vincere non deve omologarsi al centro, ma essere se stessa  in modo aperto e non settario.

    La sfida non è facile, ma noi del Gruppo di Volpedo siamo sempre più convinti che l'alternativa è tra socialismo o barbarie, come si legge nell'intestazione del Manifesto di Volpedo.

    Nello sguardo dei protagonisti della Fiumana/Quarto Stato si mescolano determinazione e serenità. Non è un caso che l'icona sia stata ripresa da chi pone l'attenzione sulle nuove professioni, il cosiddetto Quinto Stato del terziario avanzato o il Nuovo proletariato dei precari e dei lavoratori immigrati: i contadini di Volpedo sono sostituiti da nuove figure. Ma animati dalle stesse passioni e convincimenti di libertà, eguaglianza e giustizia.

lunedì 12 settembre 2011

Imparare dai knock out

PERISCOPIO SOCIALISTA 2  

 

La Merkel al tramonto, spettacolare successo socialdemocratico.

La SPD torna al 35% (alle europee 2009 era al 17%)

 

di Felice Besostri

 

Dal trionfo alle elezioni federali del 2009 la coalizione CDU-FDP ha registrato soltanto sconfitte alle elezioni regionali, con l'eccezione della Sassonia Anhalt. Le sconfitte non si sono tutte tradotte in una estromissione della CDU dal governo dei Laender, poiché in Turingia e nella Saar, dove erano possibili maggioranze rosso-rosso-verdi, la SPD ha preferito, rispettivamente, una grande coalizione con la CDU e i Verdi un'alleanza con CDU e FDP.

    Il Meklenburg è il più povero Land della Germania, dove la socialdemocrazia è sempre stato il partito più forte dopo l'unificazione, ma con una PDS prima e Linke poi, terzo partito, con percentuali superiori al 15%. I risultati del Secondo voto, quello proporzionale, non lasciano dubbi rispetto alle precedenti elezioni del 2006: SPD 35,7% (+5,5), CDU 23,1% (-5,7), LINKE 18,4% (+1,1), VERDI 8,4% (+5) NDP 6% (-1,3), FDP 2,7% (-6,9). I liberali escono dal Landtag, dove erano entrati nel 2006, mentre entrano i VERDI, che ne erano esclusi. Il partito di estrema destra NDP supera lo sbarramento e resta nella Assemblea dove era entrato in forza nel 2006, nel 2002 aveva un misero 0,8%.

    Spettacolare il recupero della SPD non tanto rispetto al 2006, ma all'anno orribile 2009 con il 16,7% alle Europee e il 16,6% alle federali. Di converso la Linke migliora rispetto al suo zoccolo duro 16,4% della PDS nel 2002 e 16,8% del 2006, resta lontana dal 29% delle Federali 2009, tutto guadagnato a spese della SPD.

    Questo sarà il tema decisivo del dopo elezioni perché nel Meklenburg SPD e PDS avevano governato nel 2002-2006 con una maggioranza del 57%, ma dopo le elezioni 2006 con i 2 partiti al 47% la SPD aveva preferito allearsi con la CDU. Sulla carta ci sono tre maggioranze possibili una riedizione dl governo uscente, una maggioranza rossa-rossa con una maggioranza del 54,1% o addirittura rosso-rosso-verde con 62,5%. La chiave in mano ce l'ha la SPD e in parte dipenderà da scelte nazionali, se cioè punta a nuove elezioni ovvero a fare una riedizione della Grosse Koalition, ma anche dalle prossime elezioni di Berlino dove SPS sono alleate, come nel Brandeburgo, ma con i Verdi in crescita.

    I rapporti tra Linke e Verdi sono pessimi in generale. Tuttavia un insegnamento si può trarre dalla Germania, che non è quello di santificazione della Link in funzione anti-socialdemocratica, ma del superamento di diffidenze antiche (DDR e unificazione forzata nella SED di comunisti e socialdemocratici) e recenti (scissione di Lafontaine). Se l'espansione dei 2 partiti avviene a spese dell'altro abbiamo una sinistra perdente nel 2006 SPD e Linke non raggiungevano il 50% e nello stesso Land nel 2009 in base alle elezioni federali la sinistra raggiungeva appena il 45%, mentre ora supera il 54%.

    Bene, ma ci sono elementi di preoccupazione in quanto la partecipazione elettorale è scesa del 59,1% del 2006 al 51,4% e sia la SPD (-7.567 voti) che la LINKE (-13.751) hanno perso voti in assoluto. Se la dinamica unitaria dovesse proseguire e i risultati di Berlino saranno decisivi ci sarebbe la prova che la sinistra ha la possibilità di vincere e questa possibilità sarebbe maggiore con una complessiva interlocuzione con il socialismo europeo. In Italia manca un partito a sinistra dell'asse mediano del PD, in grado di impedire le rinascenti tentazioni centriste.

Questo scandalo deve finire

PERISCOPIO SOCIALISTA 1

 

Appello per l' Avanti! - Antonio Ghirelli, Ugo Intini, Giovanni Pieraccini e Roberto Villetti - in diverse epoche direttori dell' Avanti! - hanno lanciato un appello, che qui riportiamo.

 

In questi giorni l'Avanti! è tornato all'onore delle cronache. Non sempre, però, l'onore delle cronache corrisponde all'onore di una testata. Non in questo caso, dato il contesto ambiguo in cui di essa si è parlato.

    La testata Avanti! è indissolubilmente legata, nella buona e nella cattiva sorte, alla storia del partito socialista. Perfino Benito Mussolini, uno dei suoi direttori più popolari, quando si trovò in dissenso con la linea del partito sentì il dovere di fondare un altro giornale.

    Alla storia del partito socialista, e della sua cattiva sorte, è legata anche la grottesca vicenda per cui oggi, accanto ad un settimanale che si chiama Avanti! della domenica e che è l'organo ufficiale del Partito socialista italiano, viene contemporaneamente pubblicato un quotidiano che si chiama "L'Avanti!", diretto da Valter Lavitola, entrambi con la stessa grafica adottata dal giornale socialista fin dal 1896.

    Noi non sappiamo perchè coloro che hanno l'obbligo di tutelare un'antica e gloriosa testata non lo abbiano finora fatto, né ci interessano i cavilli che eventualmente giustificano questa incredibile inerzia.

    Sappiamo però che questo scandalo deve finire, e ci rivolgiamo a tutti coloro che ne hanno titolo perchè operino a questo fine, impegnandoci da parte nostra ad assumere in ogni sede tutte le iniziative al riguardo.

 

Hanno tra gli altri aderito all'appello: il presidente della Fondazione Pietro Nenni , Giuseppe Tamburrano; il direttore di mondoperaio , Luigi Covatta; il direttore de Le ragioni del socialismo , Emanuele Macaluso; il presidente della Fondazione socialismo Gennaro Acquaviva; il presidente della Fondazione Giuseppe Di Vagno Gianvito Mastroleo.

 

lunedì 5 settembre 2011

Impronunciabile socialismo

In Italia, paese dell'ostracismo permanente verso i socialisti, c'è gente "di sinistra" che in nome dell'antisocialismo preferisce Rosi Bindi a Susanna Camusso. De gustibus.

di Giuseppe Giudice

Non c'è dubbio che gli atteggiamenti di coloro che pretendono di considerarsi socialisti stando nel PDL nonché gli ectoplasmatici come Nencini, finiscono per alimentare certe campagne denigratorie. Ma certo questo non basta a spiegare gli atteggiamenti che negano di fatto alla tradizione socialista il suo naturale diritto di cittadinanza nella sinistra italiana (e questa negazione è certo una delle cause della rovina della sinistra stessa).

    Iniziamo con il dire che nel centro-destra non ci sono solo i Cicchitto, Brunetta, Sacconi, quali ex rappresentanti della sinistra che hanno saltato il fosso. Quanti di loro provengono dalla più generale area comunista? Tiziana Maiolo (ex Manifesto), Sandro Bondi (ex PCI), Gaetano Pecorella (ex Rifondazione), Giuliano Ferrara (ex PCI, ma anche ex PSI), ecc.

    Perché allora prendersela con i socialisti? Ci sono tanti importanti esponenti del Psi che sono rimasti a sinistra (sia pur in una pessima sinistra): Spini, Ruffolo, Aniasi, Vittorelli, Arfè, Amato, Formica, Signorile, nonché i due ultimi segretari della CGIL: Guglielmo Epifani e Susanna Camusso.

    Fatto è che la Seconda Repubblica, per rifare una verginità ai democristiani confluiti nella Margherita, doveva addossare a Craxi ed ai socialisti tutto il peso delle degenerazioni della Prima Repubblica. Ora, che Craxi avesse le sue responsabilità e le sue colpe, così come il gruppo dirigente socialista, è fuor di dubbio. Ma che queste responsabilità coinvolgessero largamente il gruppo dirigente della DC da Forlani a De Mita a Prodi è fuor di dubbio. Così come il consociativismo (che è durato per tutti gli anni 80) coinvolgeva anche il PCI.

    Considerando che la Seconda Repubblica si è rivelata ben peggiore della peggior Prima Repubblica, bisogna di far sì che la tradizione del socialismo italiano (quella migliore) ritorni pienamente ad essere parte integrante e fondante della sinistra di domani.

    Per fare questo occorre però combattere una seria battaglia politica e culturale, all'interno del centrosinistra, verso coloro che hanno sempre opposto una resistenza, sia pur surrettizia, alla piena rivalutazione della tradizione e della cultura socialista.

   Gli ex Psi che hanno fatto una scelta di destra si commentano da soli. Ma non possono essere presi a pretesto per impedire alla sinistra di guarire dai suoi antichi mali.

giovedì 18 agosto 2011

PROPOSTE PER LA TRASPARENZA

Se "la democrazia è il governo dei poteri visibili" (Ruffini) il problema non è "chi" prende le decisioni, ma "perché".

Particolarmente spinosa è la questione delle nomine agli enti pubblici e nelle istituzioni.

 

di Felice Besostri

  

Le nomine discrezionali sia di organi monocratici che collegiali sono un capitolo dove si annida di tutto, da quello che i francesi chiamano traffico di influenza, al familismo, al clientelismo, fino alla corruzione.

 

Le nomine non hanno bisogno di motivazione e quelle di carattere politico al massimo grado. Il problema riguarda anche le nomine in organi di rilevanza costituzionale, che avvengono in assenza di quel minimo di trasparenza, che è la candidatura entro un termine prefissato.

 

Per alcune nomine non è neppure noto, cioè pubblico, che vi sia un termine. Faccio degli esempi a caso come i membri del CNEL di competenza del Presidente della Repubblica. La stessa elezione dei componenti del CSM o della Corte Costituzionale di competenza del Parlamento avvengono in assenza di candidature.

 

Scherzando mi son chiesto che cosa sarebbe successo se un omonimo dell'"eletto" in possesso dei requisiti di legge rivendicasse l'elezione.

 

Nella tornata che ha eletto Ciampi mi ero divertito a trovare quanti Nicola Mancino, ci fossero: ne trovai quattro, di cui solo uno non aveva i requisiti di età. Carlo Azeglio Ciampi, non aveva concorrenti, bastava scrivere il nome per intero.

 

La vicenda Bisignani ha messo in luce il lato oscuro delle nomine. Si può rimediare? Penso di sì: basterebbe una legge di un paio di articoli, max. tre. Tuttavia perché inciderebbe sul potere, non sarebbe mai approvata.

 

Art. 1) nessuna nomina può essere fatta in assenza della previa pubblicazione del termine entro il quale deve essere fatta e del termine entro il quale si deve manifestare la candidatura alla nomina

 

Art. 2) nessuno può essere nominato se non ha manifestato l'interesse alla nomina

 

Proprio se si vuol esagerare nella trasparenza si può prevedere

 

Art. 3) ogni manifestazione d'interesse deve essere accompagnata da un curriculum vitae, da un certificato penale e dei carichi pendenti e dall'indicazione di referenze nel numero minimo di X e massimo di Y persone, che attestino di conoscere personalmente il candidato, che è persona stimabile e competente.

 

Nella Cina imperiale chi nominava o raccomandava un candidato ad una funzione pubblica rispondeva personalmente e penalmente del suo comportamento. In Arabia Saudita non c'è distinzione tra corrotto e corruttore: decapitazione per entrambi. Tuttavia, le norme severissime hanno spesso l'effetto contrario. Poiché nelle grandi corruzioni il corrotto è di norma un membro della famiglia reale, il tutto si traduce in un'impunità per i corruttori e nessuno osa denunciare di essere stato concusso.

 

A mio avviso basta il controllo dell'opinione pubblica su chi fornisce attestazioni e referenze. La conoscenza anticipata delle candidature consente un controllo sulle stesse, ma è anche vero che si presta ad azioni delle macchine di fango, ma non si può avere la botte piena e ubriacarsi (il proverbio originale è da evitare in quanto politicamente non corretto). Questa trasparenza costringe a metterci la faccia e di perderla in caso di mancata nomina, ma anche il nominatore si assume la responsabilità di scelta.

 

Aleksandr Zinoviev, nel suo celebre Cime abissali, mettendo a nudo i meccanismi di funzionamento del socialismo realmente esistente, poneva la seguente questione, di un qualche interesse anche al di là dei confini spazio-temporali dell'URSS: Se il Segretario Generale del Partito deve nominare il Direttore dell'Istituto di Fisica e deve scegliere tra Einstein e Stupidov chi nominerà?

 

Sceglierà Stupidov, perché Einstein potrebbe pensare di essere stato nominato in forza delle sue competenze e perciò non avrà alcuna riconoscenza verso il Segretario, né gli mostrerà fedeltà incondizionata, a differenza di Stupidov.

 

La regola di Zinoviev appare di universale applicazione, ma

nulla impedisce che un Comune adotti norme regolamentari nella giusta direzione.

 

lunedì 20 giugno 2011

Oggi in Spagna domani in Europa

"Oggi in Spagna, domani in Europa" – parafrasare una famosa frase di Carlo Rosselli nel settanquattresimo anniversario dell'uccisione avvenuta il 9 giugno del 1937, insieme al fratello, può servire a ricordare che chi si batte per la libertà, si batte per la libertà di tutti. E che i destini dei paesi europei sono tra loro collegati. Una svolta necessaria nei rapporti a sinistra in Europa.



di Felice Besostri



Nelle elezioni spagnole del 22 maggio 2011 era evidente a tutti la vittoria del PP sul PSOE, sconfitto anche in Catalogna da CiU e nel Paese Basco da BILDU, cioè da formazioni nazionaliste.


La vittoria del PP, a spese dell'intera sinistra perché a Cordoba ha strappato il Municipio a IU, poteva essere contenuta se PSOE e IU avessero concluso degli accordi di coalizione nei Municipi (Ayuntamentos) dove nessun partito avesse raggiunto in solitario la maggioranza assoluta.


Per assicurare il governo dei Municipi la legge spagnola prevede, che in caso di mancati accordi di coalizione, il Sindaco e l'esecutivo spettino automaticamente al partito di maggioranza relativa.


Il giorno ultimo per la formazione di coalizioni era lo scorso 11 giugno.


Ebbene, grazie al fatto che IU ha negato la coalizione con il PSOE in 60 Municipi dei 282 in cui l'accordo era possibile, ha fatto del PP il Partito con il più forte potere municipale della storia della Spagna democratica. Nemmeno il PSOE di Felipe Gonzales con la maggioranza assoluta in Parlamento ha controllato così tanti Municipi.


Ora il PP governa in 34 dei 50 capoluoghi di provincia ed il PSOE solo 9. In 2 provincie c'è un ricorso elettorale pendente e le altre 5 vanno tutte a formazioni regionali in Galizia (BNG), nel Paese Basco (PNU e Bildu), Navarra (UPN) e nelle Canarie (CC).


Il PP governa 89 delle 147 città con più di 500.000 abitanti, ma soprattutto è riuscito a concludere accordi con CiU in Catalogna e con la conquista di tutte le capitali provinciali di Andalusia pone le premesse per una affermazione in quella regione, che con la Catalogna elegge il maggior numero di parlamentari.


Un rapporto con CiU sarà decisivo nel caso che il PP non conseguisse la maggioranza assoluta nelle politiche del 2012.


Nel 2007 PSOE e IU fecero un accordo globale di reciproco sostegno, questa volta no, perché IU ha lasciato libertà di decisione alle organizzazioni locali. La ragione ufficiale è stata annunciata dal segretario Lara, per la quale "non sarebbero stati corresponsabili dell'affondamento del Titanic". In realtà sono tali e tante le divisioni interne ad IU, che un'indicazione centrale le avrebbe rese ancora più palesi.


La politica economica del PSOE e in particolare le misure di austerità non erano certo popolari tra i militanti di IU e l'egemonismo del PSOE ha spesso creato tensioni a livello locale.


Tanto peggio tanto meglio devono avere pensato in IU.


Alcune formazioni a sinistra del partito socialista pensano che la loro crescita dipenda solo dalla perdita di voti socialisti verso di loro.


Ebbene la Spagna ha confermato quanto è già avvenuto in Francia, Germania e Portogallo: le perdite socialiste vanno in minima parte alle formazioni alla loro sinistra. In tutti i casi la somma dei voti delle formazioni di sinistra è spesso inferiore ai soli voti socialisti.


Nei paesi mediterranei non c'è la disciplina repubblicana dei francesi o il rigore scandinavo, per cui un partito di sinistra, che unisse i voti a quelli di destra o "borghesi" (nelle lande socialdemocratiche si usa ancora questo aggettivo per designare la destra) sarebbe squalificato dal suo elettorato.


Il tatticismo o la vendetta contro l'egemonismo socialista ricorda nella storia passata soltanto la suicida strategia del PC tedesco, per cui a fronte del nazismo montato il nemico principale era la SPD.


Pericolo fascista come tra le due guerre non c'è: ora il Mostro è Mite come ci ha insegnato Simone.


Tuttavia la sinistra è chiamata a decidere se lascia passare le distruzione del welfare state, i tagli indiscriminati alla spesa pubblica e una politica economica, che crea disoccupazione senza prospettive di rilancio: il peso dei guasti della finanza globale e delle speculazioni avventurose delle banche è tutto scaricato sulle spalle dei cittadini, invece che dei finanzieri e dei manager, oltre che dei governanti. Soltanto l'Islanda ha convenuto in giudizio il Primo Ministro conservatore, che ha consentito che le banche si indebitassero per somme superiori a 5 volte l'intero PIL dell'isola atlantica.


Senza un'intesa delle forze di sinistra con quelle ambientaliste non c'è speranza di rovesciare le tendenze politiche delle elezioni degli ultimi 3/4 anni.


Gli elettori provenienti dagli strati popolari si astengono progressivamente dal processo elettorale, quando non cadono nelle tentazioni populiste di una destra xenofoba, dal Belgio alla Francia, dall'Italia (Lega Nord) alla Finlandia.


Una visione europea richiede la formazione di Partiti Europei, né il PSE, né la GUE lo sono. Questo è il momento di porre un confronto a tutto campo. L'adesione al PSE non è un fatto burocratico, ma la premessa per porre con forza la sua trasformazione di un partito europeo sovranazionale.


Il risultato finale delle elezioni municipali spagnole impone un cambio di strategia politica al PSOE, che ha beneficiato della legge elettorale a danno di altre formazioni alla sua sinistra.


La legge elettorale spagnola distribuendo i seggi su base provinciale con il Metodo d'Hondt non produce resti da recuperare a livello regionale o nazionale, sono quindi favoriti i partiti nazionali più forti e quelli ad impianto regionale.


Tale scelta aveva un senso fino a quando il PP era percepito come l'erede del centralismo franchista: i nazionalisti catalani e baschi mai si sarebbero alleati con i popolari.


La situazione è cambiata, l'affiliazione europea nel PPE la comunanza centrista conservatrice e la base sociale di popolari e nazional/regionalisti fa aggio sulle antiche differenze tra centralisti e federalisti/separatisti per quanto riguarda i movimenti catalani e baschi storici.


Molte delle nuove formazioni regionaliste (UPN, CC, BNG) sono espressioni localiste quando non personaliste come Cascos nelle Asturie e, perciò, disponibili ad allearsi a destra e a manca pur di conservare il potere.


Finite alleanze tradizionali con formazioni regionaliste nelle Comunità Autonome e nel Parlamento la prospettiva socialista di riconquistare il governo dipende da una dinamica nuova a sinistra, compare una traduzione politica del movimento degli "indignados" del 15-M.


Hanno avuto una grande risonanza mediatica, si è giunti a paragonarli ai moti della gioventù nord-africana. Non sono scomparsi e hanno manifestato in numero ridotto contro le nuove amministrazioni di destra. È un fatto che non hanno impedito, anzi forse oggettivamente favorito, una affermazione della destra senza confronti con il passato.


Tuttavia sarebbe un errore da loro la colpa, come ai "grillini" di aver preso il Piemonte e di aver mandato al ballottaggio roccaforti rosse della Romagna.


Dove la sinistra, come a Milano, Napoli e Cagliari è stata capace di interpretare la voglia di nuovo, il peso dei "grillini" è stato ridotto.


Aria fresca e gruppi dirigenti espressione della società e non delle oligarchie sono necessari per la sinistra oggi in Spagna e in Italia, domani in Europa.














Poscritto sul debito greco


Tantissimi anni fa, quando a Varsavia esisteva un popoloso quartiere ebraico, Moshele si agitava nel letto tanto da impedire il riposo della moglie: la ragione era seria, l'indomani scadeva l'affitto e Moshele non aveva uno zloty per pagare il maledetto dyre geld. Per avere un'idea del dramma basta aver ascoltato una volta la canzone yiddish con lo stesso titolo. A un certo punto Moshele si alza nel cuore della notte, apre la finestra e grida chiamando per nome il padrone di casa:" Domani non Ti pagherò l'affitto, Ti puoi scordare il dyre geld!". "Perché l'hai fatto?" gli chiede preoccupata la moglie. " Prima non riuscivo a dormire io e non facevo dormire anche Te: ora è lui che non dorme!"


Sostanzialmente è questo che propone Yanis Varoufakis a George Papandreu per uscire dalla crisi del debito greco. Un debito sovrano nel quale il governo socialista del Pasok non ha alcuna responsabilità, ma il governo conservatore precedente con la complicità della solita società di certificazione dei bilanci con sede negli USA e che danno anche il rating sui titoli di Stato. Lanfranco Turci del Network per il Socialismo Europeo e il prof. Sergio Cesaratto dell'Università di Siena hanno, molto opportunamente, segnalato sul Riformista del 12 giugno la "Modesta Proposta" dell'economista greco al Primo Ministro di Atene, che è anche il Presidente dell'Internazionale Socialista. I greci stanno affogando nel debito e senza un nuovo prestito si annuncia il default, ma, anche con un nuovo prestito a condizioni onerose, il default sarà inevitabile e di dimensione maggiore con il rischio di trascinare la BCE, che nel frattempo ha in pancia un volume impressionante di titoli tossici, greci e irlandesi, cui si aggiungeranno presto spagnoli e portoghesi, e, se lasciassimo fare a Berlusconi e Bossi, italiani.


Sono curioso di vedere quali saranno le reazioni della sinistra italiana, in senso largo, perché, pur contro la sua volontà, vi iscrivo anche il PD (d'altronde se ci si vuol intestare la vittoria di Pisapia uno spostamento a sinistra si impone). Il PSI dovrebbe essere il primo partito a far sentire la sua voce, se non altro per solidarietà con il PASOK, partito fratello nel PSE e nell'Internazionale Socialista, ma anche SEL, il nuovo che avanza, e la FdS, pronte tutte e due a solidarizzare con il lavoratori greci in sciopero, contro le misure di austerità imposte dalla BCE e dal FMI. La sinistra in Italia e in Europa è al bivio o accetta la logica monetaria e deflazionista della BCE e dei governi conservatori, perdendo sempre più consensi e facendo giocare i lavoratori tedeschi o finlandesi contro quelli mediterranei, o propone una nuova solidarietà europea. Una volta gli attributi della sovranità erano la diplomazia, le forze armate e la moneta, tutti settori, che erano in mano pubblica, come la giustizia.


Le forze armate sono integrate nella Nato, che decide dove e quando intervenire all'estero, con ONU o senza ONU, la moneta è controllata dalla BCE, la diplomazia è sempre più asservita agli interessi commerciali e ora, con la conciliazione obbligatoria, è iniziata la privatizzazione della giustizia . . .


Se, un giorno, la sinistra vorrà proporsi alla guida del paese con suoi programmi e candidati, dovrà compiere scelte nette.


O ridà sovranità allo Stato nazionale, l'unica entità sempre legittimata da elezioni democratiche.


O propone di trasformare l'Unione Europea in uno Stato federale e perciò con una sua politica estera e di sicurezza, una sua moneta con una sua politica economica e un governo responsabile di fronte a un Parlamento bicamerale.


La seconda soluzione per chi sia imbevuto delle idee di Spinelli, Colorni, Silone e Spaak è quella auspicabile.


mercoledì 8 giugno 2011

Espiazione a Milano

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PERISCOPIO SOCIALISTA 

 

di Felice Besostri

 

"Espiazione socialista", così si intitolava un bel libro del compagno Guido Mazzali che mi torna in mente in questi giorni. Non aveva nulla a che vedere con i fatti successivi al 1992, anche se è proprio in rapporto a quelli che, dopo la vittoria di Pisapia, sentiamo compiersi l'espiazione e allentarsi la damnatio memoriae dei socialisti a Milano.

    Damnatio memoriae: una punizione dell'antica Roma che consisteva nella cancellazione di ogni ricordo. Questo c'è stato, e anche execratio, quasi che i socialisti dovessero vedersi associati per l'eternità alle malefatte di alcuni fra loro e non certo di tutti.

    Non che i socialisti stessi non abbiano dato il loro contributo, alcuni passando reattivamente nell'area del centro-destra, altri coltivando risentimenti verso tutto e tutti, eterne vittime di oscuri complotti e mai anche spettatori, quanto meno spettatori, negli avvenimenti che travolsero il Psi.

    In un modo o nell'altro, i socialisti di allora non seppero evitare che si spezzasse il legame con una città pur diventata grande anche grazie al PSI; non solo grazie a Turati e Kuliscioff, ma anche a Moise', Loria, Caldara e Filippetti o, dopo la seconda guerra mondiale, grazie a Greppi, Aniasi e Tognoli, senza dimenticare il filone socialdemocratico dei Ferrari e dei Cassinis.

    Né si può dimenticare l'esperienza del Club Turati, perché uno dei protagonisti dell'incontro tra socialisti e cattolici che in esso ebbe luogo, Piero Bassetti, è tornato oggi perentoriamente alla ribalta, a fianco di Pisapia, dando vita a quel raccordo con la Milano delle professioni, dell'intellettualità e dell'impreditoria, che è stata una delle componenti del successo di questi giorni.

    Di fronte alla candidatura di Giuliano Pisapia molti, troppi (e tra loro purtroppo anche alcuni socialisti) hanno inizialmente creduto di poter usare formule liquidatorie come se vi si esprimesse non un melting pot tra esigenze popolari e innovazione sociale, ma solo una sinistra estremista e velleitaria. Eppure proprio Milano sotto l'impulso del socialismo riformista nel tornante tra il XIX e il XX secolo era stata capace di realizzare quel melting pot tra esigenze popolari ("i poveri non possono aspettare") e progetti di innovazione sociale e sviluppo economico. Critica Sociale ha ricordato come nel 1906 l'Expo a Milano, che rischiava (come quella del 2015) di fallire a causa dell'incapacità della destra, fu salvata da una sottoscrizione popolare promossa da Turati.

    Così, una nuova prospettiva politica, paragonabile a quella di cui i socialisti furono protagonisti, prima del fascismo e nel secondo dopoguerra, non poteva che fondarsi sullo spirito delle origini. Nel 1892 il nascente partito seppe interpellare tutta la sinistra, compresa quella ideologicamente più lontana.

    Operazioni di questo respiro presuppongono il superamento di quel reducismo formatosi dopo il 1993, quando i socialisti milanesi invece di ricominciare a progettare la loro città rimasero in attesa delle autocritiche altrui, tutte da cassare con estrema severità e nessuna indulgenza.

    C'è un tempo per ogni cosa c'è un tempo per l'identità e un tempo per la collaborazione con i nuovi filoni emergenti dalla società, come il femminismo, l'ambientalismo e il pacifismo, tutt'altro estranei per altro alla storia del PSI.

    Soltanto i circoli del Gruppo di Volpedo hanno sostenuto Giuliano Pisapia fin dall'inizio, cogliendo l'occasione offerta loro da una candidatura le cui linee guida furono esposte nel paese natale di Pellizza, in un luogo simbolicamente socialista come la piazza Quarto Stato.

    Dopo la vittoria conseguita alle primarie sul candidato del PD l'appoggio a Pisapia è stato espresso con l'endorsment del PSI e l'adesione di qualificati esponenti socialisti al "Comitato per il 51" promosso da Piero Bassetti, con la regia del socialista senza tessere Stefano Rolando.

    I problemi della presenza socialista – nel dibattito programmatico e nelle conseguenti scelte politiche da compiere, come pure nell'assetto gestionale – non sono risolti. Ma c'è un nuovo clima.

    La rivalutazione delle esperienze amministrative a guida socialista è evidente. La storia politica di Milano è costellata di giunte di sinistra, anticipatrici di una stagione che… poi non c'è mai stata. Esattamente di questa mancanza la sinistra italiana tuttora soffre.

 
P.S.: Quasi tutti i giornali hanno intitolato: "Milano, vince Pisapia", "Napoli, trionfa De Magistris". Infatti chi prende il 55% ha 10 punti percentuali meno di chi conquista il 65%. Questi confronti mi fanno venire in mente una battuta del sempre brillante, ma da troppo tempo sprecato, Giuliano Amato: "Se siamo in tre in una stanza e uno se ne esce, fa più effetto dire che se ne è andato il 33,33%". La percentuale dei voti senza conoscere quella dei votanti significa poco, infatti il 55% di Pisapia corrisponde a 376.000 voti e il 65% di De Magistris a 274.000. Nelle prossime elezioni politiche (nel 2012?) ai fini dei rapporti di forza si conteranno i voti e non le percentuali. Milano e Napoli hanno un legame speciale, diretto, non mediato da Roma, ce lo ricorda una strofa della "O mia bela Madunina". Con le loro scelte amministrative i milanesi e i napoletani hanno liberato le loro città e hanno unito l'Italia: fossero tutte così virtuose le competizioni tra due modelli di alleanze politiche!

martedì 31 maggio 2011

Dalla Spagna e dalla Germania

PERISCOPIO SOCIALISTA 

 

La sconfitta socialista in Spagna, portato dell'austerità imposta dal sistema finanziario internazionale, delinea la fine del bipolarismo iberico. In Germania il governo della Merke è messo molto male. Calano i consensi della CDU/CSU, crollano i liberali della FDP. Socialdemocratici e Verdi sono ormai maggioranza nella Camera alta e nel Paese.

 

di Felice Besostri

 

Nel 2007 il PSOE controllava 24 capoluoghi provinciali e il PP 23, nel 2011 il PP passa a 33 e il PSOE crolla a 10, passano da 3 a 7 i capoluoghi controllati da altre formazioni. Le Comunità autonome guidate dal PSOE erano 7 nel 2007 e saranno 3 nel 2011, perché in due non si è votato il 22 maggio. Il PP, che ne aveva 6, quasi le raddoppia con 10, strappandone 3 al PSOE, Baleari , Aragona e Castilla-La Mancha, e una, la Cantabrica, ad una formazione locale. I regionalisti  controllano ora 4 Comunità, che diventeranno 5 appena si voterà nel Paese Basco.

    Proiettando i risultati delle amministrative spagnole sul Congresso dei Deputati, il PSOE, 169 deputati, ne perderebbe 53, di cui soltanto 10, guadagnati dal PP, che ne ha 154 e che non avrebbe garantita la maggioranza assoluta di 176.

    La frammentazione, grazie al meccanismo elettorale, crescerebbe in modo esponenziale da 10 partiti, di cui 5 con due o un deputato, a 19, di cui 11 con uno o due deputati.

    La crisi del bipolarismo è evidente, come anche è segnalata da un 4,24% di voti bianchi o nulli, che son aumentati, di più di un quarto, dovunque tranne che nel Paese Basco dove, invece, sono diminuiti. Questo è probabilmente effetto del movimento degli "Indignados" o movimento 15-M, troppo affrettatamente paragonati ai nostri Grillini.

    Tre nuovi soggetti politici meritano attenzione, due sulla destra e uno a sinistra, rispettivamente UPyD e PxC e Bildu. UpyD è una scissione del PP, ma che a Madrid ha sottratto voti ai socialisti e dei nuovi soggetti l'unico con proiezione nazionale avendo eletto consiglieri municipali in 5 capoluoghi di Provincia da Nord a Sud. Piattaforma per la Catalogna è una formazione xenofoba contigua con Fuerza Nueva. Bildu è la nuova espressione della sinistra abertzale basca, che in un colpo ha conquistato 1.138 consiglieri municipali, conquistando la maggioranza assoluta in 88 Municipi e quella relativa in altri 27, tutti nei Paesi Baschi e Navarra, diventando il primo partito nella capitale San Sebastian.

    Questo successo è il frutto della rottura politica della sinistra basca con ETA grazie al processo di pace, che è uno dei meriti di Zapatero. Il PSOE è al livello più baso di consenso da quando la Spagna è diventata democratica  ed è di poca consolazione constatare, che nella sconfitta si conta sempre con un 27.79% dei consensi, quando la sinistra italiana non è rappresentata nel Parlamento.

    Il PSOE ha perso 1.558.000 voti, cioè un -7%, e il PP ne ha guadagnati 558.000, quindi un non entusiasmante +1,9% . Il PSOE ha perso voti a favore del PP in Andalusia e Castilla La Mancha e il PSC a favore di Esquerra Republicana e addirittura del PP in Badalona e di PxC. Lo spostamento di voti a sinistra verso IU è compensato da quello a favore di URyD.

    Le ragioni della sconfitta sono di diverso tipo, sia generali, che locali. La perdita della Catalogna nelle elezioni autonomiche del novembre 2010 ha trascinato con sé quella di Barcellona e delle altre città catalane. La vittoria dei nazionalisti di CiU ha demoralizzato quella  consistente parte  dell'elettorato socialista del cinturone industriale di Barcellona, composto da emigrati da altre regioni della Spagna. La Catalogna è stata persa perché il governo di coalizione di sinistra non era stato coeso e si era drammaticamente diviso sulla riforma dello Statuto.

    Nei Paesi Baschi la presidenza socialista si appoggiava sul voto determinante del PP, un bacio della morte in una fase di ascesa della sinistra abertzale, che prima non partecipava al voto o che votava per i baschi socialisti.

    Nella Comunità madrilena ha giocato la divisione interna al PSOE con primarie, che per essere sintetici , possiamo definire alla napoletana. In termini assoluti il PSOE ha perso un milione di voti in sole 5 Comunità e la metà in Andalusia e Madrid: la geografia delle aree di crisi con alto tasso di disoccupazione è rispettata. La ricetta per uscire dalla crisi non è facile, anche perché non sono univoche le ragioni della disaffezione.

    In Germania le perdite della SPD erano facilmente rintracciabili: 2/3 verso l'astensione e 1/3 verso Verdi e Linke. Ricentrare la politica verso sinistra ha consentito in tutte le elezioni nei Land successive alle federali del 2009 di recuperare le perdite. Il PSOE non ha alleati a sinistra con peso elettorale nazionale e non può averli se non cambia la legge elettorale con una maggiore dose di proporzionalità a livello delle Comunità  Autonome.

    IU ha aumentato i voti alle Municipali di un 17&% e del 254% alle autonomiche, raccogliendo una parte minore di elettori PSOE.

    I socialisti devono affrontare un'alternativa diabolica, se non cambiano la legge elettorale la vittoria del PP è scontata, se la cambiano finisce l'effetto del voto utile a sinistra sul quale, come il PD in Italia, sia pure con minor successo di quest'ultimo, ha costruito la sua fortuna.

    La risposta può essere solo politica e di politica economica in particolare: gli interessi di partito devono passare in secondo piano, se si vuol riannodare un rapporto con la società, che in Spagna si è rotto per l'austerità imposta dal sistema finanziario internazionale.

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La leadership internazionale della Merkel e il buono stato dell'economia tedesca, con le migliori performance europee, non hanno evitato l'ennesima pesante sconfitta della coalizione CDU/FDP nelle elezioni della Città Stato di Brema del 22 maggio 2011: una sconfitta ancor più cocente per i liberali della FDP, che con il 2,6% non entrano nemmeno nell'assemblea legislativa del Land.

    Le proiezioni elettorali in Germania sono di norma attendibili e su di esse abbiamo fondato la nostra la nostra analisi nello scrivere queste righe di commento: per i risultati definitivi ufficiali di Brema bisognerà aspettare il 3 giugno prossimo e il 6 giugno per la Bürgerschaft  del Land.

    La SPD si conferma il primo partito con il 38,3% (+1,6% rispetto alle precedenti elezioni), in chiara ripresa rispetto alle Europee (29,3%) e Federali (30,2%) del 2009, anche se resta lontana dal 42% del 2003 e 1999, per non parlare degli anni d'oro tra il 1969 e il 1980, quando superava il 50% anche alle elezioni federali.

    I verdi confermano la loro ascesa passando dal 16,5% del 2007 al 22,7% e diventando il secondo partito al posto della CDU: il loro miglior risultato dopo in 22,1% delle Europee del 2009.

    I liberali, che soltanto alle federali del dicembre 2009 avevano il 10,4% e l'8% alle europee, stanno drammaticamente sotto soglia del cinque per cento.

    Il destino della CDU con il 20,1% segna il declino di un partito che alle precedenti elezioni aveva il 25,6%.

    La Linke rientra nell'assemblea con il 5,8%, cioè con una percentuale molto più bassa del 8,4%, con cui era entrata per la prima volta nel 2007, per non parlare del 14,3% delle federali del 2009. Si conferma che le fortune maggiori della Linke sono legate alle perdite della SPD.

    L'inversione di tendenza della SPD ha arrestato la dinamica della Linke, che perde voti soprattutto a favore dei Verdi. Nella passata legislatura Brema è stata caratterizzata da crisi interne ai gruppi, con passaggi di schieramento, molto poco usuali in Germania: la SPD aveva guadagnato tre parlamentari nella  Bürgerschaft  da CDU, Verdi e Linke e ne aveva perso uno a favore dei Verdi.

    Nel Bundesrat il Governo è ormai in minoranza irreversibile e queste elezioni confermano che le opposizioni sono maggioranza numerica nel paese. Ma non sono politica a causa delle relazioni tra SPD e Linke oltre che con i Verdi.

    Nondimeno, in settembre le elezioni di Berlino e quelle del Meclemburgo-Pomerania, se confermassero le tendenze attuali, potrebbero incidere sulla stablità del Governo federale.

martedì 17 maggio 2011

ABROGATE IL PORCELLUM

PERISCOPIO SOCIALISTA

I parlamentari in carica, i senatori a vita, i giudici costituzionali emeriti e i più illustri giuristi democratici Italiani devono moltiplicare le iniziative, possibilmente in ogni circoscrizione di Tribunale, per ottenere il rinvio alla Corte Costituzionale delle norme della legge elettorale.

di Felice Besostri

Rino Formica ha posto il problema della riconferma di Giorgio Napolitano alla carica di Presidente della Repubblica nel maggio 2013. Poiché queste Camere sono state elette il 29 aprile 2008, è pacifico che il prossimo presidente sarà eletto dopo nuove elezioni politiche. Per il centro-sinistra eleggere un proprio candidato salvo una vittoria con premio di maggioranza è più difficile che ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi (2009) e Giorgio Napolitano (2006): nei delegati regionali c'è una netta prevalenza della destra dopo le elezioni del 2010. Nel 2006 il premio di maggioranza favorì un'Unione che si sarebbe rivelata instabile e rissosa: non si può sperare nelle crescenti difficoltà di Berlusconi per aspirare di vincere le elezioni e quindi rientrare in gioco per l'elezione del Presidente.

La strada maestra è l'abolizione di un premio di maggioranza di sospetta costituzionalità, poiché svincolato da ogni quorum in seggi o percentuale di voti.

La Corte Costituzionale l'ha denunciato in due sentenze del 2008 , ma l'invito a sottoporle la questione di costituzionalità è stato ignorato dalla magistratura ordinaria e amministrativa.

Il TAR Lazio, sez. II bis (sent. 1855/2008) e il Consiglio di Stato, sez. IV (sent. 1053/2008) sfuggirono al problema dichiarando la carenza assoluta di giurisdizione nei confronti dell'impugnazione dei decreti di convocazione dei comizi.

Il Tribunale di Milano, sez. I (sent. 5330/2011) in composizione monocratica, ha blindato la legge elettorale, dichiarando manifestamente infondate (!) le questioni di costituzionalità, compresa quella valutata come problematica dalla Corte Costituzionale stessa (sent. 15 e 16 del 2008).

Le potenzialità scardinatorie della legge elettorale, che ha sovvertito la forma di governo delineata dalla Costituzione, finora non si sono potute esprimere al massimo grado per una pura coincidenza, ancorché pilotata con lo scioglimento delle Camere elette nel 1996. L'attuale maggioranza, eversiva dell'ordinamento costituzionale, cioè magna parte quella che approvò la legge 270/2005 (detta "Porcellum"), non ha mai potuto eleggere un Presidente della Repubblica. Se avesse potuto farlo, è legittimo ritenere che sarebbe poi proceduta – in forza di una legge ordinaria – a scardinare gli stessi istituti di garanzia previsti in Costituzione: Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale.

Grazie al premio di maggioranza una maggioranza relativa, cioè una minoranza assoluta, si trasforma alla Camera in una comoda maggioranza del 54%. Sarebbero così a portata di mano i due terzi dei voti necessari a modifiche costituzionali senza referendum confermativi (scenario più volte segnalato su queste colonne, da ultimo nell'Editoriale del 20 settembre scorso, vai al sito), ma anzitutto sarebbe a portata di mano un'elezione a colpi di "premio di maggioranza" del Presidente della Repubblica.

Un così eletto Capo dello stato, smaccatamente di parte, sarebbe poi Capo delle Forze Armate e Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. In tal veste nominerebbe cinque membri della Corte Costituzionale, che si aggiungerebbero a quelli eletti dalla artificiale maggioranza parlamentare, e che farebbero dieci membri su quindici, con forti capacità di influire anche sul restante terzo, esondando cioè sulle supreme magistrature ordinaria e amministrativa.

L'unica residua resistenza a un assoggettamento immediato della Corte Costituzionale all'esecutivo risiederebbe nella sola durata in carica per nove anni dei giudici costituzionali, il cui rinnovo è dunque diluito nel tempo. Troppo poco per garantire la salvezza della Repubblica!

Poiché il vigente premio di maggioranza è di dubbia costituzionalità mentre i tratti di incostituzionalità sono destinati ad aggravarsi se passassero progetti di premio di maggioranza nazionale anche per il Senato, l'unica scelta, che si impone, è l'abrogazione della legge.

Le forze per farlo in Parlamento non sembrano esserci, dato il vincolo di maggioranza PdL-Lega Nord, meglio detto Berlusconi-Bossi.

L'unica strada è il moltiplicarsi delle iniziative, possibilmente in ogni circoscrizione di Tribunale, per ottenere il rinvio alla Corte Costituzionale delle norme della legge elettorale, e in primis del premio di maggioranza.

Finora quest'azione è stata promossa da semplici elettori e avvocati nel totale e irresponsabile silenzio dei mezzi d'informazione, cioè in un clima che favorisce le pressioni sui singoli giudici.

Nelle prossime azioni dovranno essere protagonisti i parlamentari in carica, i senatori a vita, i giudici costituzionali emeriti e i più illustri giuristi democratici. Noi di qui rivolgiamo un esplicito appello alla loro coscienza civile.


P. S.: L'abolizione del premio di maggioranza è anche un contributo alla chiarezza politica. La legge elettorale consente a liste diverse di adottare prima dell' elezioni un comune programma di governo e di indicare un capo della coalizione. Una tale indicazione, in caso di accoglimento dell'eccezione di costituzionalità, avrebbe il solo effetto di un'indicazione politica e di far beneficiare le liste coalizzate di una soglia di accesso più bassa (2% in luogo di 4%), ma non più di attribuire un premio di maggioranza. La proposta corre il rischio di travolgere anche le liste bloccate, che sono graditissime ai vertici di tutti i partiti. Ma difendere la Costituzione dovrebbe essere un motivo sufficiente per rinunciare a un potere che la vanifica quanto agli artt. 51 e 67.