Periscopio socialista
La storia delle leggi elettorali, delle forme di governo e del sistema politico nell'Italia repubblicana si può riassumere così: dalla legge truffa alla truffa per legge...
di Felice Besostri
Ci sono due modelli collaudati di forme di governo: quello parlamentare e quello presidenziale, più un terzo modello, che ha incontrato una crescente fortuna, quello semipresidenziale. Tale forma di governo, nonostante il nome non è una variante del modello presidenziale, ma di quello parlamentare, estremamente razionalizzato: infatti l’esecutivo è bicefalo, non vi è una netta divisione dei poteri, perché il Presidente può sciogliere il Parlamento e permane il rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo.
La sfiducia è resa difficile, anzi si cerca di evitare che si possa creare una maggioranza parlamentare ostile a quella presidenziale: è il senso delle riforme anti-coabitazione adottate in Francia. Spurie sono le forme di governo, che prevedono l’elezione diretta (o indiretta) del Primo Ministro. Guarda caso è quella, cui l’Italia aspira. L’ introduzione nei comuni, nelle province e nelle regioni dell’elezione diretta del vertice esecutivo ha fatto da battistrada.
L’elezione diretta del Capo dell’esecutivo, senza una separazione netta tra esecutivo e legislativo, tra governo e assemblea, come, invece, richiede il presidenziale, è in assoluto la peggior soluzione: non solo è impedito all’assemblea di partecipare alla determinazione dell’indirizzo politico, ma addirittura dei esercitare le4 funzioni ispettive e di controllo.
La moderna democrazia è nata affermando la responsabilità dell’esecutivo nei confronti dell’assemblea. In Italia si è introdotto lo strano principio ( dal punto di vista democratico ) per cui il parlamento ( il consiglio comunale, provinciale o regionale ) deve avere la fiducia del governo ( del Primo Ministro, del Sindaco, del presidente della provincia o della regione)!!!
Nell’ibrido sistema italiano ci sono altre anomalie, che riducono gli spazi democratici e alterano gli equilibri tra il potere esecutivo e quello legislativo.
Due, in particolare, sono i meccanismi perversi: il premio di maggioranza e lo scioglimento automatico dell’assemblea, quando viene meno il capo dell’esecutivo. IL PREMIO DI MAGGIORANZA, LEGATO AL SUCCESSO DEL CANDIDATO, SINDACO, PRESIDENTE DI PROVINCIA E DI REGIONE, distorce la volontà degli elettori, al massimo grado quando è ammesso il voto disgiunto, perché all’ombra del candidato popolare o fantoccio che sia, continua il giorno partitico senza limpidezza e perché il candidato decide prima delle votazioni quali liste collegare o destinare alla sconfitta. Di contro la scomparsa del capo dell’esecutivo comporta lo scioglimento automatico dell’assemblea, anche per fatti naturali, quali la morte o la malattia. Nelle elezioni politiche il premio di maggioranza viene attribuito alla lista o coalizione di liste ( in realtà al loro Capo ) senza alcun vincolo di raggiungere un quorum minimo in percentuale di voti o in seggi conquistati sul campo: neppure il fascismo osò tanto con la legge Acerbo, che chiedeva di avere almeno il 25% per beneficiare del premio di maggioranza. Proprio questo fatto presentava profili di costituzionalità, come detto incidenter tantum nelle sentenze 15 e 16 del 2008 della Consulta.
Il premio di maggioranza è negazione del voto proporzionale, nonostante le apparenze di liste concorrenti in collegi plurinominali, e del sistema maggioritario, nel quale la maggioranza è conquistata sul campo in collegi uninominali con o senza ballottaggio. Il premio di maggioranza altera il rapporto tra voti e seggi e, nel caso italiano, il premio di maggioranza è tanto più elevato quanto minore è il consenso della lista o della coalizione di liste. Questo avviene anche nelle regioni con l’aggravante, in termini di spesa e di consenso necessario per essere eletti, dei seggi aggiuntivi. Non si premia tanto una maggioranza relativa, quanto una minoranza assoluta!
Gli effetti distorsivi sono accentuati dalla coesistenza, privilegio italiano, di premio di maggioranza e clausola di sbarramento.
In Italia il voto non è più personale e uguale ed è solo parzialmente libero, perché il cosiddetto voto utile scoraggia il voto per le formazioni nuove o minori. Una scelta arbitraria come quella di Veltroni per le elezioni del 2008 ha avuto conseguenza sul sistema dei partiti ben maggiori dei comportamenti elettorali dei cittadini.
La chiusura del sistema di violazione della Costituzione è stata completata con l’indicazione anche nei simboli, del nome del capo della lista o della coalizione di liste: di fatto un’indicazione diretta del futuro premier in spregio alle prerogative del Presidente della Repubblica, chiaramente enunciate dall’art. 92 della Costituzione, richiamato persino dalla legge del 2005 di riforma dei testi unici per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica... a titolo di beffa. Il ruolo e i poteri del capo della lista, cioè del futuro Primo Ministro, sono ormai assoluti con la legge n. 270 /2005, meglio conosciuta come il porcellum, che ha introdotte le liste bloccate, cioè un parlamento di nominati e non di eletti e la cui riconferma dipende dal Capo partito. Tra le riforme è quella che è piaciuta di più da destra a sinistra, radicali compresi, dalle cui file esce, peraltro, l’on. Calderisi, perché da un potere assoluto ai capi partito o nei casi migliori alle loro oligarchie. A chi detiene il comando non par vero di scegliere i parlamentari trai i loro clienti, famigli o cortigiani/e e nello stesso tempo garantirsi gli esiti dei futuri congressi di partito. Soltanto alcuni elettori hanno osato impugnare la legge elettorale per incostituzionalità, sotto i profili a) premio di maggioranza e b) liste bloccate, ma hanno imparato a loro spese, nell’indifferenza dei grandi mezzi d’informazione, che in Italia non è giuridicamente possibile impugnare una legge elettorale per il parlamento, anche se fosse di chiara e lampante incostituzionalità. Le Sezioni Unite e il Consiglio di Stato hanno stabilito la loro totale incompetenza ad esaminare ricorsi che in qualche modo incidano sulla composizione del Parlamento, perché gli unici organi competenti sono le Giunte delle Elezioni delle Camere elette con la legge... di sospetta incostituzionalità!!!
Un’interpretazione abnormemente estensiva dell’art. 66 della Costituzione. I rapporti tra politica e magistratura non sono sempre conflittuali, ma anche di omertosa complicità. La questione che non ci sia un giudice competente a esaminare le leggi elettorali è ora all’attenzione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Se i giudici ordinari ed amministrativi non hanno giurisdizione la questione non può essere sottoposta alla Corte Costituzionale, come la stessa aveva auspicato con le sentenze n. 15 e 16 del 2008.
Grazie a queste riforme elettorali e grazie alla mancanza di coraggio del potere giudiziario, compresa la Corte Costituzionale, si è modificata la Costituzione profondamente, proprio nella forma di governo, senza emendarla. Per fortuna il disegno di stravolgimento non si è completato per la bocciatura delle modifiche berlusconian-leghiste del 2005 nel referendum costituzionale del giugno 2006 e per mancato raggiungimento del quorum nei referendum elettorali del giugno 2009.
Da questo Parlamento, a meno di scomposizione simultanea di PdL e PD, che conducano alla formazione di una nuova maggioranza, diversa da quella uscita dalle urne nel 2008, non possiamo aspettarci nulla perché i parlamentari non rappresentano più la NAZIONE, come stabilisce l’art. 67 della Costituzione, ma sono figuranti o marionette nelle mani di chi li ha collocati nel posto utile della lista bloccata.
La situazione potrebbe non essere disperata se i partiti politici fossero associazioni riconosciute, rette obbligatoriamente da statuti democratici e soggetti a controllo giurisdizionale, in altre parole se vivessimo in Germania o Spagna e non Italia.
Il nostro articolo 49 della Costituzione ( tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale ) è stato interpretato, sempre da una compiacente magistratura, come se il concorso democratico forre garantito dalla pluralità dei partiti, non dalla loro democraticità interna. La nostra norma non è chiara come le norme costituzionali sui partiti della Spagna (art. 6 Cost. 1978) e della Germania Federale (art.21 GG 1949 ), che richiedono la struttura democratica dei partiti, ma non nascondiamoci dietro questo: non è logico che un numero elevato di soggetti politici non democratici in concorrenza tra loro possano determinare democraticamente la politica nazionale.
Lo svilimento degli statuti dei partiti è totale. I detentori del simbolo è il segretario o il presidente nazionale, che può individuare suoi delegati per qualsivoglia tornata elettorale di qualsivoglia ambito territoriale: chi vuol utilizzare il simbolo del Partito deve essere gradito al Capo nazionale ovvero al suo fiduciario regionale o provinciale. Il Capo nazionale non è vincolato da alcuna norma statutaria per individuare i suoi delegati di fiducia e quest’ultimi non sono vincolati da alcuna deliberazione del corrispondente livello territoriale del partito.
Per di più, come è stato messo in luce dal rinvio alla Corte Costituzionale della legge elettorale europea da parte del TAR Lazio sez. II bis, quella legge è di sospetta costituzionalità, ma il discorso vale anche per la leggi elettorali regionali dove sia prevista una clausola di sbarramento ( ad es. Toscana, Puglia, Calabria ), perché fa coincidere la soglia per avere diritto ad una rappresentanza con quella per aver diritto al rimborso delle spese elettorali. Per semplificare non sono garantite le condizioni di uguaglianza per accedere alle cariche elettive, imposte dall’art. 51 della Costituzione.
Se dal Parlamento non possono venire speranze è stato giocoforza pensare ad un Assemblea Costituente, ma in assenza di una assalto al Palazzo d’Inverno, l’Assemblea Costituente dovrebbe essere istituita da un Parlamento, che non ha alcun interesse a delegittimarsi.
L’opinione pubblica potrebbe essere il fattore di stimolo al cambiamento? C’è da dubitare, per diverse ragioni . La prima che la materia istituzionale è complessa, sempre che non si riesca a ridurla in pillole, come il referendum Segni. La seconda che, stando ai sondaggi di opinione, in quest’epoca di grave crisi economica e sociale la questione istituzionale non è percepita come prioritaria. La terza ragione è che i grandi mezzi d’informazione, per non parlare del duopolio televisivo, non sono indipendenti ma dipendenti dall’intreccio tra potere politico e potere economico, che domina, quest’ultimo, l’editoria. L’assenza di un Quarto Potere, separato e indipendente dagli altri, è una delle ragioni in più per opporsi ad un’elezione diretta del Capo dell’Esecutivo, sia esso un Presidente od un Primo Ministro: in Italia non è immaginabile un Watergate, al più un Sexgate.
Sul piano dell’iniziativa politica non si vede ancora una forza politica nuova che voglia rompere con il costume politico imperante per cambiare le cose. E’ necessaria una forza politica,che sappia coniugare innovazione programmatica, con un pensiero istituzionale di riforma, rompendo le mode e con una visione europea dei problemi, e, per quanto ci concerne, dovrebbe anche avere una chiara collocazione a sinistra ed essere di ispirazione socialista. L’ultima nata, Sinistra Ecologia Libertà, è diventata in pochissimo tempo un partito identificato e qualificato con il nome del leader e non è più il laboratorio politico di una nuova sinistra, secondo il progetto originario di Sinistra e Libertà delle Europee. Il numero d’inviti nei talk show ( in gergo "comparsate") e l’indice di gradimento del suo leader saranno gli unici parametri di valutazione, molto più importanti dell’insediamento territoriale, del radicamento sociale e dell’elaborazione programmatica.
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